7 febbraio 2020

CONFESSIONI DI DUE SCIURE ASSASSINE

Intervista a due sorelle scrittrici sulla cresta dell’onda


PER COMINCIARE: Intervista a due scrittrici poliedriche, che dal loro legame di sorelle hanno saputo creare un sodalizio letterario che dura da più di vent’anni e sfidare il mondo tutto maschile dei giallisti italiani. L’occasione? L’uscita del loro nuovo giallo, “Il paese mormora” (Corbaccio ed.) il 13 febbraio.

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Le sorelle Martignoni: eleganti signore milanesi all’apparenza, creatrici di storie che sfiorano i limiti della moralità nella sostanza. Sono autrici prolifiche sia nel filone del giallo sia in quello storico, non hanno paura di dipingere scenari cruenti o “scandalosi” e, nei loro 20 anni di attività, hanno sempre scritto “a quattro mani”. Con chi ha appena ucciso una cinquantina di vecchietti in un colpo solo (“50 morti” in Giallo al Cabaret, ed. Solferino, 2018), mi dico, non ha senso farsi tanti scrupoli: entriamo subito nel vivo.

La vostra personale scrittura a quattro mani ha prodotto finora due filoni letterari: quello storico (e un po’ erotico) sui Borgia, che ha riscosso in Spagna un enorme successo, e quello poliziesco che narra le vicende del commissario Gigi Bertè. Una cosa mi incuriosisce: se per i romanzi storici non avete avuto remore nell’usare i vostri veri nomi, per i romanzi su Bertè avete preferito usare uno pseudonimo maschile, Emilio Martini. Come mai?

Ti vorremmo rispondere: per differenziare i due percorsi letterari. Sarebbe, purtroppo, una verità parziale. Soprattutto in Italia, paese arretrato sul fronte della parità di genere in ogni campo, la scrittura di gialli, polizieschi e thriller è ritenuta appannaggio degli uomini. Abbiamo fatto una scelta strategica: in accordo con l’editore, ci siamo servite di un’astuzia femminina per aggirare l’ostacolo. E ha funzionato: nessuno ha dubitato che Emilio Martini fossero, in realtà, due donne. Fino a quando, se così si può dire, abbiamo “fatto outing”: solo allora, guarda caso, sono spuntate le prime recensioni in cui i lettori coglievano la femminilità del progetto! Molto, molto strano.

Ci capita spesso di essere le uniche donne inserite in un progetto. È accaduto recentemente con l’antologia di Solferino libri “Giallo al cabaret”, dove rappresentiamo la “quota rosa”. Invece partecipammo anni fa a una raccolta di Giallo Mondadori, Eros e Thanatos, curata da Lia Volpatti e Sergio Altieri in cui eravamo in ventisette, tutte donne, tutte gialliste; insomma: o ci isolano o ci radunano, in una specie di serraglio, anche in alcuni festival o rassegne letterarie in cui si forma il tavolo delle “donne del giallo”: un atteggiamento che definiremmo, con gentilezza, inquietante.

Inquietante e, soprattutto, troppo diffuso. Persino Camilleri, in un’intervista con Fazio (Che tempo che fa, 30 aprile 2011), disse che “le donne sono brave a commettere delitti, ma non a raccontarli”.

Ci dispiace che un’icona della nostra letteratura si sia dimenticata, in quella occasione, che chi ha venduto più libri nella storia del genere è proprio la Dame Agatha Christie, che non uccise mai nessuno, ma seppe raccontare la morte.

Ma non c’è bisogno di tirare in ballo grandi personalità: le ingiustizie più subdole sono quelle che passano inosservate. Di recente, ne La settimana enigmistica, in un quiz venivano citati i giallisti italiani. Erano dieci e tutti uomini. Lo abbiamo fatto presente al settimanale, non tanto per noi che pubblichiamo con uno pseudonimo maschile, ma per le nostre brave colleghe, nemmeno considerate. La redazione ha risposto scusandosi, ma in un’occasione successiva ha ripetuto la stessa scorrettezza.

La prossima domanda la “rubo” dal vostro sito web, elenaemichelamartignoni.it, dove voi stesse citate le Brontë come esempio di scrittura “sorellesca”: cosa accomuna due sorelle milanesi, cittadine, circondate dagli affetti, a due sorelle inglesi, isolate da tutto e da tutti nella brughiera dello Yorkshire 200 anni fa?

Se le Brontë erano isolate dal fuori” in cui erano capitate, noi ci sentiamo isolate dentro”. Per noi la scrittura significa evasione dalle nostre vite, liberare la fantasia, realizzare i sogni, inventare realtà che non sono le nostre. Come la lettura, anche la scrittura è un viaggio dentro e fuori se stessi. Intreccia momenti ludici a momenti di sofferenza, ma è sempre liberatoria e terapeutica perché è creativa; e, senza curiosità e creatività la vita è ben poca cosa.

Michela Murgia, scrittrice anche lei e femminista dichiarata, parla di donne capaci di “spostare” il limite delle possibilità, aprendo nuovi orizzonti a chi verrà dopo di loro. Quante volte avete sentito di esser state limitate, ingabbiate da aspettative e pregiudizi di pubblico ed editori sulle scrittrici donne? Come avete reagito? Pensate di esser riuscite a spostare quel limite di possibilità di cui parla la Murgia, in particolare per le giovani scrittrici italiane?

0011120_Il paese mormora_Esec@01.inddDomanda complessa a cui non sapremmo rispondere in modo esauriente. Diciamo che ci piacerebbe spianare la strada alle tante scrittrici giovani e talentuose che faticano a emergere, ma, com’è comprensibile, non è facile. Il mondo dell’editoria è complesso, assomiglia molto a una giungla insidiosa nella quale è sempre più complicato esistere e resistere. Il fascino e la facile fruibilità di altri generi d’evasione riducono la schiera dei lettori e bisogna inoltre constatare che i giovani leggono poco.

Eclatanti discriminazioni, bisogna dirlo, non ne abbiamo mai subite; più che altro è il “sistema” generalizzato che penalizza subdolamente le donne scrittrici, e si sa che scardinare un sistema intero non è cosa facile. Anche se ci sono più lettrici donne, ci sono più scrittori uomini: chiediamoci il perché, e vediamo di rimediare.

A proposito di giovani scrittrici/scrittori, vorrei saperne di più sulle vostre esperienze come giudici di competizioni letterarie. Nell’epoca in cui esistono corsi per diventare influencer, master in storytelling e le scuole di scrittura creativa (care come il fuoco) spuntano come funghi, cosa producono poi le giovani menti che partecipano a questi concorsi? Condividete anche voi le accuse di “gioventù sprecata” che si fanno alle nuove generazioni?

Non amiamo molto fare le giurate: è una responsabilità notevole, ti trovi a dare un giudizio su un testo senza conoscere l’autore e il suo percorso e si rischiano così molte cantonate, soprattutto esiste la probabilità di non riconoscere un talento solo perché ancora immaturo: oggi l’editoria ha fretta, non ha più il tempo di formare i giovani che devono essere già pronti all’agone, provocatori, destabilizzanti, fare subito “il botto”, meravigliare… ma se dietro non c’è talento, dedizione, capacità di soffrire e resistere finisce tutto in un deludente fuoco fatuo.

Per quanto riguarda i giovani, negarne l’importanza significa non ricordare quando eravamo giovani noi! Il futuro è loro e meglio gli errori dei giovani di quelli dei vecchi prevaricatori, saccenti e oscurantisti.

Mi rifiuto di cadere nel cliché dell’intervista al femminile in cui finisco per chiedervi cose che ad un uomo mai si chiederebbero, tipo come conciliate il vostro lavoro con le responsabilità familiari: sono sicura che ci riuscite benissimo. Una domanda in argomento però me la concedo: come vivete il fatto che la vostra immaginazione, per altro in ambiti come quello del sesso e della morte, sia disponibile nero su bianco a tutti i vostri amici, parenti, figli? Sono consapevole che si giudicano assai più le donne per un po’ di perversione”, di qualunque tipo essa sia, che gli uomini. Figuriamoci, poi, se queste donne sono anche delle madri.

Per quanto riguarda i contenuti scabrosi di alcuni dei nostri testi: chi scrive non deve farsi frenare dai tabù, altrimenti faccia altro. La realtà è quel che è, quando se ne parla bisogna essere onesti e all’occorrenza farlo senza veli.

Aneddoto: il nostro secondo libro sui Borgia l’abbiamo dedicato ai nostri cinque figli; una delle figlie di Elena disse: grazie di averci dedicato un libro porno! L’abbiamo corretta con “erotico”, spiegandole la differenza e così la dedica è stata accettata e apprezzata: l’erotismo è il motore della specie umana, se si parla di rapporti tra donne e uomini non se ne può prescindere.

Il vostro ultimo libro, in uscita il 13 febbraio con Corbaccio editore, si intitola “Il paese mormora”. A cosa si riferisce questo titolo?

Al fatto che non sempre le verità vengono a galla, ma si continua a mormorare senza avere il coraggio di affrontare la realtà, anche a scapito della vita degli altri. Le piccole comunità dove tutti si conoscono rischiano di richiudersi in se stesse, un po’ come appare nel disegno di copertina, e di non far venire alla luce i fatti, per quanto sconvolgenti e dolorosi essi siano.

Elisa Tremolada

“Il paese mormora” esce il 13 febbraio ed è disponibile ovunque in Italia. Le sorelle Martignoni lo presenteranno il 28 febbraio alla Coop di Arona e il 1° marzo a Villa Durazzo (Santa Margherita Ligure).



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  1. Giorgio Ettore Camillo TremoladaIntervista molto interessante, mi sa che prenderò il libro. Brava Elisa
    12 febbraio 2020 • 16:47Rispondi
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