7 marzo 2020

SI È TENUTO NASCOSTO UN BUCO NERO DELLA SANITÀ ITALIANA

Ora ci scoppia in faccia


Da tempo circolano considerazioni “ufficiali” assai allarmate su alcuni aspetti del sistema sanitario del nostro Paese. Considerazioni che si riflettono anche sulla capacità del nostro sistema di gestire in modo adeguato l’epidemia del Coronavirus. Ne parliamo tra poco.

Una premessa, tuttavia, è indispensabile. Non è vero che il nostro sistema sanitario, nel suo insieme, non funzioni bene. È vero il contrario. In questo come in altri casi, il metro di giudizio più corretto è quello di rapportare quanto succede in Italia con quanto succede in altri Paesi, in particolare in quelli che di solito vengono considerati i Paesi di riferimento. In termini comparativi risulta evidente da tempo che la condizione di salute degli italiani è assai buona. Il merito di questo non va solo al sistema sanitario del Paese, ma va di sicuro anche a questo. Ne voglio parlare prima di tornare sul tema scottante della cattiva gestione nel nostro Paese di alcune emergenze sanitarie.

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Due belle pagelle sulla sanità italiana.

Molte morti avvengono in ogni Paese per il funzionamento non ottimale del sistema sanitario. Sono morti dovute soprattutto al ritardo negli interventi effettuati dopo l’insorgere di malattie, oppure a protocolli di intervento non adeguati, oppure a procedure chirurgiche errate, oppure ancora alla mancanza di azioni di prevenzione ritenute necessarie. Queste sono le morti definite “evitabili”. Nei 28 Paesi dell’Unione Europea ogni anno secondo Eurostat muoiono in Europa in media 127 persone ogni 100.000 abitanti per motivi legati proprio al funzionamento subottimale delle strutture sanitarie.

Si tratta di una cifra enorme: 570.000 morti all’anno nell’Europa dei 28 Paesi. Il Paese che ha il minor numero di morti evitabili in Europa è la Francia (78 per 100.000), segue la Spagna (88), poi l’Olanda (91), quindi l’Italia in quarta posizione con 93 morti all’anno per 100.000 abitanti. L’Italia ha molti meno morti non solo della media UE (127), ma anche della Svezia (97), dell’Austria (109), della Germania (116), del Regno Unito (117). Si tratta pur sempre di circa 55.000 persone che ogni anno muoiono in Italia per una causa “evitabile” di morte. Sarebbero 10.500 in meno se l’Italia riuscisse a raggiungere la percentuale francese.

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Se le morti “evitabili” sono molte, le morti “prevenibili” sono molte di più, quasi il doppio. Le morti “prevenibili” sono quelle dovute a fattori comportamentali e ambientali, stili di vita, condizioni socio-economiche. Obesità, fumo, alcool, droghe, omicidi, suicidi, incidenti stradali, incidenti sul lavoro, cadute sono le cause principali di queste morti. In tutta Europa ci sono ogni anno un milione di morti prevenibili, pari a 216 morti per 100.000 abitanti. Nella sola l’Italia le morti prevenibili sono 90.000 all’anno. Ancora una volta una cifra enorme. Ma in termini relativi, l’Italia è il Paese più “virtuoso” d’Europa. Nel 2015 le morti prevenibili in Italia erano pari “solo” a 151 per 100.000 abitanti, contro 159 in Spagna, 174 in Svezia, 182 in Grecia, 184 in Francia e 187 in Olanda. In posizione ancora peggiore si collocano Danimarca (205), Regno Unito (211), Germania (215), Belgio (216). l’Austria (220).

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Per quanto riguarda le grandi cause di morti evitabili o prevenibili l’Italia risulta quindi essere o prima della classe o comunque in posizione nettamente migliore rispetto alla media degli altri Paesi europei, anche di Paesi con reddito pro-capite nettamente più elevato rispetto al nostro. È proprio tenendo presente questa collocazione quasi ottimale del sistema salute italiano nel panorama internazionale che fa meraviglia scoprire un punto di drammatica debolezza del nostro sistema sanitario nazionale. Esso riguarda la capacità di gestire il fenomeno, in forte crescita, delle conseguenze, spesso letali, delle infezioni derivanti da microorganismi resistenti agli antibiotici (antimicrobial resistance, AMR nel gergo scientifico internazionale.)

Il buco nero della sanità italiana.

Nel 2015 il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (ECDC d’ora in poi) ha effettato una ricerca in tutti i 28 Paesi dell’Unione Europea proprio sulle morti derivanti da infezioni dovute appunto a micro-organismi resistenti agli antibiotici (AMR). I risultati ufficiali della ricerca sono stati pubblicati nel 2018 su The Lancet, la più antica e forse ancor oggi la più prestigiosa rivista scientifica in ambito medico. Si tratta in complesso di “soli” 33.000 casi di morte in tutta Europa (una frazione pari al 3-6 per cento dei casi visti prima). Ma si tratta di un fenomeno molto serio e in preoccupante crescita. L’Italia, che ha solo il 12 per cento della popolazione europea risulta essere il Paese in cui avviene addirittura un terzo di tutte le morti causate da AMR in tutto Europa: 10.800 morti all’anno in Italia, contro 33.000 in tutta Europa.

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A seguito di quanto emerso nella campagna di ricerca del 2015, nel gennaio 2017, l’ECDC ha effettuato una missione in Italia per valutare a fondo cause e motivi della dimensione allarmante delle infezioni mortali da AMR. Quali sono, secondo l’ECDC, i motivi di questo specifico punto di collasso del sistema sanitario italiano?

Tre sostanzialmente:

  • L’Italia è uno dei Paesi Europei in cui è molto elevato il consumo pro-capite di antibiotici. Questo vale in particolare per quanto riguarda le prescrizioni fatte dai medici da base, ma vale anche per quanto riguarda gli ospedali. E vale altrettanto per quanto riguarda il consumo di antibiotici per gli animali di allevamento. Questo elevato consumo diretto e indiretto di antibiotici rende inevitabile che l’insorgenza di infezioni da AMR sia superiore in Italia rispetto ad altri Paesi europei.
  • I laboratori di analisi di molte strutture italiane (quelle private in particolare) sono spesso inadeguati rispetto alle esigenze di monitoraggio delle fonti di infezioni da AMR. Sia perché non dispongono di personale medico addestrato su queste infezioni, sia anche perché non sono in grado di effettuare e ripetere tutte le analisi necessarie. Ma ancor più perché i risultati delle analisi non confluiscono in un laboratorio nazionale e vengono veicolate alle strutture mediche interessate senza indicazioni relative all’incidenza delle diverse patologie di resistenza agli antibiotici nel loro contesto di riferimento.
  • Quasi tutte le procedure da seguire per ridurre al minimo l’incidenza di infezioni resistenti agli antibiotici, ivi inclusi i principi di base relativi all’igiene delle mani, vengono seguite anche dal personale medico e paramedico in modo non organizzato e non sistematico.

Può valer la pena riprodurre qui in modo integrale le conclusioni cui la missione ECDC è pervenuta:

Durante il sopralluogo svolto in Italia il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie ha spesso avuto l’impressione che gli elevati livelli di casi di resistenza antimicrobica siano accettati da parte degli operatori del sistema sanitario, come se fossero inevitabili. I fattori che contribuiscono negativamente a questa situazione sembrano essere:

  • Scarso senso di urgenza attribuito all’attuale situazione della resistenza antimicrobica e tendenza di molte parti interessate a evitare di farsi carico del problema;
  • Mancanza di supporto istituzionale a livello nazionale, regionale e locale;
  • Mancanza di leadership professionale a ogni livello;
  • Mancanza di responsabilità a ogni livello;
  • Mancanza di coordinamento delle attività tra e all’interno dei livelli.

“Le infezioni non trattabili con antibiotici che emergono in corrispondenza al trapianto di organi, ad altri interventi chirurgici importanti o alla permanenza del paziente in strutture di terapia intensiva, sono già attualmente un’occorrenza statisticamente significativa in molti ospedali italiani”.

Queste ultime righe danno il senso della gravità percepita dalla struttura di riferimento per il controllo e la prevenzione delle malattie nell’Unione Europea relativamente all’incapacità del sistema italiano di darsi carico delle procedure per contenere al minimo le morti da AMR. Eppure, dopo un rapporto di questa natura, contenente affermazioni gravi che raramente si usano nelle pubblicazioni di Enti europei, non vi è stata alcuna pubblica discussione, né alcun dibattito.

Pochi mesi dopo la missione dell’ECDC in Italia, il Ministero della Salute ha varato, senza alcun rumore, un “Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza” 2017-2020. Il piano fa proprie, anche se in modo molto burocratico, tutte le osservazioni e i suggerimenti contenuti nel rapporto dell’ECDC. Che ne è di quel piano? Non ho accesso ad eventuali circuiti di informazioni riservate agli operatori sanitari, nei quali sicuramente la cosa sarà stata anche attentamente valutata. Su un tema di questa dimensione, tuttavia, mi sembra giusto vi debba essere una qualche notizia pubblica circa lo stato di avanzamento di quel piano, e magari anche un’indicazione per sapere se le 10.000 morti derivanti da infezioni per AMR avvenute nel 2015 sono oggi aumentate o diminuite.

Soprattutto alla luce di una delle osservazioni più drammatiche contenute nel rapporto dell’ECDC del 2017: “Se le attuali tendenze alla crescita di infezioni resistenti agli antibiotici non viene invertita, in Italia un numero elevato di interventi medici chiave saranno compromessi nel prossimo futuro”.

Il buco nero e l’epidemia in corso.

L’epidemia da Coronavirus ha in comune due cose con le infezioni da AMR. È anch’essa un’infezione per la quale non sono disponibili attualmente strumenti di cura. E buona parte delle persone infettate dal Coronavirus debbono permanere per giorni in reparti di terapia intensiva, gli stessi reparti per i quali valgono in modo particolare alcune delle pesanti osservazioni critiche fatte dall’ECDC nel 2017.

Non sorprende, alla luce di tutto questo, che il resto del mondo stia guardando con sospetto alla capacità del sistema sanitario italiano di gestire in modo adeguato l’emergenza Coronavirus. Anche se sarebbe appropriato se ogni tanto un qualche ministro della Sanità italiano si ricordasse di dire che mentre l’aspettativa media di vita alla nascita in Italia è la quarta al mondo, subito a ridosso di Giappone, Singapore e Svizzera, gli Stati Uniti vengono in 35ª posizione, subito dopo l’aspettativa di vita del Libano e subito prima di quella di Cuba. O che l’aspettativa di vita della Germania e del Regno Unito è inferiore di un anno rispetto a quella della nostra disgraziata Calabria.

Il problema di cui ho parlato è tutto nostro. Se il tasso di mortalità italiano per AMR fosse in media con il resto dell’Europa ci sarebbero in Italia circa 7.000 morti l’anno in meno. Se fosse uguale a quello del miglior Paese europeo (l’Olanda) ci sarebbero ogni anno circa 10.000 morti in meno. Un numero di morti che è un multiplo rispetto a quello che alla fine sarà il numero di morti causati dal Coronavirus. E che rischiamo di ritrovarci tal quale dopo che quell’epidemia sarà superata.

Giancarlo Lizzeri



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  1. Gianluigino comment
    22 ottobre 2021 • 08:23Rispondi
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