10 aprile 2020

NON E’ UNA GUERRA, CAMBIAMO LINGUAGGIO

Dobbiamo dotarci di un nuovo vocabolario più umile, dialettico e veritiero


Non passa giorno senza che almeno una decina di commentatori paragonino il virus che ci ha colpiti ad una guerra. I termini militari stanno entrando subdolamente nel gergo comune, così come storie di grande sofferenza, diffuse quotidianamente, stanno diventando “normali”. Bisogna cambiare linguaggio per cambiare prospettiva.

Foto di Nicolò Maraz (dettaglio)

Foto di Nicolò Maraz (dettaglio)

Sono un recente lettore di Arcipelago Milano. L’incontro con questo laboratorio di idee è coinciso con la mia adesione al “Gruppo di lavoro per le periferie”, che Franca Caffa ha proposto di costituire a Milano nel marzo dell’anno scorso. Le competenze che posso utilizzare per una riflessione comune nascono dalle esperienze lavorative come educatore. Ho ideato e gestito progetti e servizi del Comune di Milano. Servizi sperimentali sia dal punto di vista metodologico che organizzativo in favore di giovani in grave situazione di emarginazione.

Un metodo che poneva al centro la relazione di vicinanza con il ragazzo, senza regole di relazione predefinite; un itinerario di spazi dove incontrarsi come la strada, le abitazioni dei ragazzi, i loro luoghi significativi, la casa personale dell’educatore; un tentativo non facile di coordinamento con i Servizi, come Servizi Sociali e tribunali e una inclusione rispettosa e attenta delle persone importanti per la vita dei ragazzi, come familiari, ma anche persone disperse, di un passato da ricercare, o persone a volte incontrate casualmente.

Il Servizio Comunità itinerante, istituito all’interno dell’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Milano nel 1982 è spento da anni anche se, in altro modo, continua nel lavoro di alcune cooperative di servizi del privato sociale.

Arcipelago Milano è una voce importante e penso sia utile che resista e si potenzi. Ringrazio quindi chi ha investito in questa iniziativa e in questa resilienza di verità dialettiche in un mondo culturale troppo falsato, a volte retorico, auto referenziato.

Arcipelago Milano è, soprattutto, voce critica. Voce, linguaggio, ricerca di linguaggio semplice e veritiero. Siamo inondati di parole e immagini di guerra. Guerra al virus, guerra farmacologica, guerra di comportamenti, trincea, armi, battaglie, “stiamo uniti”. Mi piacerebbe che si iniziasse a studiare un vocabolario nuovo, più legato al concetto di lavoro, di studi, di ricerca. Forse il virus non si combatte, si cerca di conoscerlo, di trovare una possibile convivenza… ma su questo argomento non ho competenze.

Anche il linguaggio sociale ed educativo dovrebbe dotarsi di un nuovo vocabolario più umile, dialettico e veritiero. Un linguaggio di inclusione, di partecipazione, di verità e anche di duro lavoro di ricerca sociale. Da più parti viene richiesto un linguaggio nuovo, e credo che Arcipelago Milano possa contribuire in modo significativo. Chiedere agli amministratori politici, culturali e sanitari di dire la verità ai cittadini può essere una voce che sale dal basso cercando modi e forme per farsi udire.

Siamo tutti chiusi in casa, come da indicazioni, e gente come me non può lamentarsi. Ho una casa decorosa. Una imponente mobilitazione dei media costruisce un pensiero forte e indiscutibile: si deve rimanere a casa per il bene di tutti, soprattutto delle persone fragili. Ma chi la casa non ce l’ha o comunque ha una casa inadeguata, o la situazione relazionale al suo interno è insopportabile? Certo, ha priorità la salvezza della vita nostra e degli altri, ma forse si può pretendere una dialettizzazione più intelligente.

La zia del Claudio è morta. Così ci dice al telefono lo zio Sergio. È morta nel ricovero dove viveva da anni. Una bella persona, triste ormai nella sua cronica immotivazione alla vita. Eppure Sergio andava al ricovero tutti i giorni, dalla mattina alla sera, tutti i giorni, e lei viveva. Poi il virus, la serrata, la proibizione di visitarla e di stare con lei per Sergio. È morta, è morta di fame, e di disperata solitudine. Ornella, la zia, era persona che conoscevo, importante per il Claudio, un ragazzo disabile psichico che abbiamo, mia moglie e io, ospitato in affido per anni.

Vi sono tante storie di persone che, a causa delle restrizioni sociali muoiono sole, in maniera disumana. Queste storie vanno raccontate, a questo ci si deve opporre, occorre mettere ai primi posti insieme alla ricerca sanitaria (ormai quasi estinta in Italia) una riflessione e una ricerca per trovare soluzioni a queste tragedie che in termini militari chiamano effetti secondari, effetti indesiderati.

Il Virus passerà, ma non è detto che un suo cugino non si ripresenti nel prossimo avvenire… e intanto inizia oggi lo scandalo del Pio Albergo Trivulzio.

Loris Panzeri



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