20 marzo 2020

OGNUNO PER SÉ: LE URLA DAI BALCONI DI VIALE MONZA

Quel che resta dell’umanità


PER COMINCIARE: Mentre sui social imperversano le manifestazioni di solidarietà, dai balconi di viale Monza risuona qualcosa di diverso dall’inno d’Italia da flashmob: le urla degli spaventati, degli individualisti, di quelli che hanno la sfacciataggine di gridare quello che gli altri si limitano a pensare.

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La strada, che anche a mezzanotte e a Ferragosto era sempre piena di gente, si trasformò in un deserto interrotto da qualche voce e passi nel silenzio. Ogni tanto la mattina qualcuno andava a sedersi sui gradini al sole di primavera e si toglieva la mascherina, respirando l’aria che – come scrivevano i giornali – era finalmente pulita”.

Il sole tramonta dietro i vetri, anche oggi. Non riesco a sentirmi parte della collettività perché in questi giorni non esiste, mai come adesso è un concetto astratto che si scontra con il territorio inviolabile e concreto dell’individuo. Non riesco a credere a nessuno. Non a chi esprime solidarietà a parole che non costano nulla, non a chi lancia appelli, non a chi impartisce lezioni sui social.

Credo alle urla vigliacche e anonime dai balconi che danno dell’untore a ogni innocente passante. Non i canti, urla. Ci credo perché nel mondo deformato da un nemico invisibile, questo è uno schifo reale, udibile, tangibile. L’orrore dell’essere umano che sarebbe pronto a uccidere per difendersi, che in America compra armi, non certo per sparare al virus; lo farebbero in tanti anche qui, se fosse lecito, e se le terrebbero strette anche per i tempi di pace. Nelle urla dai balconi – tragedia nella tragedia – c’è tutta la verità animale di chi difende il suo piccolo spazio incontaminato rispetto al quale tutto è esterno ed estraneo, tranne sé stessi. Per almeno due terzi delle persone la verità attuale è tutt’altro che preoccupazione per gli altri. Forse il risultato pratico non sarebbe molto diverso, ma a Milano oggi si agisce pochissimo per rispetto e senso civico, benché questo vogliano farci credere per giustificare comportamenti ingiustificabili.

Piovono gli insulti sulla via deserta, contro la signora che torna dal lavoro dove è stata costretta ad andare, nonostante tutto. Quando qualcuno trasmetterà finalmente a chiare lettere il messaggio che non sono i dieci in giro o i runners a propagare il virus, sarà comunque già tardi! La polizia osserva in silenzio la fila davanti al fruttivendolo arabo sull’angolo e non ha niente da obiettare, lascia che passino uomini e donne di tutte le etnie. Eppure la signora dalla finestra, non soddisfatta strilla “tornatevene a casa vostra!”.

Se qualcuno stesse male in strada potrebbe morire: chi si avvicina agli altri in tempo di peste? Il mondo invoca l’igiene contro il contagio, lasciando sottinteso: “io sono pulito e comunque un po’ più di voi”. La natura si svela attraverso l’alibi della paura e della legge, perché in fondo di essere infettati dagli altri si ha paura da sempre. Figurarsi ora. Mio figlio, la mia casa, la mia vita: tutto il resto non conta nulla, e non perché siamo in emergenza: per la maggior parte delle persone non ha mai contato nulla. Il senso comune è più atroce di qualsiasi decreto, per tanti cittadini l’esercito sarà comunque arrivato troppo tardi e i soldati saranno troppo pochi.

Scusa io rispetto le regole, mantengo le distanze”: ora va bene così, viene imposto da chi ha le competenze e l’autorità. Queste distanze però non si accorceranno mai più, ne abbiamo coscienza: eppure non lo ammetteremo mai. Si fa per gli altri e con gli altri solo quello che non costa nulla, come parlare e scrivere. Se almeno fossero parole che portano speranza e conforto! No. Si moltiplicano le accuse, il senso di responsabilità è interpretato a proprio piacimento, trasformato in uno scudo contro i più deboli. È il nuovo razzismo che non conosce confini e non salva nessuno. Allora al diavolo le periferie milanesi, basta che tutto sia nascosto dietro le mura, che non ci sia gente in giro: in futuro si vedrà, forse…

Nel frattempo, alla gogna chi va a comprare il pane una volta in più, chi ha bisogno di tanta carta igienica (chissà poi per quale strano motivo). Lo vedi quel vecchio in fila con la stampella davanti al supermercato? Educato, tranquillo, senza chiedere di passare avanti. Senza mascherina, però, che forse ha girato cinque farmacie e non l’ha trovata. È un disgraziato sai, che se muore lui cosa importa (deve avere almeno ottantacinque anni) ma quante persone potrebbe infettare mentre sta lì, quante mamme?

All’inizio del contagio si faceva finta di preoccuparsi per gli anziani, si diceva di stare attenti soprattutto per tutelarli, visto che erano quelli più a rischio; poi nei giorni il messaggio si è perso, dal momento che siamo coinvolti nell’epidemia tutti indistintamente: “Che muoiano pure, i vecchi, di virus o di fame! Basta che non vadano al supermercato, in particolare quello sotto casa mia”. Non dimenticherò, certo che non dimenticherò.

Come in ufficio si è passati in un mese dagli stucchevoli baci sulla guancia, stupidi e inutili, allo “scusa, mantengo le distanze di sicurezza, rispetto le regole”. Distanze che non si accorceranno mai più, nella storia di ciascuno, delle sue relazioni. Non dimenticherò i vicini che hanno preso il treno per il Sud la sera prima della tempesta, né l’ignoranza di chi dice: “in Cina rispettano gli ordini, gli italiani sono un popolo di furbi, ci vorrebbe la dittatura pure qui”. Ignoranza e cattiveria hanno trovato una valida ragione di esistere – nel momento critico – e questa legittimità riscoperta di esprimere i propri istinti peggiori non sparirà con il virus. Ora il disprezzo dell’altro prende la forma della paura; in realtà è iniziato prima e non finirà presto.

L’indole di almeno due terzi dell’umanità è a nudo per sempre. Ogni giorno mi chiedo che cosa succederebbe se medici, infermieri, virologi, ricercatori e, perché no, anche politici fossero sopraffatti da questa paura irrazionale senza costrutto e urlassero “si salvi chi può!” dai balconi come fanno le casalinghe di viale Monza. La stupidità risalta ed esulta nella disperazione, sinistra e destra si danno la mano virtualmente e conta una sola cosa: se stessi.

Fatevi la spesa per un mese, possibile che non ne siate capaci? E lasciate qualche cassa d’acqua per gli altri, soprattutto per me”. E ancora, “d’ora in poi non andrò più al ristorante, e del cinema e del teatro si può fare benissimo a meno. Anche dell’ufficio farò a meno, tanto c’è lo smartworking, no?”. Tanto peggio per chi non può lavorare da casa, magari perché fa l’ambulante al mercato, vende vestiti, confeziona le uova con cui ci facciamo la frittata (per questo gli siamo è grati, ovvio, solo a parole).

Tanto peggio per loro… L’importante ormai, è solo restare puliti.

Eleonora Poli



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  1. Dario SacchiPosso anche comprendere, a tratti, lo spirito di alcune considerazioni qui espresse, ma come grido d'allarme mi sembra, nel complesso, piuttosto sbilanciato: niente da dire, per esempio, su coloro che, al contrario, continuano a raccogliersi, tutti allegri e schiamazzanti, nei parchi e nelle movide come se niente fosse? Sono meno egoisti solo perché non sono solitari? Per me in questo momento sono degli irresponsabili e degli incoscienti, di fatto assai più pericolosi degli "individualisti" tanto stigmatizzati in questo articolo. "Non sono i dieci in giro a propagare il virus": sì, purché siano davvero solo in dieci, e se, tardivamente oltretutto, non si fosse diffusa un poco della consapevolezza che questa giornalista denigra con tanta violenza verbale sarebbero ancora migliaia (e spesso lo sono ancora)...
    25 marzo 2020 • 13:05Rispondi
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