14 gennaio 2020

PARCO BASSINI, L’IRA DI SALA

Dopo la lettera a la Repubblica


Editoriale

Alla vigilia di Natale il sindaco Sala ha scritto una lettera a la Repubblica* che mi ha colpito: parlava della sua fede religiosa e del dramma di chi, cattolico, non può accostarsi al Sacramento della Comunione perché divorziato. In questa lettera ha inoltre ribadito i principî ai quali vorrebbe attenersi in quanto osservante.

Che cosa abbia spinto il Sindaco a rivelare ai milanesi questo suo problema personale mi sfugge; lui stesso dice di aborrire l’ostentazione della propria religiosità, una pratica salviniana e allora perché?

Come si suol dire: ”Avrà avuto le sue buone ragioni”.

Tuttavia questa lettera costituisce un suo impegno pubblico a conformarsi a tre principî: l’equità, il rispetto, l’accoglienza verso i più deboli e i più abbandonati.

Mi è venuta in mente questa lettera quando ho sentito l’intervento in Consiglio del Sindaco a proposito della vicenda “Parco Bassini” e la sua reazione al post di Elena Grandi pubblicato sul blog de “Il Fatto Quotidiano”, riportato in nota**. Certo la Grandi, consigliera comunale “verde”, non ci è andata leggera ma i problemi che citano sono tutti all’ordine del giorno, dal consumo di suolo alla politica urbanistica: quello del sindaco è stato certamente un intervento dettato dall’ira, uno dei sette peccati capitali e uno scarso rispetto delle minoranze.

Che senso ha dire, per esempio come ha detto Sala, che i Verdi non raccolgono che il 2% dei consensi elettorali? Forse che Salvini, accreditato del 30%, ha sempre ragione?

Quanto alla vicenda del Bassini e del famoso taglio degli alberi, sulla politica verde del Comune vanno fatte molte considerazioni, lasciando da parte per ora la vicenda del verde in Via dei Ciclamini.

Nel mondo degli alberi non è vero che “uno vale uno”: una pianta vale per la sua posizione – il verde di prossimità – per le dimensioni della sua chioma verde, per il suo rapporto con la popolazione residente e per il suo valore simbolico. Se così non fosse perché tanta cura per la quercia rossa di piazza XXIV Maggio? Per il suo apporto alla purificazione dell’aria, la fotosintesi?

La riforestazione della città è un’operazione seria, come quello della manutenzione del verde esistente ma non si deve fa finta di non sapere che quest’operazione abbia un costo non trascurabile ma soprattutto richiede costante attenzione; sembra che il 60% delle piante messe a dimora negli ultimi anni siano morte perché non sufficientemente irrigate nei periodi caldi. Non so se sia un dato attendibile ma personalmente un ricordo di anni fa, il triste spettacolo delle piante da poco piantate e già morte in Viale Daniele Ranzoni.

Nella classifica delle città lombarde per dimensione del verde Milano, battuta solo da Lecco, brilla per essere tra quelle che ne hanno meno con 12,7 metri quadri per abitante (dato comunale) contro i 24 metri quadri di standard di legge. Dunque il Comune, con quel che fa, sta pagando un debito di verde verso i cittadini di 11,7 metri quadri ad abitante. Pagare i debiti fa solo parte dei doveri di una seria amministrazione, certo compito ingrato per chi si trova una pesante eredità passiva.

A futura memoria guardiamo l’andamento della popolazione residente: oggi 1.395.000, nel 2025 la proiezione del Comune dice 1.462.000 (ipotesi alta ma la più probabile perché il trend è in crescita). I 67.000 residenti in più vogliono dire 1.608.000 metri quadri di verde da trovare. Se poi volessimo sanare il debito pregresso, 11,7 metri quadri per abitante, dovremmo trovare 16.321.000 di nuovo verde. Utopia, tanto per rendere l’idea.

Il caso Bassini è poi particolare ed emblematico. L’Università Statale, nonostante la feroce opposizione del quartiere e di molti docenti, si accinge ad andare a Rho con alcuni Istituti liberando spazi. Possibile che in quegli spazi non potesse andare il Politecnico? Ragioni di urgenza e di comodità? Ognuno deve fare la sua parte di sacrifici se realmente si vuole una politica verde.

Forse Città Studi avrebbe bisogno di un piano strategico e di una concertazione che il Comune non sa fare o non vuole fare. Anche le Università si comportano come i cosiddetti “poteri forti”?

La politica verde, ormai entrata prepotentemente nel panorama mondiale, richiede un coordinamento che comprenda grandi e piccoli interventi, grandi e piccole rinunce personali, cambiamenti di stile di vita: i negozi non lascino le loro porte aperte in tutte le stagioni – ne ho parlato un mese fa – e noi tutti, ma in particolare i giovani , ricordiamoci che l’8% dell’ energia in Europa è consumata dall’ICT (Information and Communications Technology) in particolare smartphone, tablet e internet television, che provocano circa il 2% delle emissioni di CO2 a livello mondiale (paragonabile alle emissioni di CO2 a livello mondiale di aerei o a un quarto delle emissioni di CO2 a livello mondiale dalle auto).

Un post in meno, non tutto il tempo su Facebook o Instagram? Non utilizzare un’app per scegliere il ristorante? Sarebbero benefici per l’ambiente e per la salute (anche mentale) visto che gli italiani sono in testa alla classifica per uso delle reti con 7 ore al giorno di utilizzo (Luca Ricolfi – La società signorile di massa . ed. La nave di Teseo).

L’esempio della sindaca di Barcellona, Ada Colau, che vorrebbe ridurre i voli Barcellona – Madrid, un’ora e 15 minuti in aereo contro le due ore e 30 in treno, per risparmiare inquinamento, è una buona notizia perché dimostra una visione olistica del problema ambientale da parte di un sindaco.

Quanto all’inquinamento dell’aria a Milano, tutti i climatologi ci dicono che la posizione della città costituisce un problema: scarsa o nulla ventilazione naturale. Una condanna. L’antropizzazione ha le sue ricadute, ognuno porta con sé la sua impronta ecologica ambientale. Più la popolazione è densa e più aumenta l’inquinamento per chilometro quadrato.

Che facciamo? Risparmiamo suolo come si vuole? Ci addensiamo o smettiamo di voler aumentare la popolazione milanese? Attrarre più abitanti? È un obiettivo sensato?

Francamente sono disorientato. Qualcuno mi dia una mano! E non solo a me.

Luca Beltrami Gadola

*La Republica 24 dicembre 2019

Caro direttore, sono un uomo fortunato perché la fede è per me qualcosa di irrinunciabile. È un dono fondamentale che apprezzo ancor di più adesso, dopo i sessant’anni, con tanta vita alle spalle. Ho avuto momenti di stanchezza, ho vissuto dubbi e contraddizioni ma non ho mai smesso di ricercare il Signore. Tra tante vicende della vita sento di non potere fare a meno del confronto con il Mistero e, in definitiva, con me stesso.

Ed è proprio da questa esperienza che conosco i miei limiti. Non mi sono mai sentito così profondo da potermi nutrire solo di fede, di farmi “bastare” l’intima relazione con Dio. Penso spesso che la mia fede non reggerebbe senza la pratica, senza la possibilità di entrare in un luogo di culto, senza la Messa della domenica. Ho bisogno della Messa, di sentire la voce, più o meno ispirata, di un pastore e di misurarmi con Gesù e con il suo Vangelo. Pur nella consapevolezza dell’ineluttabilità del confronto che nasce in me e ritorna in me.

La Messa della domenica è un momento di pace e di verità. Mi fa star bene, mi aiuta a sentire la mia umanità, i miei dolori, la mia essenza. La gratitudine e la precarietà. Sono solo a disagio rispetto al momento della comunione, essendo divorziato e in uno stato che non mi consente di accostarmi al Sacramento. Amo stare insieme agli altri, condividere quel senso di solitudine e, allo stesso tempo, di comunione che la Messa ti dà. La liturgia ci insegna l’umiltà di essere come (e peggio) degli altri, di condividere la speranza, di far ammenda delle nostre miserie.

Si deve essere popolo anche fuori dalle porte della Chiesa. Tra tante urla, la ricerca della verità e della giustizia è l’impegno che dà senso alla mia fede, quella fede che mi dà l’energia giorno per giorno per rendere concreto il mio cammino sulla via dell’equità, del rispetto e dell’accoglienza soprattutto verso i più deboli e i più abbandonati. Altrimenti la parola di Dio rischia di rimanere scritta solo nei libri e non nei nostri cuori.
Per tutto ciò amo parlare di religione, ma ne aborro l’ostentazione. Sorrido pensando che ne sto scrivendo, ma è come se stessi parlando a me stesso.

** ELENA GRANDI SU IL FATTO QUOTIDIANO POST

Sono arrivati in una città deserta e stordita dai botti di fine anno. Sono arrivati alle prime luci dell’alba, come fossero topi d’appartamento. Solo che ladri non erano. Tutt’altro, erano lavoratori. C’erano addirittura decine di poliziotti in tenuta anti sommossa per difendere il loro lavoro: tagliare 57 alberi sani del Campus Bassini – una magnifica area verde che non ha mai visto una costruzione – a Città Studi, Milano: la città che fa tendenza e controtendenza (funzionano i mezzi pubblici, la sanità, i servizi, le mostre…), la città campione, la città cool e un po’ smart, qualunque cosa voglia dire a questo punto. Sarà.

Milano, polizia per proteggere l’abbattimento di alberi al campus Bassini. M5s e ambientalisti: “Fine di uno degli ultimi polmoni verdi in città”

Sarà il caso, piuttosto, di riscrivere il racconto: di questa metropoli, di questo Sindaco, di questa giunta, di questa amministrazione (di cui, a volte con orgoglio, faccio parte). Milano oggi è molto fumo e poco arrosto, purtroppo, e il concetto di bene comune assume sfumature opinabili – voglio essere prudente – perché dominano gli affari, gli interessi economici, i business dei costruttori. La lotta in difesa dell’ambiente non è solo una borraccia consegnata nelle mani di bimbi innocenti a beneficio delle telecamere, non è una lunga teoria di proclami roboanti, non sono tre milioni di alberi da piantare entro dieci anni.

La lotta in difesa dell’ambiente è molto altro ancora, e ci vuole poco a capirlo in un clima di onestà intellettuale. Al di là del fatto singolo (piccolo? troppo piccolo? di poco conto?), a Milano si continua a costruire, a consumare suolo, ad abbattere alberi, a sopravvivere in un luogo tra i più inquinati al mondo, a lasciare le periferie nel degrado, a trascurare il tema delle case popolari, degli affitti per i giovani, degli edifici pubblici e privati vuoti e abbandonati.

Non m’importa nulla delle week (ho perso il conto, quante sono? Dieci, cinquanta, cento?), dei Fuorisalone, delle Olimpiadi e del nuovo stadio Meazza. Quella è la facciata. Voglio una città da vivere e non da bere, voglio una città per tutti, giovani e anziani, uomini e donne, lavoratori e pensionati, e bambini. Una città da abitare, una città davvero sostenibile.

E prometto tolleranza zero per chi inquina e attenta all’ambiente, taglia alberi e prende per i fondelli (do you remember, Beppe Sala, la dichiarazione di emergenza climatica e ambientale?), assicurando improbabili compensazioni: che senso ha abbattere per ripiantare? E lo dico in nome della logica come categoria prepolitica, che è accessibile a tutti, a quelli della maggioranza e a quelli dell’opposizione, silenti come non mai, intrappolati nelle loro ridicole parole d’ordine, nei loro trucidi slogan, nel loro esiguo vocabolario: “Vergogna! Prima gli italiani!”.

L’attivista dei Fridays for Future in Aula a Sala: “Il ‘modello Milano’ nuoce gravemente ai cittadini. Più coraggio su qualità aria, parchi e mobilità”

Ecco perché saremo in piazza giovedì 9 gennaio, come Verdi, come Europa Verde, insieme alla gente comune, ai comitati cittadini e ad altre associazioni ambientaliste. Chiederemo che l’area del Campus Bassini non venga edificata, ma rimanga bene comune: e che l’amministrazione milanese vieti la costruzione di nuovi edifici in tutte le aree verdi rimaste! Partiremo alle 17 da via Bassini per raggiungere Palazzo Marino, e lo faremo per fermare il consumo di suolo, per protestare contro un andazzo che in città non conosce sosta.

Quello che è successo a Milano, al Bassini, per garantire il via libera alla devastazione di oltre seimila metri quadrati di suolo mai costruito, succede ovunque in Italia. E dimostra che alcune istituzioni e quasi tutti i partiti politici – e sì, anche quelli del centrosinistra – sono piegati al potere economico e non viceversa, come dovrebbe essere e non è.

Se siamo in emergenza, dobbiamo dare valore e contenuto alle parole. E che emergenza sia, allora, e una volta per tutte, prima che sia troppo tardi. Sala si affacci al balcone di Palazzo Marino e chieda scusa. Se l’ha fatto un Papa, può farlo anche lui.

Elena Grandi



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


  1. nando dalla chiesaBELLO, INTERESSANTE, GIUSTO
    15 gennaio 2020 • 01:05Rispondi
  2. Marco Ciprianobravo Luca quando ce vò ce vò !
    15 gennaio 2020 • 08:01Rispondi
  3. Giuliana FilippazziA proposito di alberi che muoiono di sete (purtroppo non solo in viale Ranzoni!): vogliamo informare il sindaco che non basta la piantumazione, occorre anche l'irrigazione regolare! Si fa in fretta a dire trionfalmente "pianteremo migliaia (addirittura milioni!) di alberi nei prossimi anni", che senza un adeguato sistema di irrigazione presto diventeranno inevitabilmente alberi morti : lo sanno anche i bambini!!!
    15 gennaio 2020 • 08:06Rispondi
  4. IsabellaMaria BaratoMi ha profondamente rattristato leggere questa lettera di Elena Grandi perché rivela impietosamente una evidenza: Sala predica bene ma razzola male. Il problema ambientale non è affatto affrontato a Milano. Le polveri sono a livello sempre più alto. Il verde ė poco o niente curato. I cantieri edili sono dovunque facendoci perdere quei pochi spazi verdi esistenti. Penso all area dove c era un giardino sia pur privato in via Silva per fare uno dei tanti esempi.
    15 gennaio 2020 • 09:57Rispondi
    • DomenicoEggià... Ci sentiamo alle prossime elezioni.
      15 gennaio 2020 • 15:18
  5. Giovanni CostantiniL'ira di Sala è comprensibile perché la vicenda del parco Bassini rivela che ... il re è nudo!!!
    15 gennaio 2020 • 10:24Rispondi
  6. Maurizio SpadaHo partecipato alla protesta per il taglio degli alberi in via Bassini a Milano per i motivi seguenti. Milano è una città fortemente urbanizzata, risulta essere, in Lombardia e in Italia, una delle ultime in classifica per mq di verde per abitante (27mq/ab contro 500/ab Sondrio). I pochi parchi centrali, come in tutte le città storiche europee, sono i giardini delle dimore nobiliari aperti al pubblico, il resto del verde si trova intorno alle periferie, ma non dentro le periferie, grazie all’urbanistica dello zoning, sono aree faticosamente sottratte alla speculazione edilizia. Questi parchi esterni ben vengano per la CO2 ma a volte, se non vissuti, diventano anch’essi dei non luoghi dove in certe ore vi è il deserto che attira chi pratica attività illegali, vedi il bosco di Rogoredo per la droga. Dunque il fazzoletto verde di via Bassini è tanto più prezioso in quanto si inserisce in un’area semicentrale fortemente cementificata e viene fruito costantemente. Bisogna inoltre ricordare che la funzione dell’albero non è solo quella di fare da filtro agli inquinanti, ora certa architettura vorrebbe fare altrettanto con le superfici di nuovi edifici, questa è una giustificazione scientifica che corrisponde solo in parte alla necessità dell’albero in città, esso infatti ha anche valenze simboliche ed estetiche che lo rendono un elemento assolutamente integrato e coerente con la funzione dell’ abitare. Per Mircea Eliade, grande storico delle religioni, “l’albero è arrivato al punto di esprimere tutto ciò che l’uomo religioso considera reale e sacro per eccellenza”, anche i miti sulla ricerca dell’immortalità mostrano un albero dai frutti d’oro. E’ un organismo vivente che simboleggia la vita stessa, non si può abbatterlo senza dare l’impressione del non rispetto per la vita, soprattutto poi in spregio all’opinione degli abitanti, e dunque se accettiamo la definizione di bellezza=rispetto per la vita, come affermo nel mio saggio del 2004 Ecologia e Bellezza (Alinea editore) l’abbattimento denota scarsa attenzione alla qualità urbana, quindi alla bellezza. Ho già scritto sul mio L’altro architetto (Casagrande editore) che nelle aree urbane sarebbe meglio avere piccoli parchi sotto casa che grandi esterni alla città perché la presenza di terreni non impermeabilizzati oltre a permettere l’assorbimento della pioggia in estate costituisce garanzia di temperature più miti e maggior circolazione d’aria. Ad un mio articolo sulla Pietà di Michelangelo un lettore ha risposto: “Meglio un albero”. Sono d’accordo solo in parte ma questo dimostra il valore che alcuni gli danno. Non si può quindi tagliarli di soppiatto senza il consenso dei cittadini. L’ambientalismo non è una moda ma una necessità e l’Istituto Uomo e Ambiente se ne è fatto carico fin dal lontano 1984.
    15 gennaio 2020 • 10:36Rispondi
    • Gregorio PraderioNon mi risulta che i parchi in centro a Milano (che peraltro non sono pochi) siano solo "i giardini delle dimore nobiliari aperti al pubblico". Il giardino pubblico di via Marina, progettati dal Piermarini, è uno dei primi parchi pubblici d'Europa (se non del mondo) ed è stato progettato e realizzato appunto come parco pubblico. Idem il Parco Sempione, realizzato come parco pubblico sull'ex Piazza d'armi. Idem il Parco delle Basiliche. Mi sembra che la storia di Milano mostri invece una passata tradizione di attenzione al verde pubblico, da rinforzare e mantenere.
      15 gennaio 2020 • 20:35
  7. EugenioGrazie Luca Beltrami per questo intervento necessario e pienamente condivisibile.
    15 gennaio 2020 • 11:29Rispondi
  8. biancaNon saprei cosa aggiungere. Io abito in via Paravia 37 e a fianco del mio stabile - che è opera non secondaria dell' architetto Umberto Riva, medaglia d'oro della Triennale - hanno soprelevato di un piano e mezzo un modesto edificio alto come il nostro sulla base di una licenza edilizia che recita: " rifacimento tetto": la rottura dello skyline è devastante. Alle mia sorpresa mi è stato detto che certo si sono avvalsi della norma che consente un aumento di cubatura se si migliorano le prestazioni energetiche....chi ha detto che il diavolo sta nei dettagli? Abito al settimo piano e se mi affaccio verso ovest vedo lo stadio Meazza ( ma di questo adesso non voglio parlare, è un argomento troppo grosso) vedo il tramonto e il monte Rosa. ma davanti improvvisamente un altissimo edificio, per un po' fermato( controlli? irregolarità?) e che ora riprende a crescere... Poi se mi affaccio verso est, vedo lontano la Madonnina e a sinistra i tre grattacieli di City Life che, specie quando illuminati, fanno una certa figura; ma vicino, su un orizzonte uniforme, vedo svettare un edificio bianco che si erge come un fallo sulle case accanto. Passo a vedere: è in una via sulla quale affacciano modesti edifici e palazzine con altezze omogenee dalla quale il nostro edificio si distanzia - grazie a profonde logge orientate a nord - per cui può elevarsi in altezza...E' opera di un importante studio di architettura... Torno a guardare a ovest e nel vicino spazio di un campo da tennis vedo sorta una grigia costruzione con strette finestrelle che paiono da riformatorio: ma l'edificio è 3A!... Nella cacofonia culturale in cui siamo immersi, nella totale ignoranza di ogni criterio di bellezza ( bellezza che equivale a salute) e nell'assoluto disinteresse per il valore non solo monetario della forma urbana, come ci si salva?
    15 gennaio 2020 • 13:15Rispondi
  9. Miriam GiussaniGrazie a Luca Beltrami Gadola sempre attento ai bisogni ed alle problematiche della nostra Milano e grazie ad Elena Grandi per il coraggio nella difesa del parco Bassini
    15 gennaio 2020 • 13:53Rispondi
  10. Oreste PivettaOttimo articolo, che induce a riflettere e a discutere attorno alle questioni vere, di destino, di ruolo, di compiti della città e quindi di disegno della città... Come si dovrebbe. Perche altrimenti si lascia spazio alla cultura nimby, non nel mio cortile... i segnali sono tanti.
    15 gennaio 2020 • 16:11Rispondi
  11. Ennio GalanteGrazie Direttore di questo settimanale. Se non ci fosse saremmo alla mercè informativa dei Giornaloni, sempre pronti a pubblicare (o a tacere le critiche di esperti non allineati) interviste e commenti di Lorsignori, come è avvenuto durante quattro anni della scandalosa vicenda del trasferimento della Statale scientifica al ghetto-expo. Ringrazio anche la consigliera Grandi perchè condivido appieno le sue argomentazioni critiche. In conclusione chiedo : chi comanda sull'assetto urbanistico di Città degli Studi, dato che Sindaco, Assessore, Consiglieri comunali non hanno mai accettato alcuna proposta di discussione ed esame di alternative ad un piano assurdo ?
    15 gennaio 2020 • 17:04Rispondi
  12. marco romanol'albero monumentale in piazza XXIV maggio venne piantato mnel primo dopogueerra perché il signore hw aveva raccolto i soldi per erigere un monumento vero e proprio per i caduti del quartoweere portò altrove i soldi raxccolti. dun in piazza
    15 gennaio 2020 • 17:49Rispondi
  13. Giuseppe Maria GrecoCondivido quanto scritto in precedenza. Ho però da aggiungere alcune osservazioni. Il Sindaco ha certamente commesso un grave errore quando ha perso le staffe. Ma occorre equamente dire che anche i cittadini non sempre presentano le loro ragioni (peraltro sacrosante) in modo da potere scagliare la prima pietra. Invito quindi a riflettere su questa domanda: come mai, in una metropoli in cui la scelta del sindaco da parte dei cittadini e il programma di questo sono ambedue centrati sulla partecipazione, quindi sull'ascolto reciproco e il progetto comune, invece accade così spesso che esploda il conflitto? La mia risposta è che non basta parlare di partecipazione: occorre volerla da ambedue i soggetti tra i quali si deve svolgere. Ma neppure questo basta. Occorre "essere personalmente partecipativi", ognuno cioè dei cittadini "di base" e ognuno dei cittadini "amministratori". Le iniziative benemerite dell'assessore Lipparini si svolgono nella tiepidezza degli altri assessori e nella medesima tiepidezza della città. L'osmosi della sensibilità civile tra i diversi ruoli e all'interno degli stessi non ha luogo se non in apparenza. Se quindi le forme partecipative (tenendo presente che la partecipazione non è unilaterale, cioè dei cittadini alle proposte degli amministratori, ma reciproca)non si progettano e sperimentano - non "dall'alto" o "dal basso", ma in collaborazione nella diversità dei ruoli - in modo da rendere chiaro il percorso che ogni livello di problema deve percorrere grazie al contributo di tutti gli stakeholders, il risultato non può essere che quello cui assistiamo. Chiedo quindi a tutti, mentre si affronta il tema del Bassini e di Città Studi che ha comunque una sua vita, di approfittarne per evitare di trovarci tutti nelle stesse condizioni in altre occasioni. Oppure, nel dilagare dello scontento, di cambiare segno di amministrazione e di chiudere definitivamente l'opportunità di essere cittadini positivi.
    15 gennaio 2020 • 18:10Rispondi
  14. antonella NappiBravo Beltrami, non è però utopia coprire gli spazi di alberi, Sala deve conservare tutti quelli esistenti e permettere ai cittadini di piantarne di nuovi assicurandone il rispetto con un investimento in manutenzione: si una nuova tassa per chi dalla città usa la macchina, e lavoro volontario. Gli alberi di via Bassini vanno ripiantati domani, su quell'area dobbiamo fare quadrato tutti, è un occasione politica di interrompere la cultura della devastazione della salute. Bravo Beltrami a non accettare l'aumento della popolazione a Milano, il lancio al di là della ragione dell'obbiettivo dei due milioni di abitanti è un crimine fatto per soldi e per demenza, va sconfessato; come dici non si può aumentare la popolazione già dilagante in tutta la provincia, il contesto non permette di sovraffollare, la salute va tutelata, la vivibilità da utopia divenga cultura.
    15 gennaio 2020 • 19:40Rispondi
  15. Edvige CambiaghiGrazie Direttore per le sue giuste osservazioni espresse nell'articolo. Vorrei far inoltre notare che il poco rispetto dimostrato da questa PA, includendo Comune, Regione e Politecnico, verso il prezioso patrimonio arboreo di pregio presente in città, è risultato evidente per come è stato gestito il destino di Parco Bassini. Gli attori di questo scempio dovrebbero vergognarsi e riflettere sulla loro contraddizione, quando esaltano ForestaMI e poi abbattono decine di alberi monumentali, e sulla loro grande ignoranza del valore intrinseco di un'area vergine con grandi alberature. Dovrebbero ricordare come ben diverso era il rispetto e la valutazione del valore enorme che dà un parco, o solo un prato, in una città: ben lo sapevano negli anni '50 gli amministratori che decisero di costruire il grande Parco Formentano, in corso XXII Marzo, nell'area lasciata libera dal trasferimento del vecchio Verziere. Altri tempi e altre persone, illuminate, a governare Milano.
    15 gennaio 2020 • 22:14Rispondi
  16. DonatellaTrovo sbagliato trasferire parte dell'Università Statale a Rho:l'università deve vivere nel tessuto cittadino, non essere collocata da qualche parte perché bisogna dimostrare che lo spazio Expò serve a qualcosa. Per gli alberi tagliati quasi di nascosto a ridosso delle vacanze natalizie, alle prime luci dell'alba, penso che sia un vero e proprio sfregio al bisogno di verde di questa città, oltre che disprezzo per le opinioni dei cittadini.
    16 gennaio 2020 • 15:58Rispondi
  17. Lucia PivaMi trovo pienamente d'accordo sul problema del verde a Milano. Anche nel mio piccolo continuo a mandare messaggi e a richiedere interventi ai responsabili della zona in cui abito - via Solari - ma invano ! Il parco Solari è molto trascurato e soprattutto non ha una regolare manutenzione, sia dello sporco che del verde in genere. Le aiuole centrali negli incroci sono quasi sempre in uno stato precario e sono solo casualmente ripulite. I giardini di via Cola di Rienzo , oltre a essere trascuratissimi, sono sporchi. E così via, ma il verde non era un bene prezioso sia per la salute che per la mente ?
    16 gennaio 2020 • 17:15Rispondi
  18. Andrea PassarellaTutte le critiche sono giuste ma seguendo la logica dell'articolo non se ne esce. Se si vogliono raggiungere gli obiettivi europei, a maggior ragione per Città Studi che ha una concentrazione di abitanti superiori alla media della città, bisognerebbe radere al suolo metà dell'edificato (magari quello creato tra gli anni '60 e '80 del novecento) , sviluppare l'esistente in altezza e dedicare lo spazio demolito a verde. Sarebbe una cosa molto impopolare, anche se lungimirante, nonostante tutti siano d'accordo riguardo alla mancanza di verde e all'inquinamento di Milano. Devo poi capire come possano esserci piante secolari se Città Studi è stata creata dal nulla in mezzo alla campagna nel 1924 (più isolata dell'area Expo). Nelle foto d'epoca si vedo solo gli edifici universitari in costruzione in mezzo ai campi, tutto il resto lo hanno edificato i privati non badando molto al verde e agli spazi comuni, non c'è bisogno di un filosofo o di un guru basta avere google maps. Chi è proprietario di un appartamento nell'area appena descritta ora si lamenta del Politecnico, un ambientalismo con le terga altrui... Ne consegue che molti trovino più facile prendersela contro un'istituzione come il Politecnico per l'abbattimento di 57 alberi nonostante il suo impegno a compensare con maggiore verde e alberi e la creazione di un'area a parco più grande ed omogenea di quella presente (non tenendo conto della dismissione di un reattore nucleare ormai desueto). Di fronte ad un approccio sterile e polemico travestito da ambientalismo la gente si allontana e non ritiene credibili i proponenti che di conseguenza alle elezioni hanno una rappresentanza da prefisso telefonico. Quindi il fatto che i verdi in Italia abbiano al massimo il 2% mentre nel resto d'Europa viaggino sul 10%-20% è una colpa effettiva dei rappresentati del partito italiano, non è principalmente dovuto alla scarsa sensibilità ambientale degli italiani. Il significato dell'affermazione di Sala è questo, non c'è cattiveria quanto crudo realismo nella sua affermazione. Essere verdi e ambientalisti significa avere un'ideologia di lungo periodo che porti al cambiamento e che permetta anche dei compromessi, NON partecipare ad ogni ribellione al cambiamento per mantenere sempre e comunque lo status quo solo per avere notorietà e possibile seguito. In linea generale il Comune ha effettivamente sbagliato per pavidità ma non mi pare, come ha anche scritto in precedenza scritto qualcun altro, che la cittadinanza si sia fatta partecipe nonostante le occasioni per esprimere la propria volontà messe a disposizione dal Comune non siano mancate.
    21 gennaio 2020 • 17:03Rispondi
    • lucilio cogatoSono d'accordo sul fatto che la cultura ecologista italiana pecca troppo spesso spesso di pressapochismo, ideologismo, retoricismo, massimalismo, in una materia che invece, richiede precisione, attenzione ragionata alla complessità, lungimiranza e flessibile intransigenza. E sono anche d'accordo sul fatto che, proprio per questo, purtroppo, l'ecologismo politico non trova in Italia lo spazio elettorale e mediatico che meriterebbe. Tuttavia, proprio per amore di precisione e di attenzione le ricordo che siamo nel 2020. Città studi ha quindi 96 anni e "secolare", vuol dire, nella lingua di Dante , "che ha almeno un secolo": non mi sembra che siamo così lontani. Al di là di questo, mettiamo che gli alberi tagliati avessero "solo" 60-80 anni: per la maggior parte delle latifoglie che si usano a scopo ornamentale dalle nostre parti (olmi, platani, frassini, aceri, querce) 60-80 anni corrispondono all'inizio della "maturità" di un albero: è l'età in cui un albero, se sano, produce il massimo i suoi benefici ambientali (ombra, traspirazione, fotosintesi, rallentamento del deflusso idrico ecc.) e, se non maltrattato, lo potrà fare ancora per parecchi decenni o secoli a seconda della specie. Il punto è che gli alberi, soprattutto in città, sono un investimento a lunghissimo termine. Tagliarli proprio quando l'investimento comincia a dare i suoi frutti è come uscire da un fondo vincolato prima della scadenza pagando una conseguente forte penale.
      11 febbraio 2020 • 11:31
  19. tradardi valeriodobbiamo anche ricordarci che la lombardia ha dieci milioni di abitanti,il doppio di piemonte e del veneto con gli stessi kilometri quadrati. di giorno milano si riempie di gente che lavora,triplica probabilmente le presenze giornaliere con anche una moltitudine di macchine. solo di notte ad esempio si trovano spazi liberi per parcheggiare. di conseguenza il comune deve tenerne conto e quindi adeguarsi alla necessità di maggiore vivibilità. mi sembra che lo faccia poco anche con il pgt, le aree militari etc.questa può anche essere la differenza nei confronti di una giunta di centro destra nelle prossime elezioni.
    21 gennaio 2020 • 18:00Rispondi
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


19 marzo 2024

MILANO E IL CAPITALISMO RELAZIONALE

Luca Beltrami Gadola



5 marzo 2024

COMUNE DI MILANO: PSICOTERAPIA DI GRUPPO

Luca Beltrami Gadola



6 febbraio 2024

UNA GRETA THUNBERG PER L’URBANISTICA MILANESE

Luca Beltrami Gadola



23 gennaio 2024

NECESSE EST

Luca Beltrami Gadola






19 dicembre 2023

UN ANNO STA PER MORIRE, IL 2024 SARÀ NELLE NOSTRE MANI

Luca Beltrami Gadola


Ultimi commenti