21 ottobre 2019

LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI DELL’URBANISTICA: DA BUTTARE

L’inesorabile funerale del PGT


 

Nonostante l’encomiabile tentativo di enfatizzare l’avvenimento da parte dell’assessore Maran, giustamente ansioso di legare il proprio nome ad un atto tradizionalmente importante, l’approvazione del PGT in Consiglio comunale è avvenuta in un clima da ordinaria amministrazione, quasi solo un adempimento burocratico. Anche la tradizionale minaccia di ricorso al TAR da parte di Basilio Rizzo, seppur come sempre ottimamente argomentata, è sembrata parte di un rituale stanco e poco utile, al pari delle consultazioni dei cittadini e dei comitati – mediamente sempre gli stessi e con gli stessi architetti come consulenti pro bono – che l’immarcescibile presidente di commissione Carlo Monguzzi gestisce con l’abituale gigioneria che diverte molto i (pochi) neofiti del rito.

dalfonso

Gli spunti di reale interesse e di impatto potenzialmente reale sono stati ancora una volta confinati in pur rispettabili questioni limitate, quali la percentuale di monetizzazioni per i pochissimi interventi di social housing, puntuali e certo non irrilevanti querelle di quartiere, l’arredo di piazze che si spera possa passare da provvisorio a definitivo, grazie alle nuove regole, in un tempo inferiore ai venti anni.

Il fatto che la questione dell’assetto urbanistico in questa occasione sia risultata poco cool per i non addetti ai lavori non dipende dalla constatazione che Maran non è Di Maio e la sobrietà ambrosiana impedisce di annunciare il rinnovo della città con gli stessi tempi dell’abolizione della povertà per decreto, né da una ipotetica scarsa professionalità sopravvenuta dei protagonisti , che continuano a cimentarsi come sempre con la verticalizzazione del verde, la nascita di edifici ecocompatibili con la stessa tenacia e credibilità del giorno e dell’anno prima dell’approvazione del suddetto PGT.

La realtà è che lo strumento del PGT è apparso una volta di più superato prima ancora di essere approvato. Il limite, più volte denunciato anche su ArcipelagoMilano, di essere circoscritto al territorio comunale e non avere che pochi e per lo più inutili collegamenti procedurali con i piani e la gestione dei comuni dell’area metropolitana, la farraginosità delle procedure di approvazione, la complessità delle consultazioni, soprattutto l’infinito arco temporale di studio-progettazione-approvazione, rendono ormai il complesso delle regole del piano nella migliore delle ipotesi inutile, nella peggiore in perenne ed affannoso inseguimento di una realtà che si muove con altri tempi e metodi.

La velocità impressa a tutti i processi della vita reale dalla tecnologia e dalla diffusione delle conoscenze definiscono un contesto economico e sociale ben diverso da quello che salutò come straordinario strumento di modernità e progresso la (tardiva) introduzione dei Piani Regolatori degli anni Sessanta, il fatto politico di maggiore rilevanza per le Amministrazioni locali come ricorda Michele Achilli nel suo bel libro L’urbanista socialista- Le leggi di riforma 1967-1992.

In quegli anni la pianificazione urbanistica fu il tentativo, parzialmente riuscito, di mettere le briglia e guidare uno sviluppo che sembrava non conoscere pause o esitazioni sulla “bontà dei fini” del cemento. E comunque si calava su una realtà determinata quasi totalmente dal contesto locale. Nel nostro tempo, invece, governare la funzione urbanistica significa fare i conti sempre più con processi inseriti in dinamiche molto più grandi, dall’applicazione massiccia della tecnologia ai comportamenti sociali in evoluzione velocissima, con pause ed accelerazioni sempre meno prevedibili e pianificabili.

Emblematica in tal senso la vicenda stadio San Siro: senza voler entrare qui nel merito specifico, non si può non notare come nello stesso momento nel quale si approvava il PGT con una regola, quella delle Grandi Funzioni Urbane, tendente a permettere una gestione il più possibile ordinata di un intervento così complesso e difficile, l’iniziativa di alcuni attori costringeva a spostare l’attenzione ed il focus politico su tutt’altro piano e procedimento. E come pensare di poter governare un intervento che in qualsiasi modo si svilupperà nell’arco di decenni con i soli strumenti delle quote urbanistiche e delle percentuali di funzione senza incorrere non nel rischio, ma nella certezza di dover riprogettare e ridiscutere i fondamentali dell’intervento stesso in ragione dei cambiamenti che inevitabilmente interverranno? E come gestire l’inevitabile cambiamento di protagonisti, per cause finanziarie o naturali, per un intervento ultramiliardario, che inizia nel tempo del treno veloce e magari si concluderà in quello della mobilità a levitazione automatica?

Le vicende di Cascina Merlata, di CityLife, di Piazza Gae Aulenti, pur nelle loro diversità di premesse, attori e risultati finali, hanno avuto tutte un tratto comune: la necessità di rimettere continuamente mano a decisioni, carte e regole fissate più o meno rigidamente, con contorno di contenziosi, discussioni, accuse e fallimenti societari.

Non è più tempo di ordinaria amministrazione; riaprire il dibattito su partecipazione, democrazia rappresentativa e poteri reali non è un vezzo da intellettuali, ma una necessità indifferibile.

Anche per il nostro Comune e per la nostra Milano, vale l’ultima ammonizione di Pietro Nenni al suo ed agli altri partiti della Prima Repubblica: “Rinnovarsi o perire“.

Franco D’Alfonso



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