13 dicembre 2019

LA SPOSA RIFIUTATA: ALITALIA

Lezioni dal fallimentare matrimonio Alitalia-KLM


La sopravvivenza di Alitalia è stata per lungo tempo affidata alle cure dei governi, e alle tasche dei cittadini italiani. Ma una via d’uscita c’era: la fusione Alitalia-KLM, avviata nel 1997 e poi svanita nel nulla, che avrebbe potuto fare di Alitalia la compagnia di punta del continente europeo: una lezione dal passato?

nepoti

È triste il quadro tratteggiato da Franco D’Alfonso sul sostanziale accanimento terapeutico cui è sottoposta ormai da anni Alitalia a spese dei contribuenti. La risposta alla domanda sull’opportunità di staccare la spina una volta per tutte, per lasciare che si segua un percorso analogo al passaggio da Swissair a Swiss del 2002, pare fin troppo ovvia.

È triste perché appena si guarda a quella vicenda da Milano e con un poco di prospettiva storica resta tutta l’amarezza di una grande occasione persa dall’Italia e dalla nostra città, occasione finita in un cumulo di macerie da paese cialtrone con una classe dirigente cialtrona.

Pare incredibile oggi, ma c’è stato un tempo in cui il governo italiano e i vertici di Alitalia sono stati capaci di leggere con precisione trasformazioni, implicazioni e sfide di due grandi processi che andavano dispiegandosi nel corso degli anni Novanta in ambito UE: la costituzione del mercato unico e la liberalizzazione del trasporto aereo. E sulla base di quella lettura hanno mostrato la capacità di elaborare un progetto per risollevare Alitalia e porla all’avanguardia di quella che si sarebbe rivelata di lì a poco una vera e propria rivoluzione del mercato del trasporto aereo.

Era il tempo in cui Romano Prodi si insediava a Palazzo Chigi chiamando Domenico Cempella al vertice di Alitalia. La compagnia aveva già mostrato qualche segno di difficoltà a partire dagli anni Settanta, ma proprio nel 1996 chiudeva il bilancio con una perdita record di oltre 1.200 miliardi di lire, più di 900 milioni di euro al valore attuale della moneta.

In estrema sintesi, il progetto di rilancio prevedeva una ristrutturazione funzionale a far convolare a nozze Alitalia con un’altra grande compagnia europea proprio per darle le dimensioni necessarie ad affrontare il salto di scala e di competitività di un mercato domestico che si sarebbe fatto da italiano a europeo e da protetto a libero.

La ristrutturazione fu tanto efficace da riportare Alitalia in utile già dal 1997 e da farne un partner ambito da altre compagnie europee, spesso in crisi, che stavano attrezzandosi per il nuovo scenario di mercato. Tra queste proprio Swissair, oltre ad Air France e KLM. La scelta cadde su quest’ultima. Il vettore olandese si mostrava pienamente complementare: una grande flotta e un piccolo mercato interno a fronte della piccola flotta e del grande mercato interno su cui poteva contare Alitalia.

Al termine del processo di integrazione (avviato nel 1997 e da concludersi entro il 2002) Alitalia-KLM sarebbe stata la prima compagnia europea per passeggeri, flotta e network, anticipando tutti i concorrenti nel processo di concentrazione e consolidamento dell’offerta che avrebbe radicalmente cambiato il trasporto aereo europeo portandolo alla configurazione attuale. Da sottolineare il fatto che sarebbe stata Alitalia a lanciare un take-over su KLM, e non viceversa.

L’accordo tra le due compagnie doveva però soddisfare due condizioni per parte italiana: 1) l’avvio della privatizzazione di Alitalia; 2) lo spostamento dell’hub italiano a Milano Malpensa, al centro della più alta concentrazione di domanda di trasporto aereo del paese. Malpensa era nel pieno della sua espansione grazie al progetto Malpensa 2000, avviato dal governo Craxi e dalla Giunta Tognoli a metà degli anni Ottanta, rallentato in epoca Tangentopoli, rilanciato dal Governo Berlusconi nel 1994 con il suo inserimento nella lista delle opere infrastrutturali prioritarie della UE (TEN-T) e infine inserito appunto come nodo strutturale dell’accordo con KLM da Prodi e Cempella.

I presupposti per il successo di Alitalia-KLM erano talmente solidi che i primi a provare a bloccare il progetto furono le compagnie europee concorrenti, con un sostanziale contributo dell’allora commissario europeo ai trasporti Neil Kinnock, laburista. Il loro fondato terrore era la nascita di un hub nel cuore dell’unico mercato continentale che ne era ancora sprovvisto (il Nord Italia), perché avrebbe tolto loro l’opportunità di continuare a saccheggiarlo per alimentare voli di lungo raggio in partenza dai propri hub.

La falla che fu utilizzata per bloccare il progetto riguardava la necessità di limitare fortemente per alcuni anni l’aeroporto di Linate per consentire il consolidamento di un network hub-and-spoke su Malpensa, come era già stato fatto a Parigi con Orly ai tempi della nascita del Charles De Gaulle. A Monaco nel 1992 il vecchio aeroporto vicino al centro cittadino (Riem) era stato addirittura chiuso all’apertura del nuovo scalo destinato a diventare il secondo hub Lufthansa. Boicottare il necessario provvedimento governativo per la limitazione di Linate era l’obiettivo del fronte contrario alla alleanza Alitalia-KLM.

Fronte composito. Infatti, a dare manforte ai concorrenti ci furono le enormi e comprensibili resistenze dei sindacati, visto che Alitalia aveva e ha l’80% dei dipendenti nell’area di Roma e Lazio, corroborati dalla potente azione delle amministrazioni di quei territorio (Sindaco Rutelli prima di ogni altro). Infine una piccola lobby meridionalista che aveva quinte colonne anche a Milano e in Lombardia in personaggi del calibro di Riccardo De Corato (vicesindaco) e Ignazio La Russa, che militava contro la limitazione di Linate per la scomodità (allora oggettiva, vista la mancanza della ferrovia) che i loro conterranei immigrati avrebbero trovato nell’atterrare a Malpensa.

Cionondimeno Prodi e il suo ministro Burlando tennero duro, scrivendo un decreto che, coerentemente con quanto concordato con KLM, avrebbe lasciato a Linate la sola navetta per Roma. Tutto precipitò quando, a fronte dell’obiettiva difficoltà nel tenere bordone a Cempella da parte di un governo accerchiato da ogni lato, la più forte opposizione alla limitazione venne dai milanesi, proprio quelli che dal successo dell’operazione ci avrebbero guadagnato di più. Le barricate alzate dai più importanti attori della città – dal Comune guidato da Gabriele Albertini all’Assolombarda e alla Camera di Commercio presiedute rispettivamente da Benito Benedini e Carluccio Sangalli, con consueto codazzo di stampa totalmente acritica – furono decisive nel fallimento del progetto.

Il decreto viene riscritto con limiti più laschi appena prima che il governo Prodi capitoli. Quattro giorni prima dell’inaugurazione di Malpensa 2000 Massimo D’Alema diventa Presidente del Consiglio, ai trasporti si insedia Tiziano Treu. Il processo di integrazione Alitalia-KLM naufraga sei mesi dopo su denuncia degli olandesi che finiranno per abbracciare Air France.

Alitalia in versione “stand alone” resiste malamente qualche anno con doppio hub a Malpensa e Fiumicino e bilanci disastrosi. Nel 2008 abbandona Milano per focalizzarsi solo su Roma senza peraltro conseguire i risultati sperati e prolungando la propria agonia fino a oggi con iniezioni sempre maggiori di risorse pubbliche.

Alitalia-KLM ha lasciato intravvedere, seppur per poco, la possibilità concreta che l’Italia potesse contare sulla più grande e innovativa compagnia aerea europea e che a beneficarne sarebbe stata innanzitutto Milano grazie al formidabile aumento della connettività aerea diretta di lungo raggio che solo un hub può garantire. Il suo fallimento ha invece confermato la pochezza di una classe dirigente (non solo politica) incapace di porre e, nel caso, imporre progetti di lungo termine e ampio respiro in nome di interessi piccoli e immediati. La differenza nel numero di frequenze e di destinazioni intercontinentali tra Milano e, per esempio, Monaco misura le dimensioni di quel fallimento.

Oggi possiamo contare su un’altissima connettività di corto-medio raggio, grazie soprattutto alle praterie lasciate aperte ai vettori low-cost in uno dei mercati più ricchi d’Europa. Per il resto – la connettività di lungo raggio – possiamo sperare nel tentativo di costruzione dell’hub Air Italy a Malpensa, benché i fallimenti succeduti a quello di Alitalia (ci provarono anche AirOne e, soprattutto, il Gruppo Lufthansa con Lufthansa Italia) non siano esattamente il miglior viatico. Diversamente, forse è meglio rassegnarsi all’idea che la connettività di lungo raggio di quest’area sia perlopiù demandata a una fitta rete di voli verso i migliori hub europei.

Daniele Nepoti



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  1. Gianluigi SommarugaLasciatela fallire, è già costata troppo!
    20 dicembre 2019 • 18:56Rispondi
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