6 ottobre 2019

CANCELLARE L’ARCHITETTURA MILANESE

La trasformazione dell’edificio di Ponti e Portaluppi in Corso Italia 23


E’ stato presentato alla stampa e con una mostra sul posto il progetto di trasformazione pesante dell’edificio costruito nel 1962 dalla Ras, ora Allianz, all’angolo di corso Italia con via Santa Sofia che sta per essere avviato avendo tutte le autorizzazioni necessarie. Alcuni rendering sono visibili qui. L’intervento è stato qualificato come risanamento conservativo del palazzo esistente e come ristrutturazione edilizia per il piano aggiunto grazie ad una traslazione di superficie lorda di pavimento, come indicato sul sito del Comune.

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Il risanamento conservativo, che non paga oneri che sarebbero rilevanti in caso di ristrutturazione edilizia di un edificio così grande nonostante gli sconti per il risparmio energetico (121€/mq tenendo conto dello sconto massimo del 30% per gli oneri di urbanizzazione a cui si aggiunge il contributo per il costo di costruzione: stimando una slp di 30.000 mq gli oneri sarebbero 3,6 milioni di euro), richiede il rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso.

Ora dell’edificio su corso Italia si mantiene solo la struttura mentre la facciata viene completamente rivoluzionata con aperture dal pavimento al soffitto e una parete a maglia trasparente; dell’edificio su via Santa Sofia si mantiene il disegno della sommità a cuspidi tipico di Ponti e l’intelaiatura di cemento grigio, mentre le finestre vanno a prendere tutto lo spazio occupato dalle pregevoli e costose lastre di granito rosso del Sud Africa che si sono conservate nel tempo. Il cromatismo rosso-grigio dell’edificio è completamente perduto, ed era la sua caratteristica principale ed unica a Milano, dove non ci sono facciate di questo materiale e colore. Anche la facciata dell’edificio di via Sant’Eufemia 23, che richiama quella della Montecatini in via Turati di Ponti, viene rifatta totalmente.

Così Gio Ponti scrive sul numero 397 di Domus del 1962 presentando il progetto: “Dopo i poetici rigori della Montecatini e della Pirelli i progettisti, trovandosi a costruire nel cuore della città e vagheggiando per un edificio, pur destinato ad uffici, una espressione esente da una -come dire? – “pressione di severità“ hanno attenuato il rigore e l’estensione delle dimensioni attraverso l’apparire delle trame strutturali in verticale ed in orizzontale, calibrate non sulla dimensione totale ma su quella a “misura umana” dei piani e delle finestre. Questa trama che corre per tutto l’edificio snodato per il lungo, emerge dove in alto la facciata si arretra e “finisce” l’architettura.”.

E prosegue: “Un effetto di voluta levità – espressione di una collettività al lavoro, senza cipigli, era vagheggiato dai progettisti, ed è riuscito; inizialmente si era pensato di ottenerlo rivestendo i settori verticali e orizzontali e comprendenti le due, dissimili, finestre con elementi di gres a rilievo dalle superfici lucidissime. Le esitazioni provocate da questa idea hanno condotto i progettisti a ricercare nel colore ed in altre belle materie ciò che s’era atteso dal movimento e dalla lucentezza riflettente delle superfici; i progettisti hanno a lungo esitato, per il palazzo della sede, di fronte al colore, arditamente chiesto loro, dei rossi graniti africano e svedese; ma comunque l’espressione di levità permane, grazie alla lucentezza del granito, che riflette il cielo e le altre case, ed il tempo e la nafta di Milano renderanno meno crudo il temuto ed effettivo contrasto di colore e di materia, fra le parti strutturali grigie e quelle rosso vivo del rivestimento.”.

I progettisti dello studio SOM di Chicago, che hanno vinto una gara privata ad inviti, sostengono che le nuove facciate rispettano le intenzioni e i gusti di Gio Ponti, ma il testo di Ponti lo smentisce, avrebbero dovuto inserire elementi in gres. Inoltre Gio Ponti era assolutamente contrario al sopralzo dei suoi edifici (vedi il suo libro “Amate l’architettura”). E poi non conosciamo le intenzioni di Portaluppi, anch’egli autorevole progettista che disegnò la facciata in ceppo verso la chiesa sconsacrata di San Paolo Converso, diversa dalle altre per rispettarne il vincolo monumentale (vedi disegno).

Sacerdoti

Il blog urbanfile dà la seguente descrizione dell’edificio attuale: “In Corso Italia, al civico 23 si trova l’edificio di prestigio costruito tra il 1956 e il 1962 sorto sulle macerie dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, dove vi era il convento di San Paolo e la via Gozzadini, oggi scomparsa. Il palazzo imponente, occupa un lotto molto ampio e fu progettato nientemeno che da un gruppo di architetti che oggi chiameremmo Archistar come, Gio Ponti, Piero Portaluppi e Antonio Fornaroli. In Italia la nuova sede RAS fu il primo nuovo edificio creato nel secondo dopoguerra come sede direzionale di una Banca e Compagnia di Assicurazioni e a Milano rimane tra i migliori esempi di opera di architettura destinata ad ufficio. L’edificio affianca la bellissima ex-chiesa manierista di San Paolo Converso e forma un angolo tra corso Italia e via Santa Sofia. Si caratterizza per il telaio strutturale a vista e per le superfici rivestite in granito rosso tranne che sul lato che affianca la chiesa che per rispetto è rivestito in ceppo lombardo ed è più ridimensionato.”.

La commissione per il paesaggio l’ha approvato nel 2018, non so con quali motivazioni e se si sia resa conto del valore dell’edificio di Ponti e Portaluppi che sparisce con l’intervento di SOM, che se ne appropria interamente. In futuro si potrà solo dire che l’edificio è di SOM, dei progettisti milanesi non c’è più traccia!

Il mancato introito da parte del comune degli oneri di urbanizzazione ha un risvolto amaro. L’edificio aumenterà il suo valore commerciale per la presenza della fermata della nuova linea M4 davanti al suo ingresso, metropolitana che il Comune e quindi i milanesi pagheranno per anni. Da questo investimento il Comune non ricava nulla, Allianz si tiene tutto il plusvalore. Se Allianz avesse fatto l’operazione in Germania avrebbe pagato molto di più. Se fosse successo ai tempi della M1 avrebbe pagato un contributo straordinario.

A me sembra doveroso che Allianz cambi il progetto e rispetti le facciate di Ponti e Portaluppi ottenendo il risparmio energetico lavorando dall’interno. Dovrebbe anche essere eliminato il piano aggiuntivo sui due edifici che ne altera l’immagine, impedendo proprio il rispetto dei loro elementi tipologici e formali nel coronamento.

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Se proprio Allianz volesse insistere su questo progetto il comune dovrebbe a mio modesto parere (non sono un avvocato) annullare in autotutela il permesso di costruire e rilasciarne uno nuovo come ristrutturazione edilizia con il pagamento degli oneri dovuti.

Il Municipio 1 è stato scavalcato perché il regolamento del decentramento gli assegna solo il compito di decidere la destinazione degli oneri che in questo caso non ci sono. E’ ora di ripristinare il parere socio-ambientale che è stato eliminato nel 2016, creando danni incredibili in tutta la città. Recentemente il Municipio 2 lo ha chiesto in seguito all’autorizzazione di una torre residenziale di 24 piani in via Stresa 22.

Una nota infine sul risparmio energetico, apprezzato dal Chief Resilience Manager del Comune di Milano.

Sicuramente il raggiungimento di un maggiore isolamento termico è positivo per la città ma non può essere ottenuto danneggiando l’aspetto di un edificio di autore. E’ sicuramente possibile ottenere lo stesso risultato agendo sulla facciata dall’interno dell’edificio e forse anche con costi minori. Non so se sia stata quantificata l’emissione di CO2 prodotta dalla trasformazione dell’edificio con il rifacimento completo delle facciate.

Michele Sacerdoti



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  1. Cesare MocchiSe si modificano le facciate è pacifico che l'intervento sia di ristrutturazione edilizia, lo dice la legge. Faccio notare però un altro paradosso: il PGT di Milano tutela il moderno d'autore solo nei NAF, ovvero i nuclei di antica formazione dove il moderno è presente poco o niente. Nel resto della città, dove gli edifici moderni sono tanti e pregevoli, non sono tutelati. Misteri di questo (pessimo) PGT.
    9 ottobre 2019 • 07:48Rispondi
    • Michele SacerdotiE' vero ma l'edificio di Corso Italia 23 non è compreso tra gli edifici moderni di autore, cioè complessi edilizi con valore architettonico intrinseco, lo si potrebbe addirittura demolire. Una grave dimenticanza che non si può correggere perché il nuovo PGT è quasi approvato definitivamente.
      12 ottobre 2019 • 09:12
  2. Luigi CorbaniCondivido totalmente.
    9 ottobre 2019 • 10:06Rispondi
  3. andrea sacerdotiIl titolo mi pare francamente eccessivo . Mi pare piuttosto che la ristrutturazione dell'edificio di Gio Ponti di via S. Sofia/ cso Italia 23 progettata dallo studio SOM valorizzi il progetto di Ponti che oggi su via S. Sofia appare come un muro piuttosto informe e ingombrante anche se di bel colore rosso . Alzi la mano chi passando lungo la circolare dell'ex Naviglio lo ha guardato sin ora con l' ammirazione dovuta a una grande architettura . A Milano era sin ora un 'opera trascurata . Il progetto SOM lo fa rivivere aggiornando la facciata con più ampie finestrature e una grande porta e aprendo anche la grande corte interna ad una nuova vivibilità cittadina con aperture sui 3 lati di via S. Eufemia , Cso Italia , S. Sofia .
    10 ottobre 2019 • 00:26Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaTrovo curioso che non si sia notato che l'articolo di Sacerdoti riguarda due temi: l'architettura e gli oneri di urbanizzazione. Quest'ultimo aspetto mi sembra rilevantissimo e rappresenta una sorta di "benevolenza" del Comune nei confronti degli operatori immobiliari. Insomma un regalo che costa alla collettività.
      11 ottobre 2019 • 16:56
  4. Fabio ElsaCertamente é un intervento di ristrutturazione edilizia, il responsabile del procedimento potrebbe rischiare una denuncia per danno erariale. Ma soprattutto mi interessa l’ultima considerazione di Michele Sacerdoti, si fanno passare questi interventi come C02 ZERO, ma nel calcolo delle emissioni non viene mai considerato lo smantellamento dell’esistente e spesso neppure le emissioni generate per produrre,trasportare ed installare i nuovi materiali da costruzione. Si considera solo il consumo energetico dell’edificio in funzione, dimenticandosi (forse apposta) del resto.
    10 ottobre 2019 • 12:59Rispondi
  5. Valerio CozziTrovo molto interessanti i precedenti commenti che dettagliano alcuni aspetti non subito apprezzabili dalla descrizione e dai render. Ammetto che camminando spesso lungo Corso Italia, ciò che mi ha sempre attirato è il vuoto del cortile più che la facciata in Curtain Wall (anche se mi sembrava qualcosa di famigliare oltre che di un bel rosso). Appare poi chiara la sproporzione tra questo volume (comparato alla strada) e quello su via Santa Sofia (massiccio e poco significante). Il progetto di PIUARCH (non compiutamente risolto per ammissione degli stessi progettisti durante una presentazione all'Ordine degli Architetti di Milano) osava ancora di più demolendone parte per recuperare respiro da una parte e volumetria dall'altra. L'apertura della corte interna poi è un fattore positivo non trascurabile. Non riesco ad apprezzare bene il disegno delle facciate di SOM. I render ormai sono tutti uguali e non comunicano più molto. Certamente è un'altra architettura. Mi domando se è così sbagliato. Non lo vorremmo per un edificio quattrocentesco ma viene fatto continuamente per la quota dominante dell'edilizia e architettura (più del 90%) che non è ricompresa in nessuna tutela e che spesso vale molto di più. Oneri e costi a parte, credo che il proprietario di un immobile abbia tutte le ragioni di rendere vivibile e utilizzabile un edificio quando smette di esserlo - questo ho capito dalla bella relazione di Gino Garbellini all'Ordine di Milano, lo scorso 1 ottobre. Forse gli architetti dovrebbero però avere un po' più considerazione del proprio ruolo più che di sé stessi e lavorare per la città. Non deve essere stato facile il compito della Commissione del Paesaggio di Milano.
    10 ottobre 2019 • 16:05Rispondi
  6. Michele SacerdotiDal punto di vista architettonico l’edificio è di grande pregio e non merita il trattamento di SOM che lo banalizza. Elimina ogni traccia del granito rosso da tutte le facciate, pietra costosa che le impreziosiscono e che si è conservato perfettamente negli anni rispetto a tanti altri tipi di facciata. Il progetto originario incornicia tutte le finestre di rosso, anche quelle all’ultimo piano che essendo quello della direzione ha le finestre più grandi. Quindi se SOM voleva allargare le finestre per dare più luce agli uffici doveva comunque tenere una parte del granito rosso come cornice. La bicromia dell’edificio su via Santa Sofia in cui le lastre di granito sono incorniciate da una struttura in cemento è una importante caratteristica dell’edificio. Gli edifici di corso Italia e via S. Eufemia invece sono totalmente rossi e Ponti voleva proseguire questa facciata anche in piazza S. Eufemia fino ad arrivare vicino alla facciata della chiesa di San Paolo Converso. Qui la Soprintendenza ha invece imposto il ceppo con una facciata disegnata da Portaluppi ritenendola più in accordo con la facciata della chiesa. Trovo che la facciata più riuscita sia quella sul giardino, che lo racchiude con un andamento spezzato e in cui il verde della piante si accorda bene con il rosso delle facciate, essendo colori complementari. Non capisco perché un edificio per uffici costruito all’inizio degli anni sessanta non debba essere conservato al pari di edifici per uffici più vecchi, come quelli in piazza Cordusio. Si tratta di un edificio che ha sessant’anni di età e che può essere ancora usato benissimo per uffici. Finestre grandi non sono necessariamente un vantaggio per i riflessi del sole sugli schermi dei computer e per il sole d’estate che deve essere schermato con brise-soleil o tende che spesso non funzionano.
    13 ottobre 2019 • 01:17Rispondi
  7. Michele SacerdotiOggi è uscito il seguente articolo del Prof. Fulvio Irace, professore ordinario di storia dell'architettura al Politecnico di Milano dal titolo: Salvare o trasformare i gioielli della modernità questo è il problema Già oltraggiati due degli edifici di Gio Ponti studiati anche all’estero. Lo sviluppo non sia miope: serve un dibattito su cosa va mantenuto di Fulvio Irace Il Castello Sforzesco è uno dei monumenti di Milano più amato dai turisti e uno dei segni contraddistintivi della città storica: al punto che sembra oggi impossibile che un gruppo di speculatori alla fine dell’800 pensasse di demolirlo per trasformarne l’area in un quartiere di abitazioni di lusso. Dopo l’Unità d’Italia, a Milano si creò un clima di euforia per il nuovo — culminante nell’Esposizione del 1881 — che generò trasformazioni rapide e radicali con una forza di innovare e rifare che, da allora, riemerge periodicamente. L’Esposizione del 1881 fu allora l’occasione di rimettersi al passo del futuro, di celebrarsi come la capitale morale e la locomotiva del Paese. Nel nuovo millennio, l’Expo del 2015 ha ripetuto il miracolo di risvegliare una metropoli addormentata, pagando tuttavia un prezzo, le cui conseguenze pochi sono disposti a discutere con franchezza: il Castello Sforzesco fu salvato da Luca Beltrami,capofila di un movimento d’opinione trasversale che riuscì a imporre alla logica del real estate le esigenze della comunità. E oggi? C’è qualcuno disposto a incarnarne il ruolo davanti alle trasformazioni striscianti che stanno cancellando in silenzio parte del patrimonio della storia moderna della città? Quel patrimonio che molti ci invidiano e ritengono punto forte d’attrazione del turismo colto. I BBPR, Caccia Dominioni, Magistretti, Ponti, eccetera, sono oggetto di visite di studio e di ammirazione da parte di studenti, architetti e ricercatori internazionali perché non solo cambiarono la città ma addirittura la “inventarono”. Lo scorso anno a Parigi una grande mostra al Louvre ha consacrato il primato di Gio Ponti nel XX secolo; a novembre al Maxxi di Roma un’altra esposizione ne celebrerà l’apporto all’architettura della sua città e di altre città del mondo. Paradossalmente però — a quarant’anni esatti dalla sua morte — sono a rischio le sue opere nella sua città: è stato infatti presentato il progetto di trasformazione radicale ( in realtà lo stravolgimento) dell’ex sede della Ras in via Santa Sofia, costruita nel 1962 con Piero Portaluppi. Un edificio di dimensioni quasi colossali, di proprietà dell’Allianz, reso disponibile a nuovi e più redditizi usi, vista anche la vicinanza della nuova metropolitana. Il complesso, costituito in realtà di diversi corpi che si affacciano anche su corso Italia e di fianco la chiesa di San Paolo Converso, fu immaginato da Ponti come un edificio colorato, grazie a uno speciale rivestimento in granito rosso, e illeggiadrito dal particolare trattamento della struttura in vista che sulla sommità forma una specie di merletto. Vista la sua “ giovane” età, non può per legge essere tutelato, se non per il vincolo di rispetto ambientale, vista la sua rilevanza su corso Italia. Non a caso, Portaluppi disegnò la facciata verso San Paolo in ceppo grigio su richiesta della Soprintendenza. Allianz si è affidata a una multinazionale del progetto: lo studio americano Som, che con la storia ha strutturali problemi di diffidenza e incomprensione. Risultato? Dell’edificio originario è stata mantenuta solo la soluzione del coronamento, aggiungendovi però un curioso sopralzo che contraddice completamente la teoria pontiana della “ forma chiusa” per indicare un edificio dove nulla potesse essere aggiunto. Un autentico schiaffo in faccia: contrabbandato tra l’altro da una dichiarazione di rispetto che sembra quasi una presa in giro. Lo stesso oltraggio che minaccia di abbattersi su un altro capolavoro di Ponti — il suo ultimo omaggio a Milano pochi anni prima della scomparsa — : l’ex sede delle Assicurazioni Savoia in via S.Vigilio, via Famagosta, oggi messo sul mercato immobiliare con un progetto di riuso “ smart” che prevede, tra l’altro, l’aggiunta di un altro piano che ne distrugge le proporzioni. Si dirà: ma allora dobbiamo arrenderci al passato e sacrificare il futuro alla memoria? È chiaro che una città non può vivere senza trasformarsi: e gli architetti milanesi del dopoguerra ne diedero testimonianza rifiutandosi però si seguire la moda americana del grattacielo e delle facciate di vetro. Il Pirelli di Ponti, la Velasca dei BBPR, il complesso di uffici di Caccia in corso Europa — per citarne alcuni — furono l’orgogliosa e arguta risposta all’americanismo imperante. Dimostrarono che si potevano fare grattacieli e vetrate alla milanese: e oggi tutti vengono a Milano per ammirarli. Se Beltrami non avesse salvato il castello “ inventandone” la sua immagine medievale con una fantasia che guardava al futuro, Milano oggi non sarebbe la città turistica che è. Ben venga dunque il futuro: ma per favore non sia né miope né provinciale: forse è ora che si avvii un dibattito tra i cittadini su cosa vogliono che rimanga di questa città nei prossimi decenni. © RIPRODUZIONE RISERVATA Stravolta L’ex sede Ras in via Santa Sofia, costruita da Ponti e Portaluppi
    17 ottobre 2019 • 20:05Rispondi
  8. roberto castelliCosa è possibile concretamente fare per impedire questo scempio?
    23 ottobre 2019 • 16:53Rispondi

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