21 marzo 2020

STATISTICHE. QUALITÀ DELLA VITA: MA DI CHI?

Una lettura critica alla classifica del Sole 24 ore. Il caso Milano


PER COMINCIARE: Milano è prima in Italia per qualità della vita. O così dice la classifica del Sole24Ore, che riconferma i risultati degli anni precedenti. Ma cosa si cela dietro queste statistiche? Come si definisce la qualità della vita? Quali opinioni restano inascoltate? Le risposte in quest’articolo di Marco Benussi.

benussi

Introduzione alla classifica Qualche tempo fa molto si è parlato della classifica sulla qualità della vita redatta dal Sole 24 Ore che, giunta lo scorso anno alla trentesima edizione, ha visto trionfare Milano per il secondo anno consecutivo. A una prima occhiata, quella che emerge è una netta spaccatura tra le città del Nord e quelle del Sud Italia.

La parte alta della graduatoria, infatti, è occupata esclusivamente da città del Settentrione (con una prevalenza regionale di Trentino-Alto Adige, Val d’Aosta e Friuli) mentre nelle ultime posizioni si trovano tutte città del Mezzogiorno, in particolare di Sicilia e Calabria. Basti notare che la città del Sud con il migliore piazzamento è Bari, in settantasettesima posizione!

Qualcuno potrebbe legittimamente domandarsi con quali criteri venga stilata questa classifica e su quali indicatori si basi. Già diversi giornalisti e autori hanno avanzato critiche e perplessità in merito1: come si può tradurre un concetto così complesso, multiforme e soggettivo come quello di qualità della vita in semplici numeri validi per tutti e facilmente interpretabili?

A tal proposito esiste una branca della sociologia, la cosiddetta sociologia della quantificazione, che può fornirci un supporto teorico. Secondo tale prospettiva, i dati statistici non possono essere presi come “auto-evidenti”, ma particolare attenzione è posta sul processo di costruzione degli stessi. La quantificazione viene quindi vista come un’azione sociale e si sottolinea come gli scopi e significati dei numeri varino nel loro viaggiare attraverso il tempo e lo spazio. S’intende quindi indagare ciò che c’è dietro il semplice dato, che spesso ci viene presentato invece come autosufficiente ed esplicativo di per sé.

Cosa si cela quindi all’ombra dell’ampio mantello della qualità della vita secondo il Sole 24 Ore?

La classifica quest’anno ha raggiunto la sua trentesima edizione ed è quindi normale che essa sia andata incontro a un’evoluzione nelle metodologie di calcolo e nella scelta degli indicatori, tentando di accompagnare le grandi trasformazioni sociali, tecnologiche ed economiche che hanno attraversato la nostra penisola (e la società globale) in questo trentennio. Per comprendere la portata di tali cambiamenti, basti pensare al fatto che due tra gli indicatori utilizzati nel 1990 per valutare la presenza di servizi sul territorio erano il numero di telefoni pubblici e la percentuale della popolazione abbonata alla SIP (Società Italiana per l’esercizio telefonico). È evidente che oggi indicatori del genere sarebbero molto poco rappresentativi nel descrivere la realtà sociale in cui viviamo.

Oltre ad una variazione dei parametri da misurare, nell’ultima edizione si è avuto anche un ampliamento quantitativo degli stessi: ne sono stati considerati ben 90 (rispetto ai 42 dell’anno precedente), con l’obiettivo di fotografare con precisione la complessità dei diversi territori italiani. Questi indicatori sono stati poi suddivisi in 6 macroaree tematiche: “ricchezza e consumi”, “ambiente e servizi”, “giustizia e sicurezza”, “affari e lavoro”, “demografia e società” e “cultura e tempo libero”, che contribuiscono in egual misura a definire la graduatoria finale.

Il settore “Ricchezza e consumi” e la storia di un indicatore

Un macrosettore di particolare interesse per la nostra analisi è quello che riguarda “Ricchezza e consumi“ e nello specifico un indicatore: il prezzo medio di vendita delle case. La sua evoluzione nel tempo è molto significativa nello spiegare come dietro un numero si celino determinate interpretazioni, che possono anche essere completamente ribaltate nel tempo, dando luogo a risultati diametralmente opposti.

Il parametro in questione è presente fin dalla nascita della graduatoria, ed è stato utilizzato in tutte le edizioni fino al 2015. È utile sottolineare che la redazione, nello stilare la classifica, si riserva di stabilire se un indicatore ha un impatto negativo o positivo sulla qualità della vita, attribuendo un peso maggiore ai valori più alti o più bassi. In questo caso, fino al 2015, a prezzi più alti delle case era assegnato un punteggio inferiore, e quindi le città con i costi delle case maggiori finivano in fondo alla graduatoria. In seguito, per due anni (il 2016 e il 2017) l’indicatore non è più presente: nel macrosettore “Ricchezza e consumi” compaiono altri 6 parametri, ma il prezzo di vendita delle case non è considerato.

Fa il suo rientro in scena nel 2018, quando però la sua valenza viene invertita: ora a un prezzo maggiore delle case viene associato un punteggio maggiore, e di conseguenza le città più ricche, con un mercato immobiliare di maggior valore, ma quindi anche più difficilmente accessibile, si collocano ai primi posti di questa specifica classifica.

In tale scelta risulta evidente come il valore di un numero possa assumere significati addirittura opposti in base alla prospettiva che si adotta. Infatti, il prezzo di vendita delle case può essere visto sotto una duplice luce nel suo rapporto con la qualità della vita: se si guarda dal lato dell’accessibilità al mercato immobiliare, anche considerando le fasce della popolazione meno abbienti, sicuramente un prezzo maggiore degli immobili comporta una riduzione della qualità della vita, mettendo quindi l’accento sulla difficoltà di potervi accedere. Se invece consideriamo questo dato dal punto di vista dei possessori di un immobile, o di coloro che vorrebbero investire in questo settore e hanno le potenzialità economiche per farlo, è chiaro come un alto valore delle case rappresenti un fattore di incremento del proprio tenore di vita.

Il caso Milano e la questione abitativa

Tali considerazioni ci portano a focalizzarci sulla condizione abitativa di Milano, “la città con la maggiore qualità della vita in Italia”. La metropoli milanese, negli ultimi anni, anche sfruttando la scia positiva di Expo 2015, ha vissuto un periodo di grande crescita economica. “Il capoluogo lombardo è diventato nell’ultimo decennio uno dei luoghi più promettenti dove investire nel settore immobiliare a livello internazionale; in questo arco di tempo hanno avuto luogo almeno una trentina di grandi interventi di investitori nazionali e internazionali” sottolinea Vicari, docente di Sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università Bicocca2. Anche in seguito a queste trasformazioni, il prezzo medio di vendita delle case (di 4.900 euro al metro quadro) è il più alto d’Italia dopo Aosta, e colloca Milano seconda in questa specifica classifica, come nel 2018.

Se però andiamo qualche anno più indietro, al 2015, quando a un prezzo della casa maggiore veniva associato un punteggio minore, Milano in questa graduatoria si collocava addirittura al 109° posto, in penultima posizione. È qui chiaro come un cambio nella valutazione di un indicatore abbia quindi anche comportato un completo ribaltamento della specifica classifica.

Guardando invece più in generale al settore Ricchezza e consumi, Milano nel 2019 si colloca al secondo posto della classifica generale. Il capoluogo lombardo guida la classifica per quanto riguarda valore aggiunto per abitante, i depositi bancari pro capite, il reddito medio complessivo per contribuente e l’assorbimento del settore residenziale. Da questi dati è lampante come per quanto riguarda la creazione e il possesso di ricchezza Milano non abbia pari in Italia. Se però si guarda la classifica relativa ai canoni medi di locazione, con i suoi 1.755 euro al mese medi (per un appartamento di 100 mq in zona semicentrale) Milano si colloca all’ultimo posto, risultando quindi la città con gli affitti più cari e inaccessibili d’Italia.

Da questi dati emerge la forte polarizzazione del settore immobiliare milanese: da una parte crescita del valore degli immobili e investimenti internazionali sempre più consistenti che rafforzano la posizione di Milano come città globale; dall’altra parte un problema abitativo per le fasce della popolazione con minori risorse, che fanno sempre più fatica a poter accedere a una casa, anche in affitto.

A Milano c’è un’emergenza casa, ma non c’è traccia di questa richiesta nelle trasformazioni recenti. Le residenze che vengono realizzate sono quasi tutte di fascia medio-alta, a fronte di una domanda emergente di tipologie diverse3 afferma ancora Vicari. Questa emergenza del settore abitativo è testimoniata anche dai grandi problemi di accesso alla residenza pubblica: secondo dati di fine 2019, ci sono circa 25mila famiglie in graduatoria per ottenere una casa popolare, nonostante la presenza di circa 10.000 appartamenti sfitti, che rimangono vuoti perché fatiscenti e non assegnabili.4

In altri quartieri sono in atto invece processi di gentrificazione, che stanno creando difficoltà agli abitanti di queste zone. Un esempio è il quartiere di Via Paolo Sarpi, popolarmente definito Chinatown per la presenza di un grande numero di attività commerciali cinesi. La zona è in grande trasformazione e riqualificazione. Questi grandi mutamenti stanno dando vita però a quello che Oliver Wainwright, critico di architettura e consulente della Architecture Foundation di Londra, in un articolo sul Guardian definisce il paradosso della gentrificazione: i progressi di un quartiere o di un’area diventano motivo di protesta e d’insoddisfazione per i suoi abitanti. Molti degli abitanti di questa zona, infatti, rischiano di perdere la propria casa per la crescita di attrattività del quartiere stesso.

Come messo in luce da un’inchiesta di Internazionale, tra i vari esempi in questo senso c’è quello dell’Ospedale Policlinico: proprietario degli appartamenti del Blocco di Via Paolo Sarpi, che finora venivano assegnati ad affitti agevolati, vuole ristrutturarli e metterli sul mercato a prezzi più alti. La conseguenza è che abitanti storici di questa zona si trovano a non essere più in possesso della propria casa o obbligati a trasferirsi in altre zone della città. Anche la crescita economica di un quartiere, con conseguente aumento di valore degli immobili, può quindi comportare effetti perversi per la qualità della vita degli abitanti.

Come sottolinea su Gli Stati Generali Alessandro Coppola, urbanista e ricercatore al Politecnico di Milano, la frattura più significativa che si sta creando è quella tra affittuari e proprietari, perché quella è la condizione che regola l’accesso alla città. Milano infatti attira sempre più investimenti a livello nazionale e internazionale (il 50 % degli investimenti immobiliari in Italia è su Milano) ma rende sempre più difficile per gli abitanti attuali o potenziali procacciarsi un’abitazione, per la crescita dei prezzi.

Tutto ciò pare però essere preso in poca considerazione dalla classifica del Sole 24 ore, che utilizzando solo valori medi per i diversi indicatori, e concentrandosi prevalentemente su aspetti riguardanti la ricchezza, non coglie le disuguaglianze crescenti che caratterizzano il capoluogo lombardo; nel settore “ricchezza e consumi” non è infatti considerato alcun parametro che indichi la disuguaglianza (ad esempio l’Indice di Gini) e questo é un grosso limite per l’analisi. Gli squilibri tra centro e periferia paiono infatti ben lontani dall’essere sanati e rischiano di essere ulteriormente aggravati dalle dinamiche di sviluppo della città in corso.

La graduatoria del Sole ha l’indubbio merito di semplificare la complessa realtà sociale delle diverse province italiane in numeri che siano comprensibili a tutti; bisogna però tenere conto di come questo processo di semplificazione non sia neutro, ma una vera e propria costruzione sociale a partire da un determinato punto di vista, che non va quindi dato per scontato ma indagato e problematizzato.

Sicuramente la grande crescita nel numero di indicatori è esplicativa della volontà da parte della redazione di rendere più consistenti i risultati finali, ma essi saranno sempre dipendenti sia da quali parametri vengono scelti, sia dall’utilizzo che si fa degli stessi. Ogni classifica dovrebbe essere quindi presa come frutto di una specifica visione del mondo da parte di certi attori sociali che si collocano in una determinata posizione e non come risultati oggettivi e validi universalmente.

Se volessimo riassumere il tutto in una domanda, potremmo chiederci: qualità della vita sì, ma di chi? Sarebbe interessante sviluppare un indice alternativo, che prenda in considerazione altri punti di vista e parametri trascurati nella versione del Sole. In tal caso Milano sarebbe ancora la regina tra le città italiane?

Marco Benussi

1 Un esempio è Alessandro Robecchi sul Fatto Quotidiano

2 Vicari (2019), Progetti e attori della grande trasformazione, Serena Vicari Haddock. 10.13140/RG.2.2.36723.37924.

3 Ibidem

4 Per un approfondimento sul tema guardare l’articolo di Veronica Pujia su questo sito al link https://www.arcipelagomilano.org/archives/53734



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