9 novembre 2019

CASE CARE A MILANO, LA RENDITA URBANA E L’ACCESSIBILITÀ

Analisi e confronti a livello mondiale


La più famosa nota e consolidata ricerca annuale sul problema sociale della rendita ha ormai 15 anni di storia continua, e ha tenuto sotto osservazione decine di mercati immobiliari nel mondo e molte centinaia di città: è la International Housing Affordability Survey di Demographia, che fa capo a Wendell Cox. La metodologia su cui si basa per rendere confrontabili i risultati nello spazio e nel tempo è complessa; qui possiamo solo dire che si basa sul rapporto tra reddito medio annuo disponibile e prezzi medi di abitazioni standard. Se ne ricava un “rate of housing affordability index”, traducibile come “tasso di accessibilità economica delle abitazioni”. Più basso è questo tasso, più socialmente accessibili sono i prezzi.

L’analisi pubblicata per il 2019 varia da un valore minimo di 2,6 a Pittsburgh in Pennsylvania (dove bastano due annualità e mezzo di reddito annuale per comprar casa) a 20,9 a Hong Kong, caso palesemente anomalo, ma che forse rivela qualche nesso con le attuali proteste sociali degli abitanti. L’indagine copre 90 città con popolazione superiore al milione e una dozzina di paesi. Sfortunatamente l’Italia non è tra questi.

Fornisce anche una classificazione di qualche interesse, riportata nella tabella che segue: è concettualmente arbitraria, ma certo basata su un’impressionante base di dati statistici, articolati nello spazio e nel tempo.

Ramella_12.11_2Ma fin qui siamo solo ad una descrizione di tipo statistico, per quanto ricca. Di ben altro interesse è invece la principale correlazione causale spiegata dai dati dell’indagine. Ovvia per un economista, lo è forse di meno per chi proviene da formazioni diverse: l’accessibilità economica delle abitazioni è direttamente connessa con il grado di liberalizzazione del mercato edilizio. Più questo è vincolato, più peggiora l’indice. Cioè emerge l’ovvio principio economico che i vincoli alla produzione di qualsiasi bene ne alzano i prezzi al di sopra dei costi di produzione, cioè creano rendite.

Questo risulta verificato empiricamente, sarebbe stato ben strano il contrario, in effetti.

Dove potrebbe collocarsi Milano e l’area metropolitana in questo quadro mondiale? I due paesi europei presenti nell’analisi sono il Regno Unito e l’Irlanda (non si escludono i fattori linguistici), solo moderatamente rappresentativi per l’Italia. Non hanno indici positivi, si collocano appena sotto la soglia del 5: l’accessibilità economica delle abitazioni risulta “seriamente ridotta”.

Per l’Italia sembra esistere (ma chi scrive non è certo uno specialista del tema) solo un dato di una ricerca Tecnocasa del 2018 che configurerebbe un reddito spendibile medio intorno ai 30.000€/anno a fronte di un prezzo medio di un’abitazione intorno ai 210.000€. Dati, si ripete, da assumere con estrema prudenza. Ma che darebbero valori intorno a 7, cioè di grave difficoltà di accesso alla proprietà del bene casa, almeno in termini comparativi.

Non sembra comunque che si possano configurare valori migliori per Milano o l’area metropolitana. Tuttalpiù il contrario.

Passiamo ora al “duale del vincolo” che crea la rendita. Occorre considerare necessariamente il fattore accessibilità, cioè i costi/tempi di trasporto tra le residenze ed i luoghi di destinazione, per ragioni di lavoro o di altro tipo. Se questi costi/tempi fossero nulli, la rendita urbana sparirebbe: ci si localizzerebbe dove i prezzi delle abitazioni sono minimi (coeteris paribus), cioè dove coincidono con i puri costi di costruzione.

Quindi un modo per ridurre la rendita, oltre che ridurre i vincoli, è migliorare e diffondere l’accessibilità. Come? Nelle forme più capillari possibili: una accessibilità gerarchizzata (es. le fermate di un sistema ferroviario) ricrea la rendita. Intorno a tali fermate le abitazioni costano di più. A meno che non si eliminino o si riducano al massimo i vincoli edificatori intorno ai punti di elevata accessibilità ai modi di trasporto collettivi.

Ma lo sarebbe altrettanto, e forse di più, anche considerati gli straordinari progressi conseguiti in termini di riduzione degli inquinanti atmosferici, destinati a proseguire nei prossimi decenni, ridurre o, come minimo, non incrementare ulteriormente rispetto ad oggi il carico fiscale che grava sull’utilizzo dell’auto.

Nella citata analisi di Demographia le città dove il problema sociale della casa è meno rilevante, cioè dove le rendite urbane sono minime, sono tutte tra quelle a bassissima densità e quindi con una dominante accessibilità automobilistica.

È peraltro significativo notare come tra gli indici di deprivazione materiale e sociali individuati da Eurostat sia compreso il “non poter disporre di un auto per uso personale”. Oggi, a tale deprivazione contribuisce non marginalmente proprio l’elevato prelievo fiscale che grava sull’acquisto e sull’utilizzo dell’auto stessa.

Francesco Ramella

Professore Ordinario di Sociologia
Dipartimento di Culture, Politica e Società



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