12 dicembre 2019

INTRIGANTE CONCERTO AL MA.MU.

Una performance di Mie Kobayashi e Sergio Baietta


Che Milano sia una città aperta ed accogliente credo nessuno voglia dubitarne; ma in campo musicale la cosa sembra un po’ meno vera. Basta pensare a quanto è difficile infrangere l’ordine dello star system degli interpreti, o quanto è problematico per un compositore fare eseguire le proprie opere. Si sa che esiste una sorta di empireo senza la protezione del quale si ottiene ben poco, e sopravvive persino il medievale meccanismo dei protégés, più forte dell’aver bisogno di una autorevole presentazione. Il tutto, per fortuna, con molte eccezioni.

viola

E’ dunque con soddisfazione che racconto un piccolo ma significativo episodio che – in barba alle abitudini dominanti – giovedì scorso ha allietato una serata al MAMU. Una brava violinista giapponese, molto affermata nel suo paese ma sconosciuta al nostro pubblico (un paio di anni fa aveva tenuto un bel concerto in una casa privata e si era innamorata della città), era in visita a Milano e si era premurata, con qualche settimana di anticipo, di chiedere ai titolari del Magazzino Musica di via Soave se erano interessati ad ospitare un concerto da offrire gratuitamente al loro pubblico e a pochi suoi amici italiani.

Il MAMU accoglie la proposta e lei si mette subito in moto rintracciando il pianista veronese che aveva conosciuto a Tokyo quando lo sentì eseguire – con orchestra giapponese e direttore cinese! – un concerto di Rachmaninov durante la serata di celebrazione dei 45 anni dalla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Giappone e Cina e con il quale aveva poi avviato una positiva collaborazione. I due si accordano per un programma di musiche italiane poco frequentate e si danno appuntamento a Milano.

Mie Kobayashi e Sergio Baietta hanno così eseguito due Sonate per violino e pianoforte, una di Nino Rota in sol maggiore, l’altra di Ottorino Respighi in si minore; un programma tanto inusuale quanto affascinante al quale la Kobayashi ha aggiunto la prima Sonata per violino solo di Bach e il Baietta un suo divertissement sul Für Elise di Beethoven.

La prima Sonata, scritta nel 1936 quando Rota aveva appena venticinque anni, è una di quelle opere che ci fa rimpiangere la troppa fortuna che egli ebbe con le colonne sonore dei film (oltre centocinquanta fra il 1942 e il 1979, più di quattro all’anno, guerra compresa!) e che lo distrasse dalla composizione di musica sinfonica e da camera. Rota era di soli cinque anni più giovane di Šostaković e i due hanno vissuto negli stessi anni in due parti opposte del mondo. Hanno avuto però in comune una cosa curiosa: se il pubblico, soprattutto italiano, ha scoperto tardivamente la grandezza del compositore russo (e su questo ritardo credo non si sia ancora indagato fino in fondo), deve ancora scoprire appieno quella del compositore milanese di cui è tanto conosciuta ed ammirata la produzione della musica da film quanto ignorato il ricco catalogo della musica sinfonica e da camera, oltre alle sue ben undici opere liriche!

La Sonata di Respighi non la annovererei invece fra i suoi capolavori; è del 1916, precede di poco la famosa “Trilogia romana” (le Fontane di Roma sono dello stesso anno, i Pini di Roma del 1924 e le Feste romane del 1928), aveva quasi quarant’anni e godeva già di una buona notorietà, anche se la sua vera fama si consoliderà poi in epoca fascista. Il maestro bolognese non è stato certamente contagiato dalla Scuola di Vienna e non ha partecipato della rivoluzione atonale; ma bisogna ricordare che in quegli anni la cultura musicale italiana era totalmente egemonizzata dall’opera lirica, la musica da camera e quella sinfonica facevano fatica a scendere al di sotto delle Alpi, e Respighi ha avuto il grande merito di navigare controcorrente e in acque poco conosciute.

La Kobayashi ha avuto il garbo di interpretare due autori squisitamente italiani e di scavare in un repertorio poco noto senza andare alla ricerca di facili consensi; e ciononostante di consenso ne ha avuto molto, e non solo con le due Sonate italiane ma – ancora di più – con la prima Sonata di Bach eseguita con una passionalità cui non siamo avvezzi e che ho trovato molto interessante ed appropriata. Un Bach senza l’esagerato rigore che in Europa riteniamo essere a lui connaturato e piuttosto arricchito dall’affettuosità e dalla bonomia che tutti i suoi biografi ci hanno descritto, anche a dispetto dell’austerità che si pretendeva a Lipsia da chi vestiva i panni del Kantor.

A sua volta il Baietta – che è anche compositore e direttore d’orchestra e che ama le contaminazione dei classici, anche le più irriverenti – non solo ha accompagnato la violinista con grande sensibilità ma poi, prima di Respighi, ha coinvolto il pubblico in un gioco raffinato e divertente insieme. Ha eseguito la celeberrima “Für Elise”, che tutti i bambini sognano di sonare dopo i primi mesi di apprendimento del pianoforte, invertendo gli andamenti melodici: rovesciando tutti gli intervalli – salendo ogni volta che la melodia scendeva e scendendo quando saliva (quasi imitando la scrittura speculare leonardesca!) – ha svelato una sotterranea traccia del testo originale quasi ne fosse un’analisi o un approfondimento. Molto intrigante.

Un concerto di ottima qualità, curioso e pieno di sorprese, reso al di fuori di tutti i canali istituzionali, che conferma essere il MAMU diventato – a tre anni dalla sua nascita – luogo di ricerca e di sperimentazione, senza spocchia, aperto ad eventi anche imprevedibili, e sempre di grande godibilità.

Paolo Viola



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