9 luglio 2019

MILANO NON È “BALNEARE”

Una città tesa e irrequieta


Confesso, senza arrossire troppo per la pigrizia, che rimpiango governi “balneari”. Se non ricordo male, uno degli ultimi fu quello di Mariano Rumor dell’agosto del 1969: la “pax aestiva”, quella che Gabriella Ferri qualche anno dopo immortalò con la sua canzone “Tutti al mare a mostrà le chiappe chiare”. La vecchia DC ci faceva il favore di lasciarci andare in vacanza senza tormentarci, lavando i suoi panni sporchi in casa ad agosto. Oggi, per colpa dell’ansia di visibilità, complice Twitter, anche nel pieno dell’estate tranquilli non saremo mai.

Editoriale 1

Prima di poter rallentare per poi fermarci sopraffatti dal caldo, dobbiamo ancora fare i conti con tante vicende aperte o appena concluse ma che hanno avviato un dibattito molto acceso a cominciare dalla sentenza su di Beppe Sala.

Su questa vicenda, la sentenza,, mi sono già espresso con un post che cominciava dicendo STO CON SALA e il perché, pur non avendogli mai lesinato critiche su alcune sue scelte. Ora spero che lui, vittima esemplare di un labirinto normativo/legislativo, si faccia promotore di una seria e non gattopardesca riflessione sul mondo degli appalti e delle leggi che lo regolano. Dai tempi della mia collaborazione con la Repubblica e poi da quando dirigo ArcipelagoMilano non ho mai lesinato critiche al Codice dei contratti anche in relazione stretta con le vicende di Expo e dunque di Sala.

Non nascondo ora la mia sorpresa nel vedere molti amici schierati con la “Capitana”, alla quale riconoscono i motivi di una scelta dettata da ragioni superiori alla legge, mentre invece sono molto parchi nel riconoscere queste ragioni a Sala. Perché? Tante sono le risposte possibili e forse una prevale: Pisapia ( “La forza gentile X cambiare Milano”) e Beppe Sala , più manager che politico, non hanno mai risolto il profondo problema dei loro rapporti con le espressioni della società civile in disaccordo con loro. Si è negato spesso il semplice confronto ma soprattutto non si sono date risposte specifiche a domande e critiche specifiche. Restano sul fondo un astio e una animosità che si sarebbero potuti evitare. La democrazia è anche fatica.

Altra questione, aperta di recente, riguarda la dura presa di posizione dell’assessore Maran nei confronti del Governo e in particolare del ministro Bonisoli per i vincoli imposti a due aree: il Qt8 e la ex Piazza d’armi.

La rivendicazione di “libertà” nell’uso di quelle aree cittadine è sacrosanta ma tardiva e possiamo mettere anche gli Scali ferroviari nello stesso mazzo delle mancate rivendicazioni.

I demani pubblici possono essere alienati ai privati solo e soltanto quando, persa la loro funzione originaria, non siano utili o necessari ad assolvere nuove funzioni pubbliche nell’interesse delle collettività locali.

Editoriale-02

Lo Stato, le Società pubbliche, le amministrazioni dello Stato non possono alienare beni solo per “far cassa” e, se lo devono fare come da tempo fanno per colmare buchi di bilancio, debbono prima accertarsi che questi beni non siano utili alle collettività locali perché i cittadini non sono estranei nei confronti allo Stato e meno che mai sudditi.

C’è comunque da aggiungere una valutazione di asimmetria dei valori: per lo Stato i ricavi da queste vendite sono una goccia nel suo bilancio, o in quello delle sue Società, ma sono un patrimonio incommensurabile per le città e i loro bisogni, spesso gli unici luoghi residui per collocarvi funzioni di fondamentale interesse locale.

Su questa “libertà” originaria bisognava battersi a suo tempo, oggi è forse tardi ma “nulla è perduto” … . Con il Comune di Milano lo Stato fu più generoso nel ’26, quando il Commissario prefettizio regalò ai milanesi alcune caserme, come ci ricorda Walter Marossi nel suo Medaglione del 29 di giugno scorso. Propaganda per accattivarsi i milanesi troppo poco fascisti: il Fascismo scendeva allora verso Sud. Oggi ….

Ora, se lo Stato avesse fatto quel gesto, la discussione su Scali e Piazza d’Armi e il loro uso sarebbe ben diversa: il Comune non avrebbe mai dovuto piegarsi alla voracità dello Stato e noi non avremmo visto in campo i suoi “boiardi” calcare il proscenio dei dibattiti urbanistici armati dell’ignorante arroganza del potere. Le mobilitazioni dei cittadini sono un tentativo, non sempre efficace, di rimettere le cose a posto “ridando a Cesare quel che è di Cesare”.

Passata l’estate ci ritroveremo anche col PGT e la sua definitiva approvazione dopo le osservazioni, e anche se non esiste un termine per le ”considerazioni” come per le “osservazioni”, ne aggiungerei una a quelle della settimana scorsa, ora sul tema dell’edilizia sociale (pubblica, convenzionata, cooperativa).

Nel Documento di piano questa edilizia, necessarissima, viene definita un “servizio”. Oltre a non credere nel salvifico rapporto pubblico/privato perché il pubblico sempre ci perde per la sua innata debolezza, penso che questa edilizia debba essere definita anche “una infrastruttura abilitante” come le strade, gli ospedali, gli edifici pubblici. Serve a molte cose: riduce le disuguaglianze sociali, attenua le tensioni sul mercato immobiliare, libera il risparmio delle famiglie che può orientarsi ai consumi, … . Dunque non è un “servizio” per chi la usa ma un servizio, se ci piace questa parola, per tutti. Da qui la mia pressione per investimenti diretti con carattere di priorità.

Luca Beltrami Gadola



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  1. Anna SpallittaConcordo in pieno!
    10 luglio 2019 • 09:42Rispondi
  2. Gianni ZenoniTi riassumo i concetti fondamentali che dovrebbero formare l'Edilizia Popolare 1) Questa edilizia è e deve restare patrimonio pubblico e quindi bisogna smetterla di venderla agli attuali utilizzatori secondo una legge che ha dimezzato gli alloggi disponibili ed è piaciuta a politici e sindacati che ovviamente ne hanno fatto uso per loro associazioni.
    10 luglio 2019 • 10:27Rispondi
    • Cesare MocchiNon mi risulta che la legge che consente la vendita degli alloggi pubblici sia piaciuta a tutti i sindacati. La Cisl ad esempio mi sembra molto attenta sul tema
      10 luglio 2019 • 19:19
  3. Gianni Zenoni2) Il patrimonio da rifare deve consistere in case moderne e sane ma senza accessori come ascensori, balconi, terrazzi, vetrate, box auto, spazi comuni invece che cantine e giardini. Devono creare nei futuri occupanti il desiderio di una casa civile utilizzando la convenzionata di imprese e cooperative, i soldi ce li hanno, vadano sul mercato i mutui sono al minimo. Importante lasciare le case da loro occupate libere subito (e spesso sono in buone condizioni) e di essere affittate con nuove regole severe a chi ne ha veramente bisogno. Dalle commissioni di aggiudicazione saranno esclusi politici e sindacati ma saranno presenti Polizia e Guardie di Finanza per evitare il malcostume delle autocertificazioni false.
    10 luglio 2019 • 11:18Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaNon sono d'accordo nel non dotare le case nuove di uno standard minino di accessori e comunque con ascensore. Sono alloggi da destinare a chi non ha reddito sufficiente per andare su un qualunque mercato anche protetto: convenzionata ecc. Perché penalizzarli? Quanto alle commissioni sono d'accordo.
      10 luglio 2019 • 11:34
    • AndyNon capisco questo accanimento verso chi abita nelle case popolari. Sono persone, non animali da cacciare dal canile. Posso concordare che gli occupanti e molti destinatari leciti degli alloggi popolari siano immeritevoli di tale sistemazione ma è la legge e l'inefficienza del pubblico che devono migliorare nonostante in un mondo perfetto i disonesti non dovrebbero esistere. Se si vuole aprire una riflessione più profonda e ampia sul tema delle case popolari bisognerebbe cambiare un modello che non solo ora non ha più ragione di esistere ma ha anche fallito negli ultimi 70 anni. Anziché creare alloggi e quartieri stile riserva indiana quando in città esiste un ampio patrimonio immobiliare sfitto, sarebbe più giusto che il comune e la regioni agissero come livellatori sociali pagando la differenza fra l'affitto "Politico" e quello di "Mercato" come avviene in Germania o come aveva intenzione di fare Marino a Roma. Si otterrebbero diversi importanti aspetti positivi: si eviterebbe l'isolamento e l'ostracizzazione delle fasce più deboli, emergerebbe il sommerso degli affitti, non sarebbero richieste più case popolari di quelle già presenti (che comunque dovrebbero essere sistemate), si edificherebbe di meno soprattutto in un contesto ormai completamente urbanizzato. Inoltre le fasce più deboli, spesso più insensibili ai valori comuni non avendo niente da perdere, capirebbero più facilmente e nella sostanza cosa significhi essere portatori non solo di diritti ma anche di doveri; in pratica realizzerebbero che sono cittadini e non sudditi che per un piccolo vantaggio personale vendono il loro voto.
      10 luglio 2019 • 18:04
    • Paolo Mondolfo@Gianni Zenoni: Ettore Scola e Nino Manfredi sarebbero perfettamente daccordo con quanto ha scritto: i Poveri sono "Brutti, Sporchi e Cattivi". Mi stupisco solo un po di trovare espressa questa ideain queste pagine. Ma si sa, un po'di carità può esimere da: pagare appieno le tasse usare la propria influenza per indirizzare un governo non più "governo ladro" a: applicare le leggi governare l'efficenza delle amministrazioni (giustizia, poliza e servizi per i cittadini) e votare per politici che abbiano gli stessi indirizzi.
      11 luglio 2019 • 16:34
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