26 aprile 2019

1947: TORNA LA FESTA DEL LAVORO

Breve storia di un dibattito


Il 1° maggio, ovvero la Festa del lavoro e dei lavoratori ha una lunga tradizione. La proposta viene storicamente lanciata durante il congresso della Seconda Internazionale a Parigi nel luglio 1989 dove si organizza una grande manifestazione di lavoratori per chiedere la riduzione della giornata lavorativa a 8 ore. Alla metà del XIX secolo, nelle campagne come nelle fabbriche, i lavoratori non avevano diritti, potevano essere indotti a lavorare, nelle peggiori condizioni, anche a rischio della vita, per 16 ore al giorno.

La data scelta, il 1° maggio, ricorda il 1° maggio 1886, allorquando una manifestazione operaia a Chicago fu repressa nel sangue. Così, il 1° maggio del 1890 si registrò una forte adesione di lavoratori, malgrado l’atteggiamento repressivo di molti governi. In Italia, nel 1923 questa festa fu abolita dal Fascismo e fatta confluire nel Natale di Roma (21 aprile). Nel 1947, nel pieno dei lavori dell’Assemblea Costituente la Festa del lavoro e dei lavoratori divenne festa nazionale.

Presidente del Consiglio era Alcide De Gasperi. Il mondo cattolico era molto diviso e lo rimase al lungo. Ma Don Primo Mazzolari, la tromba dello Spirito Santo della Valle Padana – per richiamare le parole di Giovanni XXIII – non aveva atteso che la Chiesa istituisse la festa liturgica del 1° maggio nel 1955, con Papa Pio XII e dedicata a San Giuseppe artigiano. Già nel 1922, Mazzolari, allora parroco a Cicognara e prima di diventarlo a Bozzolo – parrocchie in provincia di Mantova e in Diocesi di Cremona – inizia a celebrare il 1° maggio in chiesa con una Messa, predicando la dignità del lavoro, della sua sacralità, della fatica di vivere e di lavorare.

Pivetta

Mazzolari anticipa la Chiesa come fanno i profeti e ne affina la posizione con la definizione sulla giusta ricompensa: la fatica deve essere pagata onestamente e giustamente retribuita. Non per vivere appena, ma per vivere da uomini e da cristiani; per avere una casa, per avere una tranquillità, per avere nell’ora della sofferenza, non il vuoto del bisogno intorno e nessuna mano che si allunga. Da questa concezione deriva una chiara responsabilità che riguarda l’Amministrazione o il Governo di una comunità, sia per creare giusto lavoro, sia per riconoscere alla fatica umana la giusta ricompensa.

Un vero programma di giustizia sociale dove il lavoro diventa la prima priorità della politica e del Governo. Mazzolari, con il suo pensiero e con la sua azione maturata a fianco dei poveri contadini delle sue parrocchie, piegati dalla durezza del lavoro, incide sulla attività legislativa dei costituenti e in particolare sul ruolo dei professorini (Fanfani, Dossetti, La Pira, Lazzati, Moro, ecc …), ad alcuni dei quali era particolarmente legato.

I caratteri decisivi della nostra Carta costituzionale risiedono nei due precetti sanciti al primo comma dell’articolo 1L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro e al secondo comma dell’articolo 3, tra di loro profondamente interconnessi E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto, la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.

Alla formula finale si giunge dopo un’intensa e appassionata discussione tra, in particolare, tre diverse proposte: quella della sinistra avanzata da Togliatti. L’Italia è una repubblica democratica dei lavoratori; quella democratico-cristiana illustrata da Fanfani, che poi sarebbe diventata il precetto definitivo Repubblica democratica fondata sul lavoro e quella del repubblicano La Malfa Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro.

Emerge con chiarezza il riconoscimento del lavoro come elemento fondante della Repubblica e della sua Costituzione. Così il 1° maggio diventa la festa di tutti e impone di considerare il lavoro come pre-condizione del vivere civile. Ovviamente, festa di tutti i lavoratori, non solo dei dipendenti, ma anche degli autonomi. Si intende il lavoro come attività della persona umana nella sua visione complessiva. Oggi, purtroppo, si tende in maniera assai strumentale ad anteporre il reddito al lavoro. Ma è il lavoro che genera reddito, non il contrario. E questo emerge con evidenza nelle particolari condizioni che si sono determinate con la globalizzazione e l’affermazione delle nuove tecnologie che, specie nel campo dell’informazione, della comunicazione e della mobilità, sono alla base dei fenomeni centrali del nostro tempo, quali la demografia e le migrazioni.

Anche nelle condizioni mutate, o forse ancor di più proprio per questo, nel futuro che si apre si dovrà operare per ricostituire pienamente il rapporto tra il lavoro e la cittadinanza come presidio della democrazia e guardando all’Europa come dimensione istituzionale necessaria per sfuggire ai pericoli di derive nazionaliste senza contrappesi e senza umanità, che già hanno insanguinato il drammatico Novecento.

Bruno Tabacci

Parlamentare Centro Democratico



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