16 marzo 2020

PROTEGGERE LE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE

Le tentazioni di chi usa il coronavirus come una clava


PER COMINCIARE - Le istituzioni democratiche sono aggredite da chi, con la scusa dell'epidemia, culla il sogno dell'uomo forte. Difenderle è il dovere di tutti i democratici.

Sono davvero molte le riflessioni – sotto il profilo della vita delle istituzioni – cui induce l’esperienza che stiamo vivendo. Per esempio avete fatto caso alla circolazione di un sottile e suadente richiamo al “modello cinese”? L’epidemia sembra portare con sé una giustificazione quasi-scientifica dello stato autoritario. Come farà il nostro Paese anarchico, individualista e indisciplinato e superare la crisi? Non sarebbero necessari l’esercito, la repressione, la centralizzazione assoluta e indiscussa del potere, libero dai lacci dei controlli democratici? Il “modello cinese” costruisce ospedali da campo in pochi giorni, salva le vite dei suoi disciplinati cittadini e ora generosamente ci vende addirittura le mascherine di cui abbiamo bisogno.

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E’ importante ricordare a noi stessi che l’esercizio di poteri speciali in questa inedita situazione, da parte del Governo, ha invece fondamento costituzionale: la compressione di diritti fondamentali (di movimento, d’iniziativa economica) è giustificata dalla straordinaria necessità di protezione del superiore interesse collettivo ed è deliberata nelle forme previste dall’ordinamento per i casi eccezionali, secondo uno schema proprio di tutti i sistemi liberal democratici.

Nei regimi democratici l’esercizio del potere, anche nei momenti della più acuta emergenza, è fra l’altro soggetto al principio di proporzionalità: il potere cioè deve infliggere ai cittadini un sacrificio nella misura minima necessaria al raggiungimento dello scopo.

Sembra espressione di questo principio l’uso prudente (almeno fino ad ora) da parte del Governo dello strumento repressivo: la sanzione di 200 € a carico di chi violi la disciplina restrittiva è davvero modesta (in Spagna le sanzioni possono arrivare a 600.000 €, e la detenzione a 1 anno) e i decreti fin qui approvati sembrano fondare la coercizione più che sul timore della repressione, sul principio di responsabilità personale dei cittadini; una forma evolutiva del principio (del resto diffuso proprio in materia sanitaria) del consenso libero e informato.

In effetti l’Italia sta giocando una partita che trascende la salvezza delle vite perché – di fronte al mondo – è chiamata per prima a dimostrare che sconfiggere un’epidemia con gli strumenti della democrazia liberale, salvaguardando i diritti fondamentali, è possibile.

Se ci riuscirà avrà dimostrato che per proteggere la salute dei cittadini non sono necessari stato di polizia, menzogna organizzata, propaganda, culto della personalità, spie e delazione di massa, né quell’assenza di ogni forma di democrazia che caratterizza la Cina, uno dei regimi più oppressivi, repressivi e sanguinari del mondo.

E’ una scommessa che si gioca sulla sostanza (quanti cittadini saranno arrestati? Riusciremo a non far ammalare i carcerati e gli stranieri ristretti nei centri di raccolta? Si risolleverà la nostra economia?) ma anche sulla forma. E’ infatti indispensabile che, nell’emergenza, l’assetto costituzionale dei poteri non venga compromesso e, in particolare, che il Parlamento – pur nelle evidenti difficoltà – non rinunci a svolgere le sue funzioni (pensate per un momento se il Governo avesse scelto la strategia britannica per combattere il virus, e non ci fosse stato un Parlamento, eletto democraticamente, a proporne e imporne una diversa).

Il Parlamento non ha solo funzioni di ratifica delle decisioni del Governo, ma ha anche funzioni di controllo, di impulso, di proposta e di decisione, per esempio, sulle importanti scelte di spesa che attendono il Paese.

Il Parlamento dovrebbe – in una democrazia ideale e in situazioni emergenziali e di pericolo come quella in cui ci troviamo – lavorare “in seduta permanente” e non a singhiozzo e a ranghi ridotti come stiamo osservando.

Un’ultima notazione: l’epidemia dovrebbe aver auspicabilmente seppellito nell’oblio i velleitari quanto stolti disegni di autonomismo differenziato di Lombardia e Veneto: in queste settimane l’estremizzazione del regionalismo ha mostrato tutti i suoi limiti: il Paese ha bisogno di una disciplina chiara e unitaria e coordinata a livello centrale: tutti gli italiani avrebbero dovuto essere sottoposti alle medesime regole – decise dai poteri nazionali, nel continuo concerto con le agenzie sanitarie – e eventuali differenziazioni avrebbero dovuto dipendere dalla visione generale e non certo da quella locale (né dalle smanie di protagonismo dei suoi drammaticamente inadeguati esponenti locali).

L’emergenza dimostra che c’è bisogno di maggior coordinamento, di concerto, collaborazione e flessibilità fra potere centrale e autonomie locali, l’esatto contrario dell’irrigidimento che le modifiche statutarie pretese dai governatori della Lega porterebbero.

La visione sulle disponibilità presso gli ospedali per indirizzarvi chi ne ha bisogno, l’approvvigionamento e la destinazione di macchinari, i rapporti commerciali per assicurare gli approvvigionamenti, la localizzazione di strutture temporanee, le relazioni internazionali per rimuovere i blocchi alle frontiere (decretati dagli amici sovranisti dei governatori sovranisti) sono funzioni che non possono che essere esercitate dallo Stato.

Se le regioni avessero avuto quella competenza esclusiva sulle scuole che pretendevano a gran voce, gli studenti italiani avrebbero goduto di diversa protezione dal virus a seconda delle convinzioni del Governatore di turno (in un paese in cui una cospicua fetta della classe politica è convinta dell’inutilità dei vaccini).

Non di più regionalismo ha bisogno l’Italia ma di più Europa: fra pochi giorni Spagna, Francia, Germania, Belgio, Portogallo si troveranno nella nostra situazione odierna e allora sarà più chiaro come solo insieme, rifuggendo sia dalle sirene autoritarie che da quelle sovraniste (che sono poi due facce della stessa miope ed egoistica medaglia) l’Europa democratica, nel rispetto dei diritti individuali fondamentali, potrà salvaguardare la salute dei propri cittadini e poi risollevarsi.

Il virus insegna che occorre una visione e una gestione europea delle grandi crisi, che l’Europa non può essere ridotta a un distributore di fondi ma deve essere messa in condizioni, anche con il conferimento di nuovi poteri – dal controllo dei confini, all’esercito comune fino al coordinamento di emergenze sanitarie – di esprimere una protezione più ampia, più efficiente e più incisiva, di quanto ogni singolo stato possa riuscire a fare, dei cittadini europei.

Mentre scrivo apprendo che la Commissione UE ha lanciato una call immediata a scadenza tra 4 giorni con budget di 164 ml€ per qualsiasi start up che possa aiutare a fronteggiare qualsiasi aspetto dell’emergenza Covid-19 senza altri tipi di vincolo di tipologia di soluzione.

È così che l’Europa potrà dimostrare a Trump che non serve chiudere le frontiere ma occorre la forza di convincere le persone a chiudersi a casa, la generosità e la lungimiranza di apprestare una sanità efficiente a disposizione di tutti, e il coraggio di investire nei giovani, nelle idee e nella ricerca proprio nel momento del bisogno, con lucidità e disponibilità che nessuno degli Stati membri in difficoltà potrebbe esprimere.

Simona Viola

Presidente di +Europa



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