20 marzo 2020

LA CREDIBILE SFIDA ETICA DEL NUOVO MONDO

Quello che accade oggi si poteva, e si doveva, prevedere ieri


PER COMINCIARE: In molti si sono domandati quale sarà il “mondo nuovo” post-Coronavirus. Molti di questi l’hanno fatto a partire dal presupposto che questo fosse un evento che ci ha colti di sorpresa, disarmati. Andrea Borsotti spiega perché partire da quel presupposto significa rinunciare alla possibilità di un “rinnovo etico” della nostra società.

L’incredibile eccezionalità di quello che accade oggi, è stata solo parzialmente incredibile per chi vi scrive. E nell’intimità di questi giorni di surreale sospensione della normalità sociale, non nascondo di aver pensato più volte a quanto credibile, invece, avrebbe dovuto essere questo scenario pandemico alle istituzioni competenti, sin dagli albori della vicenda Covid-19.

Mi sono infatti domandato, a più riprese, se l’apparato sanitario, strategico, economico e informativo, come quello dirigenziale, del nostro paese e non solo, non avesse potuto trovarsi già preparato alle evenienze imposte da uno spillover zoonotico – escludendo la clamorosa evidenza costituita dall’ingegneria sociale cinese, capace di isolare sessanta milioni di persone, senza tuttavia destare concretezza emergenziale in noi occidentali. Ha davvero del surreale tutta questa vicenda politica, economica e sociale?

La risposta a questa domanda è ovviamente no. Il motivo risiede nelle decine di migliaia di pagine che da decenni vengono redatte dai ricercatori di tutto il mondo sulla probabilità certa ed ineluttabile d’insorgenza di un nuovo patogeno dal potenziale distruttivo per i nostri apparati. Non solo l’OMS ha profuso report e manualistica, ma fin anche i singoli gruppi di ricerca di svariate università hanno, a più riprese, in pubblicazioni evidentemente poco interessanti per l’amministratore medio, paventato la certezza di un evento come quello che ancora adesso ci risulta difficile credere reale. Tra queste realtà accademiche non mancano gli ex precari di italica provenienza.

Certo, questi organi di ricerca non offrivano previsioni certe, per la verità consideravano più che altro il pericolo del salto di specie di patogeni come H5N1, un insidioso Orthomyxovirus dall’alto tasso di letalità. Ciononostante un betacoronavirus, seppur non tra i favoriti, era tuttavia quel genere di epizoozia che per le sue caratteristiche influenzali, occupava il pantheon delle possibili piaghe per la nostra specie. Ma quale interesse ecologico è mai stato veramente considerato da un mondo istituzionale che promuove embarghi per tutti tranne che per Bolsonaro?

È d’obbligo premettere che, personalmente, ho potuto, nel corso degli anni, leggere decine di queste pagine, nei limiti delle mie competenze. Cosa mi aveva portato a consultare report epidemiologici e la storia delle malattie infettive, unitamente ai disastri che avrebbero potuto generare nel nostro sistema di civiltà globale? Nel caso specifico due fattori strettamente legati al mio vissuto. La fortuita coincidenza di nascere con un padre medico, che narra da anni in famiglia dei tagli alla sanità pubblica, e gli studi universitari in sociologia, a tutt’oggi di nuovo interesse per chi si ritrova scandalizzato dai supermercati svuotati. Tanto mi è bastato ad incappare nei suddetti scritti, che fino a non molto tempo fa avremmo potuto catalogare nell’ordine della fantascienza e che ora appartengono alla drammatica realtà di questi anni ’20 del XXI secolo.

Mi chiedo, dunque, come sia possibile che nessun organo istituzionale a livello nazionale ed internazionale, con responsabilità enormi e specifiche in materia strategico-sanitaria, sia stato in grado di replicare, e traslare a livello preventivo, queste letture su epidemiologia e rischio sanitario.

Come mai siamo così impreparati da sentire il primo ministro britannico e il suo entourage di scienziati ritrattare nell’arco di due giorni l’ipotesi di immunità di gregge, quando era evidente anche ad un profano l’impossibilità e la gravità politica di scommettere sullo scenario di una malattia infettiva sconosciuta, dove nulla è garantito? Come possiamo valutare, ancora, l’inesistenza di un piano economico europeo per scenari pandemici? A quanto pare, il nostro bel mondo globalizzato stenta a farsi una ragione di questa pandemia globale e delle contromisure necessarie.

Nessun fatalismo è giustificabile, nessuna cultura è salva da responsabilità dirette in merito ad uno scenario di emergenza sanitaria ed economica come quello attuale. È molto più facile pensare, piuttosto, che ad oggi si stiano scontando, con migliaia di vite – economicamente e moralmente parlando – le conseguenze di un non pensiero, mantecato in anni di pace e consumo ozioso. Un’etica inversa, per la quale e nella quale le nostre società hanno fluttuato senza responsabilità rispetto alla civiltà globale che andavamo formando, nonostante le fragilità strutturali che implica e che erano state profeticamente postulate da Roberto Vacca nell’illuminante Il medioevo prossimo venturo. Titolo evocativo, non vi pare?

Arresi al fatto che un’influenza di polmonite virale altamente contagiosa è un epifania per i governi e gli apparati strategici del mondo, non resta che interrogarsi su quale futuro, al netto di tutto ciò che sta avvenendo in questi giorni sospesi e concitati, si delinei al nostro orizzonte.

La speranza risiede, almeno nella mia prospettiva personale e, vi premetto, utopistica, nella svolta etica, fondante di un mondo, se non nuovo, rinnovato. Un mondo e un paese riscoperti ad un costume di maggior responsabilità, di minor vezzo. Abbandonare gli stilemi della post-contemporaneità speculativa e incentrata sullo sviluppo, per riscoprire la civiltà dell’etica del progresso, del lavoro, dell’ambiente come sistema di vita integrato nelle nostre sovrastrutture di complessità.

Una civiltà che non pensi solo occasionalmente al contatto e contratto sociale come godimento dovuto, ma che lo includa in un fine che orienti le istituzioni e la quotidianità degli usi. Il rispetto dei doveri verso la comunità, piuttosto che il posizionamento sociale individualistico – quello che ci impediva di rinunciare all’aperitivo.

Più che dai cambiamenti dovremmo imparare da ciò che non è mai cambiato nella storia recente dell’Occidente: la degenerazione etica degli apparati istituzionali, che tanto ci sta costando in vite e welfare oggi. Ci serve una rifondazione che si strutturi sull’etica del bene comune e sull’appartenenza transnazionale. Senza impantanarci in non pertinenti polemiche politiche, come lo è stata quella sul razzismo, emblematiche rappresentazioni dell’incapacità di concepire i veri punti nodali del nostro futuro. Non perché il razzismo sia tema privo di importanza, ma perché in un mondo eticizzato l’uguaglianza deve già essere un dato acquisito.

Alla fin dei conti, quale altra morale per il nostro domani? Se, al contrario, qualsiasi delle innumerevoli lezioni che potremmo imparare da questa tragedia non fosse intesa come una riforma dell’etica comunitaria, non sarebbe che l’ennesima prova di quella che Thomas Ligotti definì audacemente una “cospirazione contro la razza umana”.

Andrea Borsotti



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