17 marzo 2020

COVID 19 ED ALTRI “VIRUS” PANDEMICI

La crisi chiede cambiamenti anche a Milano


PER COMINCIARE: Cosa succede se un virus chiamato Covid-19 “smonta” il mito della globalizzazione forsennata, consumista e noncurante dell’impatto ambientale? Dipende tutto dalla reazione dei cittadini e dei loro rappresentanti, come racconta Giuseppe Ucciero.

ucciero

Si fatica a cogliere nelle sue reali dimensioni l’impatto della pandemia che ha colpito l’Italia, l’Europa ed il mondo intero. Mentre il fenomeno prende drammaticamente corpo nella dimensione sanitaria, si manifestano “virus” altrettanto universali, ma sociali, economici, culturali. Se è facile accusare la classe politica, nazionale, regionale e locale, dobbiamo ammettere che tutti annaspiamo nella comprensione di un fenomeno, la pandemia, di cui si erano perse le tracce nel vissuto individuale e collettivo.

Alcuni ricordano altre e non lontanissime crisi sanitarie globali (SARS, influenza “spaziale”..), ma il paragone, utile fino ad un certo punto, non coglie quanto vi è di specifico nella vicenda attuale, ovvero la forza devastante di un virus planetario nel mondo globalizzato. L’aveva previsto, non da solo, Bill Gates. Ora è accaduto e a posteriori è facile vedere che non vi era motivo per cui, avendo globalizzato e risolto le frontiere, o quasi, solo i virus sarebbero stati trattenuti alle frontiere.

Nata in Cina, accolta in occidente non senza punte di razzismo e perfino di compiacimento, la pandemia si è estesa a tutta la fascia temperata dell’emisfero settentrionale, colpendo Iran, Europa e successivamente USA. Italia e Lombardia ne sono ora l’epicentro. Di lì, sciama verso le altre aree. Una pandemia globale colpisce per la prima volta un’economia globale, sfilacciando, indebolendo fino ad interromperli gli scambi di merci e di persone. Il “virus” dei corpi si trasferisce al mondo delle merci, delle cose, colpendo al cuore un sistema economico fondato sullo scambio forsennato delle risorse alimentari, dei beni di consumo e durevoli, fino a danneggiare i circuiti globali della finanza, immateriali sì ma vitalmente connessi al mondo degli oggetti.

Poiché gli scambi non riguardano solo le cose, sono coinvolte anche le persone, i corpi in movimento: la nostra società presuppone un’elevatissima mobilità di supporto alle attività produttive, commerciali, turistiche, pubbliche ed individuali. COVID 19 la riduce fino a bloccarla, riportandoci indietro nel tempo, quando, solo quattro generazioni fa, il giro d’orizzonte era colmato dal campanile e poco più. Se anche, lo speriamo tanto, il picco sarà presto raggiunto, il fenomeno via via contenuto e quasi localmente scomparso, sono più che probabili il suo permanere in altre aree del mondo ed il potenziale ritorno.

Ed allora, non è impronosticabile un futuro prossimo fatto di mille precauzioni, di obbligatorie separazioni sociali, di orizzonti operativi, sociali e culturali delimitati da divieti, prassi, attenzioni profilattiche. Certo, la ricerca internazionale è mobilitata, e da Napoli come dall’Olanda, filtrano alcune strategie farmacologiche di riduzione del danno, ma servirà tempo. Nel frattempo, il danno sarà compiuto. Soprattutto vi è il rischio di altri shock simili. Dobbiamo quindi abituarci all’idea di un radicale mutamento delle nostre regole d’ingaggio, sociali, culturali, economiche?

Dobbiamo prendere in considerazione un mondo reso insicuro proprio dall’ampliamento della sua mobilità, un mondo dove la necessità di protezione, individuale, sociale, nazionale, continentale, farà premio sulla libertà? Come nelle teorie di Lamarque, il cambiamento si introduce non solo per graduale adattamento darwiniano, ma per shock drammatici, di tale forza da cambiare le regole del gioco ed i destini di sopravvivenza degli individui e delle specie.

L’illusione di riprendere il filo del discorso, come fosse stata una spiacevole parentesi, appare ormai caduta e non si deve farne specifica colpa ad un Sindaco come Beppe Sala, generato politicamente da un evento globale come EXPO 2015 ed organicamente compreso nella visione di una Milano vincente perché posta al centro dei grandi flussi globali. Dobbiamo considerare che la globalizzazione è una condizione esistenzialmente rischiosa poiché, come tutti i sistemi ad alta interdipendenza, presuppone l’avverarsi ed il riprodursi costante di una molteplicità di condizioni, ambientali, economiche, tecnologiche, sociali, poste per larga parte al di fuori o sopra alle nostre capacità di comprensione e di governo. Qui sta la ùbris, qui il deficit di razionalità che oggi a Milano sconta come e più di altri: l’aver elaborato e diffuso una visione di metropoli poggiata su di un precario equilibrio di fattori. Altro che Cigno Nero.

Quasi si intravede, nella mano di gioco che spesso la storia introduce di soppiatto, l’avviso di crisi ad un sistema planetario integrato di produzione e riproduzione. Negli ultimi decenni, il mondo è divenuta una gigantesca piattaforma produttiva integrata, sostenuta dalle grandi reti planetarie, logistiche, tecnologiche, linguistiche, politiche e culturali, promossa e via via implementata come se fosse al tempo stessa obbligatoria e priva di controfattori. Ma se oggi si manifesta quello sanitario, altri ne appaiono nitidi, a chi vuole vedere, in primis quello ecologico, negato solo dalla delirante destra internazionale dei Trump, dei Johnson, dei Bolsonaro e dei mille Salvini locali.

Il mondo è stato globalizzato, è vero, e neppure possono essere negate alcune ricadute benefiche, ma il saldo appare roseo per i pochi e non per i molti. Soprattutto appare critica, per non dire insostenibile, la tenuta complessiva del sistema, la sua capacità di garantire in modo permanente ed ordinario la riproduzione dei fattori di vita che sostengono la sfera della produzione e dei consumi. Come in tutte le crisi, si aprono di fronte a noi, anche a Milano, almeno due strade, la prima volgarmente definibile come “mettiamoci una toppa”, ovvero proseguiamo sulla strada finora percorsa con qualche limitata correzione, la seconda implica invece una coraggiosa rimessa in discussione del modello complessivo della globalizzazione finora seguito.

Il rischio forte del primo scenario potrebbe generare rotture ingovernabili, aprendo il destino comune ad un mondo fatto di ricche enclaves (poche) iperprotette, ed il resto lasciato a sé stesso, traducendo su scala planetaria le “gated community” brasiliane o anche statunitensi. Il secondo scenario, definibile “glocal” riporta territorio e sostenibilità al centro del discorso, ri-valorizzando il locale nelle reti di cooperazione sostenibile. In questo quadro, un ruolo essenziale è giocato dalle tecnologie di rete, internet, social, piattaforme di comunicazione e gestione on line, che possono sostenere strategie fortemente distanti, per non dire opposte.

Non è fuori luogo ricordare che Internet nacque come progetto del Ministero della Difesa USA come risorsa utile negli scenari bellici dove i normali mezzi di comando, comunicazione e collaborazione, vengono interrotti. In questi giorni di isolamento dei corpi, la rete ha svolto un importante ruolo di socializzazione, ben oltre le pur apprezzabili “balconate”. La loro funzione abilita, rende possibili, forme di collaborazione e socializzazione a distanza, ed è spendibile anche a supporto di scenari di revisione della globalizzazione forsennata ed autodistruttiva che ha imperato negli ultimi anni, una globalizzazione che ci ha indotto consumi innaturali ed antisociali, ma che contiene anche importanti risorse liberatorie.

Quale destino sceglie per sé Milano, quali correzioni è disposta ad introdurre alla visione prevalente degli ultimi anni, che l’ha vista sempre più spostata dal mondo della produzione e dei saperi al suo servizio verso il circuito evento-valorizzazione immobiliare-turismo di massa?

Ogni crisi contiene in sé minacce ed opportunità: saranno capaci le leadership individuali e collettive della nostra metropoli di immaginare una Milano all’altezza dei rischi e dei cambiamenti?

Giuseppe Ucciero



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  1. CristinaAnalisi perfetta,lucida e disincantata. Ne abbiamo bisogno: per pensare oltre le paure e l'incertezza.
    19 marzo 2020 • 10:26Rispondi
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