27 maggio 2019

AI SEGGI S’INCONTRA UN LEGHISTA SU TRE

Chi si contenta gode, ma chi gode non si accontenta


Due sono gli aspetti più interessante di un’analisi a caldo dei dati elettorali 1) vedere come si sono modificati i rapporti di forza tra gli attori 2) fare previsioni circa l’effetto che avranno sul futuro. Il primo è un dato di facile lettura, il secondo un lavoro da aruspici che scivola spesso nella corbelleria.

Vale la pena di ricordare a mo’ di monito che esattamente 100 anni fa nel novembre del 1919 si tennero le elezioni politiche, le prime a suffragio quasi universale (tutti i cittadini maschi che avessero compiuto 21 anni o avessero prestato il servizio militare) e con un sistema elettorale proporzionale quasi perfetto. I socialisti del PSI ottennero il 32,28 (in Lombardia il 46%), altre liste socialiste, radicali e repubblicani il 5%, il partito popolare il 21%.

Mentre il partito dei combattenti ottenne il 4%; esso includeva anche la lista Fasci italiani di combattimento con Mussolini, Marinetti e Toscanini presente solo nel collegio di Milano, che ottenne 4.657 voti (0,08%) e nessun eletto .

Nessun commentatore, giornalista, politico, vaticinatore previde che esattamente tre anni dopo Mussolini avrebbe fatto la Marcia su Roma e presentato il suo governo, ricevendo il voto favorevole tra gli altri di Giolitti, Salandra, Facta, Bonomi, Orlando, Gronchi, Alcide De Gasperi, Enrico De Nicola.

Ergo, ciò premesso e toccato ferro, sull’analisi dei dati mi pare che si possano fare alcune considerazioni:

a) I Comuni al voto in Lombardia sono stati 990 su 1.507 di cui 961 sotto i 15 mila abitanti. 197 comuni hanno avuto un solo candidato, cioè non di elezioni si è trattato ma di plebisciti sottoposti al vincolo di avere almeno il 50% degli aventi diritto. In qualche caso non vi è stato neppure il plebiscito perché non si è presentato nessuno.

Dato politicamente interessante perché evidenzia una disaffezione verso il sistema democratico che mette in discussione uno dei capisaldi culturali della politica e non solo: il senso di appartenenza municipale, campanilistica. Il fatto che gruppi e comunità si rifiutano di gestire il proprio “condominio”, in genere sono comuni piccoli, significa che la percezione del degrado dell’amministrazione pubblica e del rischio giudiziario (un abuso d’ufficio non si nega a nessuno) ha raggiunto livelli di non ritorno.

b) Non vi è stata grande corrispondenza tra il voto europeo e il voto amministrativo dove vi è stato un proliferare di liste civiche. I pentastellati, l’organizzazione ritenuta più “populista” (qualsiasi cosa voglia dire) hanno presentato propri simboli e riconosciuto candidati a sindaco in soli 51 comuni, come dire che il gruppo più votato alle ultime elezioni politiche ritiene impossibile o inutile avere continuità politica tra governo nazionale e governo locale. E dove si sono presentati hanno avuto un risultato men che modesto esemplare il 3,63% di Bergamo.

Inoltre le elezioni dirette locali sono state caratterizzate dal bipolarismo candidatizio: è stato il trionfo del voto utile; solo raramente candidati terzi hanno convinto parti di elettorato, il pluralismo si manifesta semmai nell’abbondanza di liste abbinate ai candidati specie nei capoluoghi di provincia.

E’ quindi saggio non attribuire al voto amministrativo un significato particolare, sicuramente ha costituito un incentivo alla partecipazione al voto.

La vittoria al primo turno di Gori è una pozione ricostituente per il centro sinistra ma troppo legata alla dimensione locale dei candidati per avere valore politico (la sua lista civica personale ha avuto il 23%). Diverso il caso di Yuri Santagostino a Cornaredo o Simone Negri a Cesano Boscone che possono impersonare un percorso di svecchiamento delle leadership del centro sinistra.

c) l’affluenza è irrilevante: se uno non vota vuol dire che ritiene che non ci sia nulla da cambiare è uno statusquoista. Da domandarsi perché nella cosmopolita Milano la percentuale dei votanti alle europee sia in calo sia in relazione alle precedenti sia in relazione al resto della regione.

d) I raffronti vanno fatti tra elezioni almeno con sistemi elettorali simili e principalmente sui valori assoluti. Alle Europee non vi sono doppio turno, elezione diretta, collegi individuali, premi di maggioranza, coalizioni; quindi la cosa più sensata è riferirsi alle elezioni di 5 anni fa.

Per questo mai dal 18 aprile 1948 in Lombardia i dati sono stati così semplici da leggere:

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  • il vincitore è uno solo: la Lega. Mai nessuno ha recuperato tra una consultazione e l’altra 1.400.000 voti. Alle precedenti europee il PD era il primo partito in tutte le province a queste il primo partito in tutte è la Lega, più chiaro di così.

  • Tutti gli altri perdono ad eccezione dei verdi che forse giovandosi del ritiro di Civati hanno più che raddoppiato i loro voti e della Meloni che non capitalizza appieno ne la svolta moderata dell’elettorato né la crisi di Forza Italia ma si conferma utilissimo partito di destra a supporto al leader di turno dei moderati, tra l’altro lasciando alla destra dura e pura uno spazio meno che insignificante.

  • I 5 stelle perdono 300.000 voti e tornano irrilevanti a livello amministrativo.

  • Forza Italia, su metà della quale esiste ormai un OPA di Salvini, perde 400.000 voti

  • Il PD perde 852.000 voti, pur drenando tutto il possibile grazie alla campagna “voto utile”, così ben riuscita che nessun’altro partito di opposizione al governo supera il quorum. In qualsiasi paese al mondo passare dal 40% al 23% verrebbe definito catastrofe. Mi ha stupito quindi la soddisfazione del gruppo dirigente PD, considerato anche il Piemonte, sembra voler dire “meglio che alle politiche”, ma come avrebbe detto mia madre: “Chi si accontenta gode, ma chi gode non si accontenta”.

  • Ragionare per coalizioni del passato o teoriche non ha alcun senso. Per una parte della sinistra renziani e simili sono avversari e Della Vedova un pericoloso rappresentante delle multinazionali sfruttatrici; per una parte dei renziani e dei progressisti moderati Fratoianni e soci sono sabotatori, una quinta colonna del populismo cialtrone. Diciamoci la verità, esiste un elettorato e un filone della sinistra che viene da lontano e rimanda al Togliatti di L’Europa comincia agli Urali e finisce all’Oceano Atlantico o al Nenni di «Fasti e nefasti del cosmopolitismo da Trieste al Piano Schuman», che non può essere sommato per nessuna ragione al PD con il quale al massimo fa alleanze amministrative al secondo turno. Torna l’eterna illusione del Pas d’ennemis à gauche! che tanti disastri ha creato.

  • La sinistra radicale elettoralmente non esiste più, nel collegio il calo è continuo e costante dalle europee del 1994. Così come non esiste più l’area di centro laica liberale moderata progressista; con l’insuccesso di Più Europa, che ha gli stessi numeri della lista Pannella di 10 anni fa, si chiude forse definitivamente l’illusione che esista un’alternativa elettorale al PD.

  • I dati della città di Milano sono come sempre relativamente diversi, dove relativamente vuole dire che la Lega ha recuperato in una legislatura 115000 voti ovvero il circa il 20%, mentre il PD ne ha persi 50000; tuttavia la somma dei potenziali membri di una coalizione Sala n.2, è ancora competitiva se paragonata alla regione dove, la coalizione leghista sfiora il 60%. Non è presto per definire una strategia per le prossime elezioni e chiedere a Sala di scegliere, perché Salvini farà di Palazzo Marino il prossimo obbiettivo strategico

  • Ben 8 liste sono rimaste sotto l’1%, tra queste la lista animalista e Casa Pound, che hanno goduto di molta visibilità in questi mesi. Come a dire che la nuova visibilità web o la vecchia televisiva valgono poco e nulla in termini di consenso elettorale.

  • Vi evito ogni ragionamento sui flussi elettorali che sono come gli exitpoll: ex avium volatu …. predicebam facta

Passiamo alle preferenze che servono per capire meglio i rapporti di forza interni, la capacità di controllo sul voto organizzato dei capicorrente e sopratutto gli umori.

Nel PD, premesso che curiosamente Alessia Mosca recordman di preferenze l’altra volta nemmeno si è ripresentata, per evidenziare urbi et orbi quanto il suo ruolo politico e la sua popolarità fossero un prodotto di laboratorio, Pisapia batte ogni record arrivando primo anche in Piemonte. Ma forse la sorpresa è che Irene Tinagli arrivi seconda, prova di forza dei renziani? Majorino si afferma come leader anche non milanese (ottenendo un terzo dei suoi voti fuori dalla provincia di Milano), da leader la sua prima intervista, alla domanda. “Senza Sala si perde? Ieri abbiamo dimostrato che non è così”, nessuna ingratitudine ma consapevolezza del proprio peso. La Toia eletta per la prima vota in consiglio regionale nell’85 per la DC, è la dimostrazione che quale che sia il partito o la consultazione il sistema delle preferenze premia i professionisti della politica. E aggiungo io, giustamente.

Quasi tutti i capilista arrivano primi per preferenze ma con delle sostanziali differenze: un elettore della lista su 5 ha dato la preferenza a Salvini, 1 su 7 a Pisapia, 1 su 4 alla Meloni, ma il miglior rapporto preferenze voti resta sempre quello di Berlusconi. Per capire l’abisso che li separa dagli altri: Della vedova è a 1 su 20 circa, mentre la prima classificata cinquestelle è a 1 ogni 54! I cinquestelle sono anche l’unica lista in cui il capolista imposto da Roma viene battuto. Forse non esiste la democrazia via web di Casaleggio, certo esiste la corrente di preferenze via web.

Mentre però Meloni, Salvini, Berlusconi, sono anche leader di partito, Pisapia no. Con questo, visti anche i risultati del collegio nord ovest con Calenda che ha quasi 4 volte le preferenze della seconda classificata si potrebbe trarre la conclusione che la lista PD è quella più simile ad una coalizione.

Nella Lega i 44.000 voti della Sardone (arrivata terza) quasi tutti in Lombardia, evidenziano il travaso di voti da Forza Italia, avvenuto e avvenente. Così come i 7800 voti della Santanchè o gli 8991 di Maullo evidenziano che in Fratelli d’Italia lo spazio dei transfughi non corrisponde al passaggio di elettori. Nei verdi il candidato autoesclusosi Civati è comunque risultato il più votato della lista (della serie ai visto mai che…) mentre recordman negativi sono quel candidato che in Lombardia ha avuto 1 preferenza ogni 14.500 elettori della sua lista e quello che ha ottenuto 0 preferenze (leggasi zero).

Tutto ciò premesso però una profezia la voglio fare: tra poco si tornerà a parlare di riforma istituzionale e nuova legge elettorale. Un classico, buono per tutte le occasioni e le stagioni.

Walter Marossi



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