27 gennaio 2020

IL PROBLEMA DEL SOVRAFFOLLAMENTO DEI PRONTO SOCCORSO MILANESI

Soccorso pronto?


PER COMINCIARE: I racconti di chi ha passato intere nottate al pronto soccorso in attesa di cure si leggono sistematicamente sulle pagine di cronaca cittadina. Del problema si parla molto ma non si fa quasi nulla, se non cambiare nome alle stesse cose.

Cortiana

Siamo nella seconda metà di gennaio, in pieno picco influenzale e, a Milano, una persona che per qualsivoglia motivo si trovasse di fronte a un bisogno di salute urgente o emergenziale, si troverebbe davanti questo scenario: Policlinico di Milano sovraffollato, Niguarda sovraffollato, San Giuseppe affollato, Sant’Ambrogio affollato, San Carlo sovraffollato, San Paolo affollato, e così via: tutti gli ospedali della città, in una mattinata feriale, si trovano “presi d’assalto” e sono intasati.

Non è di certo un tema nuovo. Periodicamente, come le diverse sindromi stagionali, si ripropone, seguono articoli sui vari media, post di utenti esasperati sui social, lamentele al bar, a tavola, in sala d’attesa… la Regione da parte sua promette investimenti e sforzi titanici per risolvere la situazione, eppure nulla cambia. Perché?

La risposta non è facile, in quanto a monte di questa disfunzione dei pronto soccorso vi sono molteplici fattori: mancanza di risorse umane, economiche, strumentali, strutturali, ma soprattutto mancanza di una cultura dell’emergenza e della conseguente riflessione sociale, accademica, politica e amministrativa che potrebbe portare ad un effettivo cambiamento e miglioramento dello status quo.

Anche la riforma del triage, col passaggio dai quattro codici colore, bianco-verde-giallo-rosso, ai codici numerici da 1 (più grave) al 5 (meno grave), con nuovi colori associati e tempi massimi di attesa per l’accesso alle aree di trattamento, introdotti sul piano teorico come tempi da rispettare tassativamente e “coercitivamente”, non cambierà molto nel concreto, per non dire nulla.

Non è “spacchettando” e riclassificando le priorità rispetto al modello precedente che si porta avanti una soluzione alternativa ed efficace. Non basta cambiare nome alle cose per far sì che comincino a funzionare: lo zucchero, che lo si chiami così o saccarosio, presenta sempre gli stessi elementi chimici. Così è il pronto soccorso, l’utenza e i motivi per i quali questa si rivolge al questo servizio rimangono gli stessi, le disfunzioni strutturali dei reparti di emergenza rimangono le stesse, pertanto o si affrontano le problematiche all’origine, o si continua a portare avanti modelli inefficaci ed inefficienti, perpetuando all’infinito un sistema “malato”.

Se è vero che a livello culturale i processi di cambiamento si realizzano sul lungo periodo, nel breve periodo si può agire sulle scelte politiche e amministrative. La maggior parte degli utenti si rivolge ai pronto soccorso per casi non d’urgenza o emergenza. Spesso negli orari in cui dovrebbero essere presenti i medici di famiglia e ancor di più quando questi non sono in servizio, anche se in teoria sarebbe presente il servizio di continuità assistenziale.

E qui sta il nodo principale di questo annoso problema: se i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta non sono effettivamente reperibili dalle 8 alle 20 come dovrebbero essere, e nessuno controlla che lo siano, inevitabilmente i cittadini si dovranno rivolgere al dipartimento di emergenza ospedaliero. Così come, se non si dota la continuità assistenziale della possibilità di agire pienamente coi poteri della medicina generale, i pazienti anche qui si dovranno rivolgere all’ospedale.

Al contempo bisognerebbe studiare dei servizi intermedi, tra quelle che sono le cure primarie, la medicina di famiglia e la continuità assistenziale in questo caso e il pronto soccorso, sulla falsa riga di quello che sono i walk-in services del Regno Unito, dove i pazienti vi si possono rivolgere per tutta una serie di eventi minori anziché accedere ai dipartimenti d’emergenza, percorsi see&treat dove problematiche minori, ma che tuttavia per una serie di ragioni vengono a essere valutate a livello ospedaliero, siano trattate “a vista”, senza intasare il sistema.

Altro elemento utile sarebbe l’introduzione di un servizio di continuità assistenziale infermieristica, in quanto anche qui, ai pronto soccorso, accedono utenti che potrebbero benissimo essere trattati a domicilio da un infermiere.

Le misure e le azioni adottabili sono plurime. Un elemento è certo: se continuiamo a considerare il pronto soccorso come un’entità dell’ospedale, ma estranea ad esso, con la funzione di “filtro e smistamento” rispetto alle unità operative nosocomiali, e non come parte integrante di questo in relazione col territorio, il problema persisterà all’infinito. Finché non creiamo una rete alternativa a livello territoriale, i cittadini continueranno a rivolgersi al pronto soccorso.

Per risolvere il problema del super afflusso ai pronto soccorso bisogna far sì che la popolazione non vi debba accedere se non per l’effettiva urgenza. Ciò impone che l’azione di filtro rispetto ai dipartimenti di emergenza parta anche da un’azione integrata con il sistema di gestione dell’emergenza medica territoriale, che ad oggi porta solo una minima parte dei pazienti in ospedale, in quanto la maggior parte dell’utenza si reca autonomamente in pronto soccorso, ma se riorganizzata in rete con il territorio e integrata nella sua azione coi dipartimenti di cure primarie potrebbe avere un suo ruolo nell’arginare l’arrivo di casi impropri al pronto soccorso.

Alessio Cortiana



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  1. valentino ballabioUtile ricordare che la riforma del 1979 aveva sciolto gli Enti ospedalieri nelle USL ovvero “unità sanitarie locali” che dovevano integrare prevenzione-cura-riabilitazione in un continuo tra servizi territoriali e presidii ospedalieri; per altro gestite dai Comuni singoli o associati mentre alle Regioni erano riservati meri compiti di alta programmazione e riparto dei fondi. I successivi atti di controriforma avrebbero invece trasformato le Unità in Aziende gestite da managers e la Regione in mega-centrale amministrativa, separando di nuovo gli ospedali dal territorio. Ora l'intasamento delle uniche strutture di contatto tra i due livelli è uno degli effetti collaterali di un “riformismo” alla rovescia.
    28 gennaio 2020 • 19:52Rispondi
    • Alessio CortianaIn realtà l'aziendalizzazione dal punto di vista amministrativo, contabile e gestionale di per sé non è un principio sbagliato, il problema sono i criteri operativi che vengono dati, come vengono valutati i manager e quale la mission che viene loro data .... le aziende devono avere un pareggio di bilancio per la corretta gestione e dovrebbero mantenere il paziente al centro della loro attenzione, purtroppo spesso non è così nella pratica concreta, bisogna trovare la giusta "medicina" per ovviare a questa degenerazione ... il sovraffollamento è il frutto di questa disfunzione dicotomica che si crea tra teoria e prassi
      10 febbraio 2020 • 23:29
  2. Dino Betti van der NootHo avuto recentemente qualche esperienza di Pronto Soccorso del Policlinico. Certamente la struttura era affollata, tuttavia la professionalità, l'attenzione e la dedizione sia dello staff medico sia dei paramendici sono state straordinarie e hanno fatto dimenticare l'affollamento. Credo che dobbiamo non solo ringraziare ma essere orgogliosi di una simile eccellenza nella nostra città.
    31 gennaio 2020 • 12:42Rispondi
    • Alessio CortianaConfermo essendo stato io a mia volta utente del pronto soccorso del Policlinico, tuttavia la professionalità e le competenze del personale clinico-assistenziale non può e non deve essere una giustificazione o un alibi per accettare le ore di attesa e il sovraffollamento perché non vengono messe in atto strategie alternative atte ad evitare tali disagi
      10 febbraio 2020 • 23:46
  3. PaolaIl problema sono anche gli anziani che affollano il p.s. e nkn ce la possono fare a stare li 6/8 ore..perche non fare una parte dedicata SOLO a loro. ??
    5 febbraio 2020 • 15:42Rispondi
    • Alessio CortianaIl problema anziani è un falso problema: per l'anziano come giustamente dice Lei passare 6/8 ore in p.s. rischia di essere un'aggravante peggiorativa della loro già precaria situazione, più che dedicare una parte del p.s. a loro o percorsi loro dedicati (già oggi in sperimentazione, ma a mio modesto parere, con risultati alquanto scarsi) bisognerebbe intraprendere iniziative territoriali che evitino il loro arrivo in pronto soccorso, fatte salve le emergenze e le urgenze non gestibili territorialmente/domicliarmente
      10 febbraio 2020 • 23:31
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