21 marzo 2020

MAI PIÙ SENZA MARGINI

Il debito pubblico nel “dopo”


PER COMINCIARE – Son molte le manovre possibili, anzi auspicabili, per il prossimo futuro. Le scelte politiche anche impopolari sono essenziali.

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Il coronavirus non si poteva prevedere, e in particolare non si poteva prevedere che colpisse l’Italia così duramente ma gli shock internazionali di cui hanno parlato gli economisti ragionevoli negli ultimi 10 anni, e in particolare dopo la crisi finanziaria del 2008, si potevano (anzi, si dovevano) prevedere. Proviamo a elencarli, anche se è probabile che la gravità di questo sia ancora maggiore. Il che tuttavia rafforza il ragionamento che seguirà. Sono davvero di una grande varietà.

Guerre: succedono, e sono successe anche vicine ai nostri confini.

Terrorismo: ne abbiamo avuto sia di interni, e di diversi colori politici, che esterni, quale quello islamico, che ci ha risparmiato solo per caso.

Del 2008 si è già accennato ma il quadro finanziario internazionale già prima del virus appariva molto instabile (cfr. i dazi di Trump e la gonfiatura dei corsi borsistici) e anche il cambiamento climatico potrebbe richiedere molte risorse, come il possibile ripresentarsi di ondate migratorie importanti.

Quindi era doveroso avere rilevanti margini sui nostri conti, anche a prezzo di alcuni sacrifici, e soprattutto per non dover continuamente presentarci all’Europa con il cappello in mano (in inglese si dice un “basket case”). L’Europa poi, si badi, può fungere solo come nostro garante, mentre il problema vero è la credibilità della nostra capacità di restituire il nostro enorme debito pubblico, cioè la fiducia dei nostri creditori, cioè dei “mercati” (e questi creditori di ultima istanza tra l’altro per due terzi sono italiani, cioè sono i nostri risparmiatori, grandi ma anche piccoli).

Poi negli anni passati c’è la solita obiezione dei turbo-keynesiani, presenti sia a sinistra ma soprattutto tra i sovranisti: per ridurre il debito, la miglior ricetta è che lo Stato spenda di più. E’ vero che esiste un effetto moltiplicatore della spesa pubblica, ma in un’economia aperta questo è cosa tutt’altro che certa, anche come dimensioni, e se non funziona (se per esempio investiamo male, in opere di dubbia utilità e senza ritorni finanziari, ecc.) il risultato è troppo drammatico per rischiare: il paese va in default, e deve probabilmente uscire dall’Euro (che è esattamente quello che molti sovranisti in realtà auspicano, anche se di recente non osavano più dirlo).

Le due minime cose da fare invece per rimettere gradatamente a posto i conti erano invece una molto più dura lotta all’evasione/elusione (si pensi solo all’uso del contante, e all’esenzione fiscale delle prime case, due scandali), e alla riduzione degli sprechi, con le spending review prima fatte fallire dagli interessi burocratici centrali e locali, e alla fine addirittura abolite definitivamente.

Ma in questo momento drammatico anche la teoria economica dice che occorre spendere in deficit, e spendere molto, e spendere rapidamente, per sostenere la domanda interna, ma anche per ragioni strettamente sociali: le due indicazioni, tecniche e umane, convergono. Il governo si muove in questa direzione con decisione, ma recentemente anche con dichiarazioni dementi: annuncia un mega programma di investimenti pubblici in infrastrutture senza gare, mentre oggi occorre assolutamente sostenere la domanda interna (gli investimenti infrastrutturali per definizione hanno impatti differiti nel tempo, e occupano poca gente per € speso, ma il “partito del cemento” non dorme mai). Bisogna fare il contrario, al limite anche con trasferimenti di denaro diretti alle famiglie (quello che è noto come “helicopter money”).

Passata la tempesta sanitaria ed economica, quale sia il tempo necessario, sembra davvero che una lezione debba essere imparata: basta avventurismi sui conti pubblici, una ragionevole dose di prudenza è irrinunciabile, anche a costo di perdere un po’ di consenso. A meno che … a meno che questa tempesta, paragonata giustamente da Macron a una guerra, non faccia prevalere l’isolazionismo sovranista, esattamente come accadde dopo la prima guerra mondiale. E sappiamo tutti le conseguenze di quell’involuzione, che non solo non creò ricchezza, ma aprì la strada a una guerra successiva.

Marco Ponti



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