8 febbraio 2020

IL FUTURO SINDACO DI MILANO E LA CITTÀ METROPOLITANA

Un nodo da sciogliere


PER COMINCIARE: Il nodo della città metropolitana va sciolto per garantire a questa area uno sviluppo (sostenibile) che ne risolva le contraddizioni interne al di là della competizione città-campagna.

Grande Milano (SRN 7A)

C’è un filo conduttore tra gli articoli di Michela Barzi, Franco D’Alfonso e Luigi Corbani, pubblicati sullo scorso numero di ArcipelagoMilano, che riguarda il governo della Città Metropolitana e il ruolo politico che dovrebbe assumere Milano nello scenario nazionale e internazionale. Vorrei evidenziare questo filo conduttore perché corrisponde ad un’analisi e ad un’idea di riforma istituzionale e di strategia politica che da tempo sostengo, insieme all’amico Valentino Ballabio che ha sempre trovato accoglienza su ArcipelagoMilano.

Michela Barzi, commentando le elezioni in Emilia Romagna analizza il rapporto tra densità territoriale della popolazione dei diversi comuni e voto e suggerisce che la densità sia un indice più significativo rispetto alla classificazione classica di territori rurali e aree urbane. Il centro sinistra ha prevalso nell’area metropolitana della via Emilia dove si concentrano i comuni a maggiore densità insediativa; il centro destra ha prevalso in Romagna e in Appennino, nei territori meno popolati. Secondo Michela Barzi vi è, in generale, un rapporto diretto tra alta densità e prevalenza del voto progressista e tra bassa densità e prevalenza del voto di destra.

Il fenomeno sembra più complesso nell’area metropolitana milanese di quanto riscontrato a scala regionale in Emilia Romagna. Infatti i grandi comuni dell’area metropolitana, non solo di prima cintura, comuni ad alta densità insediativa, nelle ultime elezioni sono per la gran parte passati dal centro sinistra al centro destra.

Direi che nell’area milanese non vale tanto la differenza di “densità insediativa” quanto di “densità” delle prospettive di sviluppo e di integrazione nell’economia globale. Prospettive elevate nel capoluogo, più deboli nei territori ancora legati ad un’economia manifatturiera, la cui capacità occupazionale si è ridotta. Insomma vale la contrapposizione tra chi è incluso nel processo di trasformazione della società e dell’economia, che vota con leggera prevalenza centro sinistra e chi è o si sente escluso da esso, che vota a destra.

Nell’orientamento di voto in realtà giocano diversi fattori. Michela Barzi rileva come la destra prevarrebbe nei comuni (dell’Emilia Romagna o in generale?) in crescita demografica, crescita che è prevalentemente dovuta all’immigrazione. Anche questa relazione riferita all’area metropolitana milanese mi lascia perplesso. Se è vero che localmente la destra utilizza la presenza straniera per alimentare la propaganda, tuttavia il fenomeno dell’immigrazione dall’estero in tutta la Lombardia è diffuso e le variazioni di concentrazione non generano comunque “ghetti” problematici: Milano, l’area metropolitana milanese e i comuni più popolosi hanno generalmente percentuali di popolazione straniera più alte della media regionale, ma anche capacità di integrazione nel mercato del lavoro maggiori1.

Anche D’Alfonso nel suo articolo rileva come nelle elezioni emiliane la destra abbia vinto nelle province periferiche e la sinistra abbia tenuto nell’area della Via Emilia, ma concentra l’attenzione sulla specificità di Milano e della sua Area Metropolitana e sulla condizione di accerchiamento del capoluogo da parte del centro destra.

A tale proposito D’Alfonso ricorda lo storico conflitto tra hinterland e Capoluogo: “…la recrudescenza di vecchi conflitti, il contado verso Milano, l’hinterland contro la città: negli anni passati a sostenere questo conflitto dal punto di vista politico c’era il PCI e in misura minore la DC (più forte e più radicata nella contrapposizione di Monza e la Brianza con la città)”.

La cintura rossa dell’hinterland milanese costituiva infatti la “periferia metropolitana” ma una periferia dove l’azione dei comuni, in maggioranza di sinistra, ma anche della provincia e della regione, avevano realizzato un livello di welfare (scuole, case popolari, sanità, assistenza sociale, attività culturali) pari se non superiore a quello delle periferie del Capoluogo e il tessuto produttivo locale garantiva l’occupazione. Non solo: nei comuni dell’hinterland il rapporto tra cittadini e amministratori, essendo più diretto, era più saldo rispetto alle periferie di Milano città.

Vi è anche da considerare che nel ruolo di mediazione tra hinterland e capoluogo giocavano enti come la Provincia, eletta direttamente da tutti i cittadini metropolitani, i Parchi gestiti da organismi politici, i Consorzi intercomunali di servizio, le tecnostrutture come la Serravalle (le tangenziali) l’ATM (con un po’ di resistenza) ecc. ed infine il Piano Intercomunale Milanese, il PIM, voluto e istituito da Milano e dai comuni dell’area metropolitana come sede di confronto sulle scelte per l’organizzazione territoriale, diventato oggi una tecnostruttura di servizio ai comuni per la pianificazione urbanistica locale. Insomma il livello di governo (e di governance) intermedio era un po’ ridondante ma politicamente attivo.

Oggi, così come il ceto medio (allora si diceva i ceti popolari) si sente escluso e “tradito” dalla sinistra, così l’hinterland si sente escluso dal successo del Capoluogo e così il centro destra conquista l’hinterland e assedia Milano. D’Alfonso propone una strategia politica per spezzare tale assedio, una strategia centrata sulla Città metropolitana e sui rapporti tra i capoluoghi di quella che potremmo definire l’area metropolitana padana, da Torino a Brescia, e l’Europa.

Presupposto di tale strategia è una riforma istituzionale che riporti l’elezione diretta del sindaco metropolitano e la divisione di Milano in municipi: un’ipotesi finora sostenuta da pochi ma che appare oggi attuale. Riporto ampi passi dell’articolo di D’Alfonso assai significativi al proposito.

Occorre invece una politica ed una strategia per impedire che il cerchio degli assedianti si stringa ed avviare una strategia delle alleanze immediatamente, mentre Milano gode ancora di una immagine positiva e attrattiva. […] Una proposta forte, difficile ma chiara e coraggiosa sarebbe lanciare un piano/idea di Città Metropolitana di Milano con il superamento del Comune (spacchettato in 15 municipi), un sindaco metropolitano eletto dai 100 comuni e 15 municipi che si chiama “sindaco di Milano”, per una città di 3,5 milioni di abitanti. […] il sindaco di Milano si proponga come guida delle città dell’asse a cinque (l’asse Torino-Novara-Milano-Bergamo-Brescia) verso l’Europa e il piano Von der Leyen mettendo a disposizione le proprie strutture, aziende, università. E la grande città metropolitana si comporti da capofila delle città del Nord che si candidano ad essere le prime protagoniste dell’Europa delle città.”

L’articolo di Corbani infine tratta del referendum per la riduzione dei parlamentari e inquadra la questione sgombrando il campo da considerazioni populiste sui “risparmi” e le “poltrone” e inquadrandola nella giusta prospettiva di una riforma istituzionale che riorganizzi i poteri e modifichi il rapporto tra cittadini e istituzioni: più potere all’Europa per affrontare questioni che i singoli governi non possono più risolvere, “…..riportando le Regioni al ruolo costituzionale di enti legislativi sulle materie più vicine al territorio, spogliandole di compiti amministrativi (dei quali ingiustamente si sono appropriate) che devono essere destinati ai Comuni e alle Provincie o aree metropolitane.”.

In questo passo vedo una convergenza con la posizione di D’Alfonso e con quanto da tempo sostengo, con particolare riferimento al ruolo essenziale delle Province (riformate) e della Città metropolitana che l’attacco populista (iniziato ben prima dell’affermazione del movimento 5 Stelle) e le leggi di “riforma” a partire dalla legge Delrio, hanno marginalizzato con grave danno nella gestione dei territori.

Le riflessioni di D’Alfonso e di Corbani confermano dunque l’idea che il prossimo candidato sindaco del centro sinistra per Milano, dovrà sostenere la riforma della Città metropolitana come protagonista della coesione metropolitana; una grande Milano capace di costruire rapporti forti con le città padane e con l’Europa e di svolgere un ruolo nazionale di primo piano, per la riforma istituzionale.

Ugo Targetti

1Gli stranieri in Lombardia sono l’11,37 % della popolazione residente totale, e sono diffusi in tutta la regione. Sono solo 8 i comuni che non hanno residenti stranieri. La distribuzione non è omogenea ma non ci sono picchi drammatici. La maggiore concentrazione è nella Città metropolitana di Milano con il 14,28 % della popolazione residente e in Milano città con il 19,5%. La minore concentrazione è in provincia di Sondrio con il 5% ma le altre province variano tra il’8 e il 12%. (dati al 2018 da “Migranti in Lombardia: un’analisi territoriale” Luca Finazzi – CGIL Lombardia).

Si può dire che in Lombardia gli immigrati recenti si sono distribuiti in tutta la regione e, se mai, si sono concentrati dove l’offerta di lavoro era maggiore e non secondo modelli di aggregazione etnica con la formazione di “ghetti”.

I comuni della prima cintura di Milano, passati alla destra, hanno concentrazioni di immigrati di poco inferiori a quella di Milano: Cinisello Balsamo: 18,2%; Sesto SG 17,4%; Corsico 15,6% e via calando. Brescia ancora governata dal centro sinistra registra il 18,5% di residenti, immigrati dall’estero, una percentuale analoga a quella di Milano.



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  1. valentino ballabioDalla sintesi critica degli interventi citati, ottimamente elaborata da Targetti, si potrebbe aprire una ben diversa prospettiva politico-istituzionale-amministrativa, a Milano e non solo, per altro più volte delineata nei tratti fondamentali su queste (e pressoché solo su queste) colonne. Tuttavia si pone realisticamente una domanda. Se Pisapia subì a sua insaputa la carica di sindaco metropolitano nel corso del mandato, Sala fu invece consapevole dapprima di tale onore ed onere derivante dalla legge Delrio. E' stata dunque sua precipua scelta concentrare tutto l'encomiabile zelo a Palazzo Marino, degnando di malcelata sopportazione la dépendance di palazzo Isimbardi. E' allora plausibile che, ricandidandosi, muti pelle e pensiero?
    11 febbraio 2020 • 23:33Rispondi
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