10 settembre 2019

CRISI DI GOVERNO, SI RIAPRE LA QUESTIONE NORD-SUD

Milano riprende a pensare paese. Chi sono gli interlocutori?


Questa crisi di governo si è distinta dalle 64 precedenti (tolta l’ultima tumultuosa crisi che ha portato al Conte 1) creando quello scenario che ad alcuni appare uno “stato di necessità” (togliere dalla “sala macchine” Matteo Salvini) ad altri appare una situazione di incoerenze e di confusione.

Rolando

Pro e contro attraversano molte aree politiche, con una curiosa geografia del sì e del no (quest’ultimo che Ipsos ha indicato in leggero vantaggio nell’opinione pubblica, ovvero al 53%). Protagonisti del dibattito pubblico sono cercati dai media per fare sintesi delle posizioni contrapposte. Romano Prodi ha detto a margine del Forum Ambrosetti di Cernobbio che “è nato un governo che, finalmente, avrà rapporti seri con la UE e spero che avremo un peso più forte”. Tra coloro che hanno un’attenzione alla questione settentrionale Massimo Cacciari ha detto (L’Espresso): “una realtà in cui non esiste più alcun riferimento e alcuna rotta, in cui la democrazia viene degradata senza colore”.

Esagerato o meno che sia questo giudizio è vero però che le tre “perdite” presentano segni. La perdita di colore è costituita dal passaggio (non di questo o quel partito, ma, per tutte le rapide conversioni messe in atto, che appare di sistema) dal post-ideologico all’anti-ideologico. La perdita di rotta è costituita dalla prospettiva incerta, per ora dipendente più dalla voglia dei parlamentari di non tornare al voto. La perdita di riferimenti è la sparizione di ruolo sia della filiera verticale dei partiti politici (e quindi dell’influenza del territorio); sia di quella che apparteneva alla funzione dei corpi intermedi e del collateralismo, ancora pressoché assenti (salvo segnali di ritorno a una idea funzionale che vengono dai sindacati e specificatamente dalle dichiarazioni di Maurizio Landini (Repubblica, 7 settembre).

Nella lunga sceneggiatura della crisi ha dominato una condizione spettacolare e mediatica dei processi decisionali. Hanno avuto certo un forte ruolo i grandi guitti (a cominciare dal repentino cambio di marcia di Beppe Grillo), pur entrando in campo anche i professionisti della razionalità. Ma si capisce che le nuove maratone televisive costruite sull’infotainment premiano, alla fine, più le guittate che le prudenze. Perchè esse assicurano gli ascolti, non sempre danno spazio al buon senso e al pluralismo effettivo del dibattito.

Sempre nel corso delle discussioni dopo lo show down di Matteo Salvini il cosiddetto “territorio” non ha avuto grande influenza. Quanto alle connessioni internazionali, sempre esistite, questa crisi segna una certa novità. Non più uno scenario di adattamento ma addirittura (Sergio Fabbrini sul Sole-24ore di domenica 1 settembre) questa evidenza: “la ricandidatura di Giuseppe Conte è stata prima sostenuta da una constituency internazionale poi dal suo partito di riferimento” (che se vogliamo appare, in un certo senso, un altro segno di indebolimento dello Stato).

In questo nuovo campo da gioco e nella crisi innescata dallo sghiribizzo autolesivo ferragostano dell’ex-ministro dell’Interno, c’è stato posto tra i commenti per il riproporsi del doppio tema della questione settentrionale e della questione meridionale pur confusamente intrecciate. E si è profilata un’idea della “isola Milano” che risponde alla preoccupazione di vedere soggetti importanti del paese in realtà a margine della trattativa in corso, ponendo l’intera dinamica urbana contemporanea come ambito di potenziale alternativa sistemica.

Cosa emerge dai commenti? Sala propone “metodo Milano”.

Proviamo a dipanare un po’ l’argomento per come è affiorato sui media.

Ha scritto Nando SantonaStaso sul principale quotidiano del Mezzogiorno, Il Mattino (29 agosto): ”Una alleanza che si gioca tutta al Sud”. Mentre una pagina intera del quotidiano più radicato nell’interpretazione della questione settentrionale, La Stampa, ha segnalato: “Adesso il Nord ha paura dell’isolamento” (Luigi Grassia, 29 agosto). Stefano Folli ha dedicato la sua calibrata nota di fine agosto al tema “Il Pd, Calenda e il Nord assente” (Repubblica, 30 agosto). Anche i giudizi a caldo dopo l’indicazione dei ministri ha largamente segnalato – al di là di chi è nato a Cuneo, a Lodi o a Belluno – una certa distanza relazionale del governo stesso con le culture che appartengono al sistema produttivo. Vincenzo Boccia (presidente di Confindustria), rispondendo da Salerno a Cernobbio punta a minimizzare le distanze tra nord e sud a condizione che ci sia un “piano Italia” per affidare funzioni geopolitiche diverse e convergenti. Ma è stata soprattutto l’intervista di Beppe Sala a pagina piena sul Corriere della Sera (1 settembre, a cura di Maurizio Giannattasio) a fare di Milano un “soggetto” e non un “contenitore” delle vicende: “Il punto è capire che il metodo Milano è innanzi tutto replicabile per il nostro Paese più che mutuabile nelle altre città. Consiste nella capacità di guardare a lungo termine, fare con serietà un piano di governo del territorio, lavorare bene tra pubblico e privati rispettando i valori di ogni componente della società, dalle università alle imprese e dai lavoratori italiani agli immigrati che spesso fanno i lavori più umili”.

Cosa tiene insieme questi spunti?

Piero Bassetti (sollecitato, come altre volte, ad un aggiornamento di giudizi sulle cose più recenti) sostiene il suo punto di vista sul declino tendenziale dello Stato, tuttavia equilibrato dal ruolo ineludibile dell’Europa e dall’emergere del città globali (meglio se glocali) nello svolgere (alcune) un ruolo egemonico nel territorio. Nei profili costituzionali italiani ciò significa generare patti reali e non conflittuali con i rispettivi territori regionali. Ma anche nel creare condizioni di sviluppo e di crescita (intesa come internazionalizzazione dell’economia e del commercio) agendo sulla base di una chiara condizione: avere piani efficaci per ridurre il conflitto urbano e quindi per assicurare coesione interna in tempi di grande mobilità e di migrazioni da gestire e non da esorcizzare.

Evidente la netta alternativa al governo gialloverde che tuttavia il governo giallorosso potrebbe faticare a mettere in piedi. Sono indicazioni che parrebbero saldare cose prima accennate, compresa un’altra osservazione del sindaco di Milano che chiede di rimettere mano subito alla legge istitutiva delle città metropolitana per consentire “alle due o tre che hanno i titoli” di fare effettivamente la trasformazione. Anche qui è netta l’alternativa al rapporto inter-istituzionale ora asfittico. Francesco Boccia (neoministro per gli Affari regionali ha cultura adeguata per interagire con questi temi, ma non basta questo ministro “relazionale” a muovere indirizzi che sono di fondo.

Naturalmente il rapporto Stato-territorio – rebus per un paese che si è disabituato a parlare di autonomia e federalismo – non è visto in modo univoco. Piero Bassetti lo vede come un ruolo tendenzialmente sostitutivo che deve spostare progressivamente l’identità nazionale sulla dimensione europea. Dagli spunti del sindaco di Milano si legge piuttosto un ruolo “da azionista” che deve maturare, nelle culture pubbliche delle città trainanti, per dare allo Stato quello che l’appassimento della qualità della democrazia nazionale rischia di polverizzare: l’efficienza e il rendimento di un modello partecipativo, tra pubblico e privato, tra nativi e adottivi, tra locali e globali. Il che porterebbe ad una tendenza già in atto nel rapporto città-nazione di alcuni particolari contesti internazionali. Quella per cui una grande organizzazione urbana potrebbe avere, nell’evoluzione della democrazia dei partiti a cui assistiamo, quasi un ruolo di “nuovo partito”.

Si potrebbe dire meno ideologico ma più valoriale, non autoreferenziale ma funzionale; cioè con funzioni “politiche” di interesse nazionale ben distribuite nelle proprie componenti istituzionali e sociali interne (da qui il cenno esplicito a università e imprese). Tema che ricorre naturalmente nella storia della città, non costantemente con lo stesso afflato e molte volte finito in vaghe deleghe.

Ridefinire il tema delle autonomie

Quanto al tema nord-sud esso riappare in agenda perché è evidente che è imminente la derubricazione dei provvedimenti di “autonomia differenziata”. Che non è una questione solo della Lega ma di tutto il quadro politico (basta ricordare che l’appuntamento elettorale più cruciale della breve prospettiva riguarda le elezioni regionali in Emilia Romagna). Esso torna nelle preoccupazioni di chiunque pensi che la spaccatura e la divisione definitiva tra nord e sud non faccia volare nessuno e faccia invece piovere, per un buon tratto, sulla testa di tutti le macerie. Sala propone una cornice di trasferimento di “metodo”. Bassetti – riprendendo lo spunto del presidente di Confindustria – suggerisce di far maturare un vero e proprio progetto di dialogo nelle classi dirigenti (università, imprese, sistema educativo, mobilità e lavoro, amministrazioni) “perché il nord conferisca in modo convinto al nostro sud un piano italiano di nuovo presidio dell’intricato quadro euro-mediterraneo”).

Ci si limita qui a pochi spunti che ricaviamo dal nostro abituale dialogo civico. Ma sono temi che potrebbero vedere un indirizzo del dibattito pubblico più ampio che per l’Italia metterebbe in atto finalmente condizioni di cantiere, rispetto al puro galleggiamento per la prospettiva immediata di una situazione governativa e parlamentare che molti definiscono confusa e abborracciata.

Mentre per Milano si metterebbero in pista temi di fondo, non solo quelli “del fare”, che ci avvicinano alla prossima legislatura amministrativa.

Stefano Rolando



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