22 febbraio 2020

ROBERTO TREMELLONI. UN POLITICO MILANESE

Dall'Azienda Elettrica Municipale al golpe. Un ministro dimenticato


tremelloni in fieraNelle periodiche polemiche politico culturali tra Milano e Roma ricorre spesso da parte milanese la stigmatizzazione della sottorappresentazione della città nel Consiglio dei Ministri, di cui anche l’attuale sindaco si è lamentato.

A ben guardare 12 governi su 66 non hanno avuto un ministro milanese, tra gli ultimi oltre all’attuale governo 5Stelle-Pd, il governo Gentiloni (2016-2018).

Soprattutto i governi di centrosinistra hanno poco amato la città: sia il primo governo D’Alema (1998-1999) che il secondo governo Prodi (2006-2008), e appunto il governo Gentiloni, non hanno avuto alcun milanese tra i propri ministri, prendendo atto della scarsa rilevanza della tradizione comunista in città e del declino della tradizione socialista riformista. Nel governo Renzi (2014-2016) il centrosinistra milanese era rappresentato da Maurizio Lupi esponente del Nuovo Centrodestra.

Lamentele parzialmente giustificate: Milano resta comunque la seconda provincia in assoluto per numero di ministri della Repubblica 39, contro i 68 di Roma.

Rivista-Montecitorio-Vita-Del-Parlamento-Aprile-Maggio-1949-CopNel definire ministri “milanesi” intendiamo nati e caratterizzati da una lunga permanenza in area metropolitana anche se forse andrebbero parzialmente aggiunti i molti che per ragioni d’incarico, di lavoro, d’insegnamento, di studio hanno trascorso anni in città, basti pensare a Spadolini.

Quanto a presidenti del consiglio su 29 solo 3 sono stati milanesi Craxi, Berlusconi e Monti (che pure è nato a Varese) ma per una somma di anni significativa; Berlusconi detiene con 3340 giorni il record (Craxi 1093, Monti 529 giorni).

Nessun presidente della repubblica è mai stato milanese (tranne che per la supplenza del 1964), ma abbiamo avuto il presidente del senato di più lunga durata: Cesare Merzagora dal 1953 al 1967. Quanto alla presidenza della camera vi è solo la presenza, e se ne poteva fare a meno, di Irene Pivetti.

Se dalla città passiamo alla Lombardia, questa è la regione che ha espresso più ministri 89 nella storia della repubblica, e i governi più lombardizzati sono stati quelli di Berlusconi (II;III;IV), con 8 e 9 ministri lombardi.

Tra i ministri milanesi ricordiamo i quattro ex sindaci Bucalossi, Aniasi, Tognoli, Moratti, il segretario della CGL Ludovico D’Aragona, l’ex presidente Cariplo Giordano dell’Amore, Luigi Gasparotto (ancorché d’adozione) come Luigi Granelli, Ivan Matteo Lombardo, Claudio Martelli, Giovanni Marcora, Rodolfo Morandi, Ezio Vigorelli ma molti altri se ne potrebbero citare tra milanesi doc e d’adozione.

9788879531382Il forte legame con la politica cittadina è esplicitato dal fatto che quasi tutti i ministri milanesi sono stati anche consiglieri comunali, mentre però rispetto ai leader politici o ai sindaci vi è in città un ricordo persistente e una ricerca storico politica approfondita, dei ministri vi è un diffuso oblio.

Tra i più dimenticati Roberto Tremelloni.

Nato il 30 ottobre 1900, giornalista e editore, collaborò con diverse testate: La Sera, La Giustizia di cui sarà caporedattore e Critica sociale. Nel 1922 s’iscrisse al Partito socialista unitario di Giacomo Matteotti. Partecipò alla vita sindacale dal 1923 al ’25 con Bruno Buozzi e Ludovico D’ Aragona, dirigendo l’organo della Cgil Battaglie sindacali e collaborò con Angiolo Cabrini nell’ufficio romano dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Nel 1926 si occupa della gestione della rivista Quarto Stato di Carlo Rosselli e Pietro Nenni, nel 1931 fondò con Pasquale Saraceno, Virgilio Dagnino, Basso, Giuseppe Faravelli, Luigi Rusca, l’Avv. Tino e Antonio Valeri il Gruppo Amici della Razionalizzazione (GAR), luogo di riflessione economica e di opposizione al regime e pubblica la rivista Borsa.

Antifascista, non di prima fila, scrive una Storia dell’industria italiana contemporanea, poi uscita nel dopoguerra con una prefazione di Luigi Einaudi e insegna in Svizzera. Dopo la caduta del regime partecipa alla fondazione del quotidiano economico24 ore che fu poi rilevato dalla Confindustria e unificato con Il Sole.

Nel ’45 diviene commissario al ministero della Produzione industriale per l’Alta Italia e presidente del Consiglio industriale Alta Italia.

Eletto alla Costituente nella lista del Partito socialista italiano di unità proletaria, fu il più saragattiano dei saragattiani e nel gennaio 1947 aderì alla scissione di palazzo Barberini. Fu sottosegretario al ministero dell’Industria retto da Rodolfo Morandi, nel secondo gabinetto di Alcide De Gasperi (1946), e poi ministro dell’Industria e del commercio (1947). Professionalmente insegna all’università Bocconi, e al Politecnico di Milano come docente di economia e organizzazione aziendale.

Fu l‘uomo del Piano Marshall avendo rappresentato l’Italia a Parigi nella formulazione del piano Marshall ed elaborato il primo piano quadriennale italiano. “Il panorama economico del 1948 è dominato e illuminato dal Piano Marshall. Questo costituisce probabilmente l’ultima fortunata occasione che si offre all’Italia per la sua rinascita e per il suo reinnesto nell’economia internazionale”, con queste parole Tremelloni, da ministro dell’Industria e del Commercio, nel dicembre 1947, presentò al Consiglio dei Ministri un promemoria sulla situazione economica italiana.

Diresse l’inchiesta parlamentare sulla disoccupazione e fu tra i promotori dell’inchiesta sulle limitazioni della concorrenza. Fautore di un socialismo riformista dal forte connotato anticomunista e teorico della programmazione economica fu l’economista di punta della scissione socialista polemizzando spesso con ambienti finanziari e borsistici come nel caso della cosiddetta legge Tremelloni promulgata durante il governo Scelba, (di cui fu ministro del tesoro) in materia di fiscale, legge di perequazione tributaria.

A Milano dal 1952 fino al 1962, fu presidente dell’Azienda elettrica municipale di Milano (vi fu un tempo in cui i presidenti delle municipalizzate erano figure di prestigio nazionale), dove impostò un sistema di welfare aziendale che era all’avanguardia in tutto il paese e che in un certo senso è la quintessenza della sociademocrazia municipale realizzata.

Ministro del Tesoro nel quarto governo Fanfani (1962-63) venne definito il “ministro quanto costa” per la sua severità nella tenuta dei conti pubblici e propose misure incentrate prevalentemente sulla qualificazione della spesa pubblica, l’efficienza della pubblica amministrazione e il ripudio della via inflazionistica.

Nei governi di Aldo Moro fu ministro delle Finanze (1963-66) e poi ministro della Difesa (1966-68).

Fu questo l’incarico per cui forse gli spetta un ruolo non secondario nella storia della repubblica.

Nel gennaio del 1967 promuove una commissione d’inchiesta sull’operato del Sifar, Servizio informazioni forze armate. Sul banco degli imputati finisce Giovanni Allavena, alla guida dei servizi. Allavena viene rimosso dal comando e assegnato alla Corte dei conti. Il 14 aprile del 1967 Tremelloni propone al generale De Lorenzo di dimettersi in cambio di una nomina ad ambasciatore. De Lorenzo rifiuta. L’indomani il Consiglio dei ministri lo destituisce da capo di stato maggiore dell’Esercito e lo destina a non meglio identificati “incarichi speciali”.

Ma De Lorenzo contrattacca parlando della consegna a Saragat di due milioni di lire (poi smentiti), da lui stesso effettuata nel 1957. Si tratta di una minaccia/ricatto utilizzando uno degli oltre 100.000 dossier sulla vita privata dei politici in possesso del generale (dossier che per alcuni sono stati alla base della loggia P2). Il mondo politico si divide e spaventa. Con il SIFAR inizia quella stagione dei veleni e dei servizi cosiddetti deviati che per taluni versi dura tutt’ora. Il 10 maggio, pochi giorni dopo che De Lorenzo era stato destituito il settimanale l’Espresso pubblicò un servizio dal titolo “Finalmente la verità sul SIFAR, 14 luglio 1964, complotto al Quirinale – Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di stato”. E’ l’inizio di una telenovela che passando per Gladio, la P2, ecc. dura ancora oggi.

espressoIl presunto golpe ha sostenitori e negatori. Ancora nel gennaio 2004 Paolo Mieli che sosteneva la tesi di Franzinelli che il Piano Solo fu nient’altro che “un’interpretazione estensiva e autonoma” del “piano di emergenza speciale” predisposto dalla polizia nel novembre del 1961, quando si erano temute violenze di piazza in seguito alla crisi di Berlino, ed Eugenio Scalfari il primo denunciatore del golpe, polemizzavano sulla reale esistenza di un progetto di colpo di stato.

Scrisse Scalfari:Il risultato politico di quel complotto di De Lorenzo fu molto chiaro. Era in atto tra il maggio e il giugno del ‘64 una grave crisi politica ed economica; il business italiano, già colpito dalla nazionalizzazione dell’industria elettrica, tremava al pensiero che i socialisti volessero attuare la nazionalizzazione dei suoli edificabili, che avrebbe spezzato la speculazione sulle aree ed avrebbe impresso un corso diverso allo sviluppo delle città, delle coste, insomma del Paese. Si verificò in quei mesi un esodo di capitali verso la Svizzera e altri luoghi di riparo che non ha precedenti nella nostra storia. In queste condizioni fu deciso, nel business e nei palazzi del potere a cominciare dal Quirinale, che bisognava dare una svolta netta alla politica italiana.

De Lorenzo predispose e si tenne pronto. Anche Moro sapeva e con lui tutti i capi dorotei della Dc. Con la consueta abilità Moro decise di piegare i socialisti per arginare il complotto e le sue conseguenze. Nenni fu convocato e messo al corrente. Da vecchio “politicien” misurò le forze e cedette. Nel comitato centrale del suo partito spiegò la sua decisione confessando che aveva sentito il «rumore delle sciabole». A me lo confermò personalmente quando, essendo io stato eletto deputato, lo sollecitai a schierare il gruppo parlamentare socialista contro le conclusioni perdonatorie della Commissione d’inchiesta. “Se lo facessi – mi disse – il governo cadrebbe. Dovetti cedere allora, non posso impuntarmi oggi”. Ora, caro Mieli, se tu non hai ricordi e documenti che diano una versione diversa di questi fatti, non mi pare che ci siano alternative. E se non ci sono alternative in punto di fatto, resta dunque assodato che la fine del centrosinistra riformatore avvenne sotto il ricatto di una minaccia militare appoggiata da consistenti forze politiche”.

Nelle complicate vicende del piano Solo, del golpe tentato o presunto, Tremelloni, suo malgrado, è un protagonista; attaccato spesso per la sua moderatezza dalla DC e dalla sinistra, è pur sempre l’uomo che pose fine al primo servizio deviato. Toccò a lui cercare di sbrogliare uno dei misteri repubblicani (gli atti della vicenda furono parzialmente desecretati solo nel 1990) costellato da inchieste, processi, complotti e non ultimo incidenti mortali come quello al generale Ciglieri. Questo malsano intreccio e le inimicizie, specie tra i leader DC e i sospetti che fece nascere gli costò forse il proseguimento della carriera politica: rieletto nel 1968 nelle liste del Partito socialista unificato (PSU), Tremelloni presiedette la Commissione bilancio e programmazione fino al 1972 e poi si ritirò poi a vita privata. Morì a Brunico l’8 settembre 1987.

La città gli ha dedicato una lunga via nei pressi del quartiere Adriano.

Walter Marossi



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  1. DonatellaMolto interessante questo articolo, che fa luce su un periodo cruciale della storia della Repubblica.
    26 febbraio 2020 • 07:26Rispondi
  2. FABRIZIO PIACENTINIMolto bello e documentato l'articolo di Marossi,...grande ricostruttore del riformismo socialista milanese.
    26 febbraio 2020 • 09:22Rispondi
  3. Roberto BiscardiniSembre bravo, averne oggi di esponenti socialisti e di sinistra come Tremelloni
    26 febbraio 2020 • 16:17Rispondi
  4. ugo targettiGli articoli di Marossi oltre ad essere ben scritti e piacevoli sono un servizio utilissimo ai lettori di Arcipelago. Colmano lacune e dimenticanze e aiutano a ripensare la storia milanese più o meno recente, che generalmente si ricorda (personalmente con grande difficoltà) attraverso stereotipi sedimentati nella memoria.
    26 febbraio 2020 • 17:53Rispondi
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