6 maggio 2019

CITTÀ STUDI

Una questione ormai sotto traccia


Tornare a parlare di Città Studi (CS). Sì, perché a fine marzo Assemblea di CS, che ricordiamo essere composta da residenti, studenti, docenti e personale dell’università, ha inviato all’assessore Maran e a tutta la Giunta del Municipio 3 il seguente comunicato che è rimasto lettera morta nel quale si ribadiscono due punti: si ritiene che la partecipazione al tavolo dell’Accordo di Programma su Città Studi possa essere utile e funzionale a una maggiore trasparenza dell’intero procedimento e a concretizzare l’impegno già preso dalle Istituzioni nel corso di un evento pubblico; si conferma e formalizza la propria disponibilità a partecipare con una delegazione o rappresentanza alle prossime riunioni del tavolo dell’Accordo di Programma su Città Studi (e agli eventuali tavoli collegati).

Ancora una volta si è scelto il silenzio alle richieste dei cittastudiani, poco graditi in quanto considerati indisciplinati e ribelli da quando è cominciata la loro opposizione al trasferimento delle facoltà scientifiche dell’Università Statale a Rho/Expo. Il silenzio è una pratica diffusa e consolidata nei confronti delle voci dissenzienti della città.

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È degli stessi giorni l’articolo del professor Consonni apparso su Arcipelago Milano con 14 domande al sindaco Sala in merito alla questione del Giardino dei Giusti. Domande cadute nel nulla, come se le 14 domande precise, documentate e circostanziate di un urbanista dello spessore intellettuale di Giancarlo Consonni fossero un semplice esercizio di stile.

Anche il nostro Gruppo aveva inviato una lettera al sindaco Sala nell’ormai lontano gennaio 2017 senza mai ottenere una risposta. Con la stessa modalità è stato volutamente ignorato l’interessante e brillante convegno del 28 febbraio scorso sul tema “Milano. Una città per tutti? Il futuro di Città Studi si chiama Università” organizzato da Progetto Lambrate e che si è tenuto nell’auditorium dell’Università Statale in Valvassori Peroni, con tre importanti relatori di livello internazionale. Sull’incontro si legga il bel resoconto di Maria Cristina Gibelli su Eddyburg.

Se un rinomato archeologo, critico d’arte, accademico dei Lincei, ex Direttore della Scuola Normale di Pisa come Salvatore Settis, un urbanista, un intellettuale, ex assessore del Comune di Roma come Paolo Berdini e una sociologa, professoressa universitaria e studiosa dei processi di trasformazione dell’ambiente urbano come Serena Vicari Haddock, hanno generosamente regalato il loro tempo per condividere il loro sapere, probabilmente ci sarà un perché. Se fossi un amministratore della città qualche domanda me la farei.

Quanto meno confrontarsi con chi cita l’art.9 della Costituzione; con chi svela puntualmente numeri e dati su Milano, considerata oramai la capitale dell’Immobiliare; con chi ritiene che la vicenda del trasferimento dell’Università a Expo e del successivo riassetto di CS non sia una semplice questione locale, bensì nazionale. Come si può pensare di guadagnarsi la fiducia dei cittadini davanti ad atteggiamenti di questo tipo?

Molti di noi sono stanchi di questa retorica dell’immagine, di questa cementificazione cittadina a scapito di una riqualificazione dell’esistente, di scelte calate dall’alto senza alcuna vera partecipazione, di un pensiero unico che incensa la cultura del fare, che chiama alle “call for ideas” per la Milano del 2030 e che contestualmente delegittima apertamente chi si oppone all’assoggettamento del pubblico al privato.

In questa vicenda la sensazione frustrante è sempre stata che la narrazione fatta dai media cogliesse appositamente solo una certa apparenza che era quella che si voleva comunicare: edifici vecchi e obsoleti a fronte di un campus tutto nuovo scintillante nelle aree ex-Expo. La volontà dei decisori comunicata attraverso le parole e le immagini/render dei loro architetti e resa pubblica e pubblicizzata dai media. Il pensiero che viene intrappolato e addormentato in schemi predefiniti da altri, da coloro che decidono come allocare le risorse in base ai propri personali interessi, e che certo non si curano del bene comune e del fatto che la “sindrome da campus” sia uno dei malattie dell’università, come detto dal professor Settis in apertura del suo intervento.

Allo stato attuale, per Città Studi non esiste alcuna programmazione per una vasta area che si libererà in caso di trasferimento: 250.000 mq a cui si vanno ad aggiungere lo scalo dismesso di Lambrate e le aree abbandonate a Rubattino come la ex Innocenti e la caserma. Manca un impegno finanziario pubblico, mancano risorse pubbliche; saranno ancora una volta gli operatori privati coi loro interessi ad avere il sopravvento, come già avvenuto altrove. D’altro canto i finanziamenti pubblici non li vogliamo per uniformare il quartiere a quel modello unico che sembra oramai regnare a Milano, fatto di grattacieli, case di lusso e alla moda, modello Dubai, partorite dalle archistar del mondo globalizzato. Li vogliamo per soddisfare i bisogni del quartiere, per avere cura, mantenere e riqualificare l’esistente, che, se mantenuto e rigenerato, funzionerebbe perfettamente.

La domanda di fondo rimane sempre la stessa: perché sfasciare un pezzo di città di elevata qualità – e che avrebbe bisogno solo di manutenzione e di cura – per andare a tappare un buco finanziario, frutto di un’operazione sbagliata? Così come di fondo rimane il principio che se “il territorio è un bene comune, non è la proprietà privata ad avere la potestà di delineare il volto delle città, ma la collettività … .” È solo alla mano pubblica che spetta il ruolo del governo urbano.” (1)

Qualsiasi nuovo progetto, se va a stravolgere la vocazione universitaria del quartiere, diventa incompatibile con la sua origine storica perché ci sono beni che vanno salvaguardati senza temere di passare per anacronistici o conservatori. Perché non siamo né l’uno né l’altro.

Città Studi è diventata un toponimo, c’è una specie di inviolabilità anche linguistica nella denominazione del quartiere: Città Studi deve rimanere Città Studi, un insieme di campus universitari fortemente integrati al quartiere; la sua funzione originaria di servizi (ci sono anche i due istituti ospedalieri Besta e Tumori che verranno trasferiti) va rispettata e salvaguardata.

Romano

In questi 3 anni abbiamo fatto anche noi, nel nostro piccolo, un po’ il lavoro degli archeologi, abbiamo scavato in profondità, non ci siamo limitati al guscio esterno delle cose, ma ne abbiamo esaminati i vari strati. Abbiamo cercato di portare alla luce cosa sta dietro questa operazione di trasferimento, fatto capire che era un’operazione tutta italiana, che non c’era l’Europa con i suoi fondi che tifava per andare a Expo, come volevano farci credere. L’abbiamo contrastata con argomentazioni serie: mancato studio comparativo sui costi; quasi 100.000 mq in meno a Expo rispetto a Città Studi; problema delle bonifiche; idea superata e anacronistica del campus lontano dal tessuto urbano; parchi scientifici di ultima generazione che si integrano perfettamente con la città. Non ci hanno voluto ascoltare. Non c’è stata partecipazione, termine abusato da questa amministrazione.

L’impressione è che si scambi la mera informazione ai cittadini per partecipazione, mentre in realtà a molti sta bene che i cittadini stiano fuori dalle valutazioni e dalle decisioni. Ma deve essere un’impresa impossibile quella di trovare una condivisione sul termine partecipazione, se già nel 1974, quando sorsero i primi consigli di quartiere ci si trovò davanti allo stesso problema come scriveva il sociologo Gianfranco Elia nel suo libro “Il conflitto urbano” dove si legge: «in questo clima non può meravigliare se anche la partecipazione alla gestione della città, sperimentata nel nostro Paese con l’istituzione dei consigli di quartiere, è posta talvolta sotto accusa come sovrastruttura, ossia come strumento di manipolazione del consenso. Si sostiene infatti che, per la sua funzione prevalentemente consultiva e informativa, questo tipo di partecipazione non risponde alla domanda che sale dal basso».

Abbiamo messo insieme tanti tasselli, siamo stati propositivi, e cosa abbiamo ottenuto? Parole vuote o silenzi, mai fatti concreti, come per esempio l’inserimento nel PGT della vocazione universitaria sbandierata, ogni due per tre, ai quattro venti. Aspettiamo ora di vedere se saremo invitati a partecipare al tavolo dell’Accordo di Programma. L’assessore Maran sa dove contattarci: assembleacittastudi@gmail.com

Marina Romanò

Che ne sarà di Città Studi

1) P. Berdini, Le città fallite, Donzelli Editore, Roma 2014, p.21



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  1. Silvio ManeraSalve, anch'io come Marina Romano, ho partecipato ai lavori dell'Assemblea di Città Studi, fin dall'inizio. A prescindere dal mio ruolo in quella sede, il mio interesse nasceva anche dall'esser nato a Città Studi nel 1944 ed aver continuato a frequentarla nei miei 40 anni di lavoro nell'Università degli Studi, sempre a Città Studi. Questo mi permette di parlare della questione a ragion veduta. Condivido totalmente le argomentazioni e l'analisi che Marina fa della situazione. La pervicacia con cui si è voluto portare fino alle peggiori conseguenze il progetto di spostamento a Expo, è la miglior rappresentazione del fatto che di fronte a interessi economici , tutto il resto passa in seconda, o terza, fila. Il non aver voluto, ascoltare le ragioni di chi con grandi sforzi e ancor più grande pazienza, ha cercato di spiegare perché il progetto era assurdo, la dice lunga su quanto poco rispetto vi sia nei confronti dei cittadini al di là delle pubbliche dichiarazioni! In questo caso, inoltre , il fronte era assai più ampio , come ricordato da Marina. Ora francamente non so cosa accadrà nel prossimo futuro, però di una cosa sono certo. L'essere passati dalla grettezza del "vecchio " rettore alla'"intelligenza" del nuovo, ha fatto si che le punte delle lance dell'opposizione siano finite nel burro dell'intelligente......... Silvio Manera.
    8 maggio 2019 • 09:54Rispondi
  2. ing. Barbarossa Giovanni BattistaMI sono laureato in ingegneria nel 1963 ho lavorato per oltre 30 anni all'istituto Autonomo Case Popolari oggi ALER. Sono stato D.L. di diversi interventi ALER a Milano e provincia. Ho diretto un servizio Ricerche e Sviluppo per 10 anni in collaborazione con il Politecnico e con il C.N.R. e su alcuni quartieri delle case popolari abbiamo fatto interventi nati dalla ricerca. Ho fatto esercitazioni alla facoltà di architettura, ho seguito come relatore e come correlatore circa 120 tesi di laurea. Ora faccio il volontario nel Comitato Inquilini dei Q.ri Calvairate, Molise e Ponti, credo proprio di poter affermare che è un assurdo voler spostare le facoltà tecnico - scientifiche da città studi, le istituzioni debbono ascoltare tutto quanto detto da anni da chi ha lavorato e lavora a città studi e l'importanza che ha il mantenere l'attuale situazione per tutta la città di Milano.
    8 maggio 2019 • 12:33Rispondi
  3. Andrea PassarellaIndipendentemente da qualsiasi considerazione e posizione vi pregherei di non nominare Paolo Berdini corresponsabile dello scempio del progetto dello stadio della Roma da un punto di vista architettonico, urbanistico economico e legale. Al fine di avere davvero un rapporto costruttivo sarebbe anche consigliabile non coinvolgere persone ostruzioniste a prescindere come Settis oppure volete quanto asserisce sempre nella sostanza Settis ossia "dove era e come era"?
    10 maggio 2019 • 16:29Rispondi
  4. Gilberto FranchiniDiciamo a quei signori che ci ricorderemo di loro alle prossime elezioni con una agguerrita propaganda!
    11 maggio 2019 • 20:26Rispondi
  5. AskapenI commenti del tutto fuori luogo, come quello di Andrea Passarella, fanno capire che le questioni relative alle grandi trasformazioni urbane meritano studio, attenzione, e una certa perspicacia. Se mancano queste attitudini, meglio astenersi dal diffondere nocive fake news. Paolo Berdini non è certo corresponsabile di alcuno scempio, meno che mai quello dello stadio della Roma a Tor di Valle, progetto al quale si è opposto con grande lucidità urbanistica e passione civile. Si vedano come esempio queste interviste rilasciate nello scorso mese di marzo: https://www.michelesantoro.it/2019/03/berdini-stadio-facilitatori-de-vito/ https://www.teleambiente.it/stadio_roma_paolo_berdini_intervista/ Per quanto riguarda il professor Settis, già direttore della Normale di Pisa e del Getty Center for the History of Art and the Humanities di Los Angeles, consiglierei al sig. AP di fare un veloce ripasso dei fondamentali, magari leggendo "Paesaggio Costituzione Cemento" (Einaudi. 2010) o studiando le motivazioni che hanno indotto il professore a rinunciare alla partecipazione al recente Salone del Libro di Torino, fintanto che era programmata la presenza di un editore dichiaratamente fascista. Ringrazio di cuore infine il sig. AP, perché il suo ingenuo ed insipido commento ha fornito l'occasione di postare queste precisazioni, a corollario dell'ottimo articolo di Marina Romanò.
    13 maggio 2019 • 11:04Rispondi
  6. Antonino NuceraIl trasferimento della Città Studi scientifica scaturisce dalla necessità di rimediare all'esito infruttuoso delle aste per l'alienazione dell'area che aveva ospitato l'Esposizione Universale del 2015 - http://bit.ly/2Hf60lo - e sembrerebbe funzionale alla copertura dei buchi finanziari aperti a seguito delle carenze di programmazione del post-evento. In breve, a salvare da un'eventuale azione di regresso da parte della Corte dei Conti gli amministratori pubblici coinvolti nell'operazione. In realtà, tuttora nel quartiere milanese di Città Studi e nelle aree limitrofe ci sono ben maggiori possibilità di espansione rispetto all'ex-area expo. Lascia perplessi, infine, qualche riferimento all'area expo che é possibile leggere a pag. 271 dell'Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale a carico di alcuni imprenditori e politici lombardi recentemente emanata dal GIP milanese Mascarino su richiesta formulata dal PM http://bit.ly/2HiI5Ah
    13 maggio 2019 • 12:04Rispondi
  7. Daniele NepotiTutto il rispetto per i dotti professori e per le opinioni di chiunque. Io però abito in viale Abruzzi, ho studiato e mi sono laureato al Politecnico, frequento da tutta la vita questa zona e questo quadrante della città e giuro che non riesco a capacitarmi di come si possa difendere la sconfinata tristezza di Città Studi... è davvero raro a Milano trovare una zona, anche molto più periferica, di così profonda desolazione. Se non non fosse per gli studenti, capaci di fare da cartina di tornasole dei tempi che cambiano almeno cinque giorni su sette, entrare in Città Studi sarebbe come varcare una soglia temporale che riporta a una Milano che sa di vecchio e di stantio. Io spero invece che lo spostamento in Arexpo di alcune facoltà sia l'occasione per dare a questa parte di città una vocazione un po' meno asfissiante e monotona, un po' più ricca e un po' più varia della successione residenza-formazione: terziario, commercio, ricettivo, produzione, logistica, agricoltura... qualunque cosa, vi prego, ma cambiamo radicalmente vocazione a Città Studi, il cui solo nome è giù un prigione. Rompiamo 'sta gabbia.
    14 maggio 2019 • 21:46Rispondi
    • EnricoCosa pensi che succederà quando andrà via la Statale? Terziario, commercio, ricettivo, produzione, logistica, agricoltura? Se ci credi.
      11 giugno 2019 • 20:26
  8. Gianni ZenoniDESTINO DI “CITTA' STUDI” E PIANO DEGLI SCALI Il trasferimento della Città Studi che comprende grandi attrattive cittadine come Sedi Universitarie e importanti Ospedali è un problema che si va discutendo per la difficoltà di questi servizi pubblici di poter avere aree di ampliamento a causa della presenza del terrapieno delle Ferrovie che per ben 1500 metri non ha lasciato altri varchi, tra quelli presenti in via Pacini a nord e viale Corsica a sud, per l'espansione di queste importanti funzioni pubbliche. Questi due accessi sono perennemente intasati dal traffico proveniente dall'hinterland e dalle periferie intercluse e più volte sono apparse sulla stampa petizioni dei cittadini del recente quartiere residenziale di via Rubattino che lamentavano la difficoltà di accedere alla Città attraverso di essi. Eppure un paio di ampi sottopassi sotto la barriera ferroviaria permetterebbe di raggiungere le vaste aree dismesse attorno alle vie Pitteri e Rubattino consentendo di mantenere la Città Studi nella sua posizione storica e favorire i suoi ampliamenti, oltre che dare un dignitoso collegamento col centro di Milano ai quartieri residenziali, commerciali e terziari esistenti e di nuova previsione, oggi interclusi. La presenza di un Polo di non comuni attrattività scientifiche come Università e Strutture Ospedaliere tra Milano e Segrate si adeguerebbe inoltre al concetto di Città Metropolitana, dove le funzioni attrattive non devono accentrarsi in Milano ma espandersi verso i Comuni limitrofi. Oltre tutto la Città Studi ampliata verso Est avrebbe accessi diretti alla rete Autostradale, infatti la presenza della Tangenziale EST (oramai arteria essenziale della Città Metropolitana) con l'uscita di via Rubattino costituisce un fondamentale collegamento alla rete Autostradale Lombarda e ai comuni dell'Hinterland facenti parte della Città Metropoplitana, mentre i nuovi sottopassi, che dovrebbero essere previsti nella barriera ferroviaria, oltre a consentire l'ampliamento della Città Studi verso l'hinterland potrebbero raggiungere la circonvallazione delle Regioni arteria fondamentale della zona Est di Milano. Che ricordiamo è prevalentemente residenziale e mal sopporterebbe il trasferimento di Università e Ospedali in altre parti della città, come sostengono i Comitati dei residenti attorno alla sede attuale di Città Studi. Ma ora tutto ciò che sembrerebbe un sogno potrebbe avere la possibilità di essere realizzato. Infatti il Piano degli Scali che il Comune e la Regione hanno sottoscritto con le Ferrovie dello Stato Italiane con Rete Ferroviaria Italiana e FS Sistemi Urbani e Savills Investiment Management SGR per la riqualificazione di sette scali ferroviari dismessi individua su 1.250.000 mq le sette aree interessate alla trasformazione. Si tratta del più grande piano di rigenerazione urbana che riguardera' Milano nei prossimi 20 anni, uno dei più grandi progetti di ricucitura e valorizzazione territoriale in Italia ed in Europa. Che però ha una grande limite nella individuazione di queste aree solo attorno alle Stazioni o Scali di San Cristoforo, Porta Genova, Porta Romana, Rogoredo, Lambrate, Greco e Farini, lasciando così i primitivi e squallidi Bastioni della cerchia ferroviaria a sbarrare la ricucitura tra gli abitati interni con quelli esterni alla stessa. Se si vuole adeguare il concetto del Piano degli Scali con quello di ricucitura della viabilità cittadina separata dai bastioni ferroviari, sarebbe necessario quindi prevedere altri collegamenti, oltre a quelli indispensabili da ricavare nei perimetri degli Scali indicati, tra la Milano dentro e fuori la cintura ferroviaria. Ed il primo collegamento, per i grandi effetti benefici che ne potrebbero derivare, sarebbe proprio quello che permetterebbe alla Città Studi sopra descritta di restare sui siti che occupa da sempre e ampliarsi sulle aree di nuovo accesso oltre la barriera ferroviaria, diventando centro di Servizi di grande attrattività della città Metropolitana. Qualcuno si sarà domandato perché la tangenziale EST in quello spazio dove le Ferrovie sbarrano la strada all'ampliamento della Città è invece costruita in sopraelevata. Appunto perchè quando si crea una infrastruttura di grande fruibilità non bisogna compiere gli errori fatti dalle Ferrovie dello Stato, e accettato dalle amministrazioni Comunali precedenti nel permettere percorsi ferroviari su alti terrapieni che impediscono l'accesso alle aree di espansione della città. Bisogna sempre guardare avanti e così hanno fatto i progettisti della Tangenziale Est lasciando spazio per le necessità di ampliamento di Città Studi con j suoi Ospedali e Università. Le risorse economiche per questi nuovi sottopassi, sarebbero un contributo relativamente modesto di FS Sistemi Urbani rispetto alla spesa complessiva e all'importanza fondamentale che avrebbe la permanenza di Città Studi in loco con il suo ampliamento di valore Metropolitano. Sarebbe necessario quindi che il primo obbiettivo del Piano degli Scali diventasse il collegamento tra la città esistente entro la barriera ferroviaria e gli spazi interclusi della periferia, attuando il desiderio dell'uomo di collegare ed unire tutto ciò che appare ai suoi occhi perché non ci siano divisioni, contrasti e separazioni, anche perché ogni collegamento tra due abitati che si vedevano ma non potevano essere facilmente accessibili, diventerà con grande soddisfazioni dei cittadini centro di attrazione per nuove destinazioni pubbliche o private della Milano del futuro. Gianni Zenoni Febbraio 2018
    15 maggio 2019 • 10:33Rispondi
  9. Antonino NuceraIn realtà, Città Studi é ben più viva e movimentata financo del centro di Milano: https://milano.repubblica.it/dettaglio/armani:-di-sera-il-centro-e-deserto/1514140 http://www.ilgiornale.it/news/anche-mcdonald-s-e-garbagnati-cos-centro-diventer-deserto.html
    15 maggio 2019 • 11:44Rispondi
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