23 marzo 2020

L’EPIDEMIA DEGLI ULTIMI

I ceti deboli pagano il disinteresse storico nei loro confronti


PER COMINCIARE – Facciamo come sempre pagare ai più deboli il peso delle crisi. L’edilizia residenziale pubblica milanese non è certo “smart”. Forse dopo questa epidemia sarà il caso di occuparcene.

Puija

In questi giorni, a un mese dallo scoppio dell’epidemia del Covid-19 nel Lodigiano, il Comune di Milano pare abbia preso finalmente coscienza che, tra i soggetti più esposti al contagio e alla sua diffusione, ci sono le persone che non hanno casa. A quanto si apprende dai mezzi di informazione, fino a oggi le iniziative messe in campo dal Comune per fronteggiare questa specifica emergenza prevedono: lo spostamento di una parte delle persone accolte nel dormitorio pubblico “Casa Jannacci” in un’altra struttura; l’apertura di nuovi centri; l’impiego di alloggi di proprietà comunale e di un albergo di proprietà privata per garantire i periodi di quarantena a chi è senza casa o non può rientrare nella propria abitazione per diverse ragioni. Accompagnano questi provvedimenti la distribuzione dei pasti e il monitoraggio sanitario, gestiti in collaborazione con alcune organizzazioni del privato sociale.

Quanti sono oggi nella sola città di Milano i senza fissa dimora e coloro che abitano in ricoveri precari, baracche, spazi occupati ai margini della città? Quante le persone che sono accolte nei dormitori pubblici e del privato sociale, nei centri di emergenza abitativa o nei centri di accoglienza per migranti richiedenti asilo e rifugiati?

Soluzioni nate per essere transitorie ed emergenziali, istituite per precise categorie di cittadini in specifiche e gravissime condizioni di difficoltà, ma diventate nel corso degli anni strutturali, a causa dell’insufficienza delle politiche abitative pubbliche. I centri di emergenza e i dormitori sono diventati pertanto l’unica alternativa alla strada anche per chi è stato espulso dal mercato delle locazioni private, perché senza lavoro o con redditi non adeguati.

In data 8 marzo Franca Caffa , nell’articolo Rimani a casa, quale? invitava i lettori di Arcipelago Milano a una presa di coscienza del dispiegamento ideologico riversato dai ceti dominanti e dai centri di potere nella gestione dell’emergenza sanitaria in corso, basato sulla menzogna che non esistano disparità tra le condizioni materiali e di vita delle persone e che non esistano i responsabili.

Come avranno accolto l’invito, poi l’imposizione morale, ora l’ordine di stare in casa, coloro che casa non hanno o che vivono in una stanza? E le famiglie che coabitano in abitazioni piccole e in pessime condizioni manutentive, sostenendo affitti sproporzionati giustificati dal rischio che il proprietario assume affittando a persone senza garanzie? Quante sono a Milano e in Italia le famiglie che hanno redditi continuativi e stabili in grado di mantenere le spese per la casa al di sotto del 30% del bilancio famigliare o che possono accedere ai mutui?

Sono questi, infatti, i requisiti imposti agli inquilini dalle grosse società immobiliari e dai proprietari delle case nelle condizioni manutentive migliori, interessati a interlocutori affidabili e solventi. Quale sacrificio è in queste settimane richiesto alle tante famiglie per cui la casa non è un comodo e salubre rifugio? Alle forze dell’ordine incaricate di verificare il rispetto delle ordinanze è stata data l’indicazione di considerare queste disparità, visto che non sono poche le denunce verso senzatetto e verso persone sole, giudicate colpevoli perché non in casa, perché trovate fuori?

L’emergenza Covid-19 in poche settimane ha così riaperto il vaso di pandora della “questione abitativa”, rivelando lo stretto legame tra salute pubblica e condizioni abitative e rendendo evidente quanto il diritto a una casa adeguata sia stato subordinato in questi anni al profitto e al mercato.

È ancora presto per prevedere quali e di quale portata potranno essere le ripercussioni della crisi che stiamo vivendo sul mercato immobiliare. Ciò che è certo è che le conseguenze economiche produrranno maggiori disastri nella vita di moltissime famiglie. Il Decreto Legge 17 marzo n. 18, Cura Italia, ha sospeso sfratti ed esecuzioni immobiliari fino a giugno. Provvedimento necessario per non aumentare il numero delle famiglie per strada, ma che non può certo essere sufficiente.

Come richiesto dai sindacati inquilini è necessario in primo luogo lo stanziamento di un contributo affitto straordinario che subito dia sollievo alle famiglie. Successivamente, sarà indispensabile rimettere mano alle politiche abitative pubbliche: riportare a maggior equilibrio il rapporto tra costo della casa e reddito famigliare; promuovere una fiscalità più equa, richiamando anche la rendita immobiliare a fare la propria parte in questo momento in cui i lavoratori e i pensionati sono costretti a grandi sacrifici; promuovere politiche giuste per le periferie e i quartieri popolari; aumentare l’offerta di alloggi a canone sostenibili, come già avviene nei paesi europei con sistemi di stato sociale più avanzati.

L’ampliamento e la ricostruzione di un welfare abitativo pubblico, non più sottomesso agli interessi immobiliari e speculativi e che parta dai bisogni reali delle persone, potrebbe diventare così il motore di un nuovo sviluppo, più equo e sostenibile, superata l’emergenza sanitaria.

Solo due settimane fa, con la sentenza 44/2020, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il requisito di residenza da almeno 5 anni in Lombardia richiesto per accedere ai bandi di assegnazione delle case popolari, riconoscendone il carattere discriminatorio e incoerente con le finalità sociali dell’edilizia pubblica.

Pochi giorni fa il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso presentato da ASgi, Naga, Avvocati per Niente, giudicando discriminatoria la richiesta di presentazione delle certificazioni di non possedimento di beni immobiliari al proprio paese d’origine prevista per i soli cittadini stranieri non comunitari.

La legge di riforma delle case popolari volute e imposta dalla Giunta Lombarda nel 2016 era stata proposta come la soluzione in grado di rendere sostenibile ed efficiente il sistema del welfare abitativo lombardo, grazie al coinvolgimento diretto del mercato e del privato sociale, alla limitazione del numero delle assegnazioni rivolte alle famiglie più povere, alla premialità riconosciuta alla permanenza da più tempo sul territorio regionale e comunale.

La fiducia nel nuovo modello di welfare veniva enfatizzata attraverso il paragone con il modello del sistema della sanità, rivendicata come un’eccellenza e cui anche le politiche per la casa avrebbero dovuto ispirarsi. Ma le politiche di smantellamento dell’intervento pubblico diretto e di sbilanciamento a favore dell’intervento privato promosse in questi anni si sono rilevate il primo e più importante fattore di inadeguatezza del sistema sanitario di fronte alla gestione dell’epidemia di Covid-19, scaricata sul lavoro e sulla vita di medici, infermieri e di tutti gli operatori sanitari in prima linea a curare le tante persone che purtroppo continuano ad ammalarsi.

Oggi, dopo quattro mesi dalla chiusura dell’ultimo bando di case popolari secondo le nuove regole, sono stati sottoscritti due soli contratti dal Comune di Milano, mentre non sono neanche disponibili i dati di ALER. Eppure, in un momento in cui avere o non avere una casa può fare la differenza tra salute e malattia, nel solo comune di Milano quattrocento case pubbliche sono vuote, ristrutturate e perfettamente assegnabili, ora.

A queste si aggiungono i milleduecento alloggi inseriti nel piano dell’offerta abitativa della città di Milano per il 2020 da parte del Comune e di ALER. Ristrutturati e utilizzabili da subito anche gli alloggi sottratti all’edilizia a canone sociale per essere assegnati con contratti provvisori a sfrattati e senza casa. Il quadro delineato dimostra quanto il tema dell’emergenza abitativa non sia rilevante per le Istituzioni pubbliche e come sia urgente rivedere subito radicalmente la legge regionale, perché non solo discriminatoria, ingiusta e inadeguata ma anche inefficace ad assegnare in tempi rapidi gli alloggi disponibili.

Contestualmente le condizioni dei quartieri popolari peggiorano, sempre più isolati e abbandonati, nonostante sulla carta siano in corso importanti piani di riqualificazione, di recupero degli alloggi sfitti, di interventi di manutenzione straordinari. Con riferimento all’emergenza sanitaria, non sono noti al momento specifici piani di ALER e Regione Lombardia (da cui ALER dipende) per migliorare le condizioni igieniche degli stabili, per intensificare le pulizie e la sanificazione degli spazi comuni, in modo da evitare focolai di contagio in luoghi sovraffollati e abitati da moltissime persone anziane, spesso sole, e da persone con disabilità e patologie.

L’unica iniziativa finora pubblicizzata sui social dall’Assessore regionale alla Casa, Stefano Bolognini, riguarda la presenza della polizia locale nei quartieri di case popolari finalizzata a un maggior controllo degli inquilini, affinché rispettino le restrizioni e stiano chiusi nei propri alloggi, per quanto possano essere malsani, con infiltrazioni, muffe, sovraffollati, inadeguati. Cinquemila anziani residenti nel patrimonio di edilizia pubblica comunale hanno ricevuto da parte del Comune un sms con informazioni sui servizi di sostegno attivati per le persone e le famiglie in difficoltà: spesa a domicilio, consegna delle medicine, sostegno psicologico. Iniziative utili e necessarie che possono certamente dare aiuto e conforto in questo momento. Nessuna comunicazione è stata inviata agli anziani che vivono in un alloggio ALER. A quale logica risponde questa disparità di trattamento dei cittadini?

La crisi che la diffusione dell’epidemia ha messo in moto rende ancora più evidente quanto sia urgente e necessario un cambiamento radicale delle politiche per la casa e per i quartieri. In questo contesto acquistano quindi ancora più valore le iniziative che in basso propongono la costruzione di relazioni di solidarietà, di presa di coscienza e di partecipazione delle persone. Condivido perciò con i lettori di Arcipelago la bella iniziativa promossa dal laboratorio di quartiere Giambellino-Lorenteggio insieme ad altre associazioni, parrocchie e organizzazioni: un fondo di comunità per sostenere chi nel quartiere si ritrova in queste settimane ancora più in difficoltà.

Veronica Pujia



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  1. Ersilia d'AntonioBellissimo articolo, che mi trova perfettamente d'accordo. In questi momenti è ancora più necessario sviluppare e diffondere pensiero critico. Grazie!
    25 marzo 2020 • 09:21Rispondi
  2. Carlo GeriSe si fa una ricerca in Rete sulla "card del clochard", si trova del materiale di 3/4 anni fa: articoli di giornale ed esternazioni dell'Assessore Majorinio su detto argomento. Più o meno in quel periodo, Casa Jannacci emetteva una "Tessera Salvavita" per i propri assistiti che ne facevano richiesta. La Tessera conteneva oltre alle generalità anagrafiche anche le "informazioni salvavita", ovvero le patologie pertinenti ad un intervento d'emergenza-urgenza. Intendasi: Pronto Soccorso. Poi la cosa si è interrotta. La domanda che sorge più o meno spontanea alla luce degli ultimi eventi è: cosa osta a riconsiderare la ripresa di suddetta iniziativa ?
    28 marzo 2020 • 16:59Rispondi
  3. stefania Zazziquesta mia per ricordare che da giugno 2019 il Comune di Milano ha assemblato due assessorati sinora rimasti disgiunti istituendo l'Assessorato Politiche sociali e abitative ora assegnato all' assessore Rabaiotti subentrato a Majorino. Dico questo per condividere l'articolo e orientare il mondo della cultura e l'opinione pubblica a creare sinergia tra il sociale e l'abitativo. Porto una concreta esperienza presente in Milano dal 2012, ovvero l'azione Salvavita "BUSTA ROSSA" per tutti i cittadini con priorità per i più fragili quali chi vive solo (anziani, disabili, donne, senza dimora, emarginati...) . E' un'iniziativa che "entra nelle case" e , per i senza dimora, diventa la Tessera Salvavita da portare in tasca. Trovate presentazione sul sito comune.milano.it>aree-tematiche>politiche-sociali-cittadini-più-coinvolti-e-più-sicuri che è il riferimento al progetto comunale di cui sono referente. Ora lo stiamo integrando con l'emergenza COVID 19 . Per chi vuole saperne di più: zazzis@hotmail.it
    29 marzo 2020 • 12:21Rispondi
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