19 dicembre 2018

I 90 ANNI DI PIERO BASSETTI, UN “PADRE” DELLA MILANO DI OGGI

I milanesi lo festeggiano al Palazzo dei Giureconsulti


Piero Bassetti è nato a Milano il 20 dicembre del 1928. Domani dunque compirà 90 anni. E domani pomeriggio al Palazzo dei Giureconsulti – dove per molti anni ha immaginato e gestito momenti importanti di un dibattito pubblico, quasi tutto e quasi sempre attorno al tema di come può essere che il mondo ruoti attorno alla storia di una città nella misura in cui quella città abbia occhi per leggere il mondo – coloro che hanno scritto sulla sua vita, nel testo d’occasione (1), diranno pubblicamente le sue virtù.

BassettiNel 2014 ero suo ospite all’Alz, un meraviglioso posto collinare nel comune di Civenna, nel lecchese, elegante e incontaminato, vicino al Ghisallo, il santuario celebrato dalle cronache del ciclismo, dove la registrazione di un colloquio si fece troppo lunga per non mettergli la pulce nell’orecchio che si stesse prefigurando una sorta di intervista biografica. Dentro cui non aveva alcuna intenzione di inscatolarsi. Perché Piero Bassetti nemmeno dalle sue parole vuole sentirsi legato o dipendente.

Ha inventato un lessico, rimeditando nella sua sottile calata milanese quello che trasudava a metà Novecento tra la Bocconi, la Cornell University e la già celebrata London School. Un lessico concettuale, che ha sempre avuto un compito molto difficile: tenere insieme impresa, società, politica, scienza e futuro.

Così che, a fronte delle diverse repliche di questo esercizio, ormai quasi secolare, se scappa a qualcuno di dargli del “profeta” lui decide che è meglio tagliar corto per evitare il rischio di essere, così qualificato, politicamente fuori dalla partita.

Quell’intervista rimase nel cassetto, finché non mi decisi a ritagliarne una parte sola, pur robusta, dedicata a Milano e di farne il trait-d’union di un testo sul public branding e un caso applicativo, cioè il caso della Milano delle nuove narrazioni in vista di Expo 2015 (2). Decisi anche di fermare quel colloquio – pieno di cose interessanti, colte, senza retorica – proprio sul punto della presa di distanza dal rischio di essere schiacciato sulle sue profezie. Questo il passo: “Lungimiranti e profeti non sono la stessa cosa”. Ai milanesi sono piaciuti i barnabiti alla Rizzoli, fatti un po’ da sé. Allo stesso Berlusconi hanno chiesto experiency, non preveggenza. Quando mai i milanesi hanno premiato qualcuno per “profetismo”? Non li hanno messi al rogo, come i fiorentini e i romani. Ma se ne sono infischiati” (3).

È stato atleta (staffettista nel team olimpionico a Londra nel ’48) e ha appeso le scarpette al chiodo. È stato imprenditore (nella scia familiare) fino a che ha fiutato che la passione politica travalicava gli interessi aziendali. Iscritto alla DC dal 1947 e al Comune di Milano, da consigliere e da assessore, dalla metà degli anni ’50. Presidente fondatore della Regione Lombardia nel 1970, appartenne (militando nella sinistra di “Base” della DC) al triumvirato interpartitico (con l’emiliano Guido Fanti comunista e il toscano Lelio Lagorio, socialista) che diede dignità progettuale al regionalismo italiano, pur lasciando quel progetto dopo il primo giro. L’ingresso in Parlamento avvenne nel 1976, con il vento nelle vele e una fama di kennediano che lo avrebbe certamente portato al governo. Ma anche qui, dopo una legislatura, l’incantesimo si ruppe e il richiamo della foresta (la foresta urbana della sua città) si rivelò più forte di quel destino. Ancora a Milano, dunque, per rivoluzionare il ruolo della Camera di Commercio e poi – reggendo per quindici anni MI-CAMCOM – per cambiar verso a tutto il sistema camerale italiano e alle stesse camere italiane nel mondo.

Gira il mondo. Destino questo più longevo e duraturo, capace di esplorare nel tempo la trasformazione dal concetto di internazionale al concetto di globale. E poi per riconoscere nel globale il protagonismo dello sciame dei punti locali fino a scoprire in ciascuno di quei punti la vocazione o almeno l’ipotesi globalista.

Con il sistema camerale in Italia, Bassetti inventa il civismo di nuove classi dirigenti, non accettando mai fino in fondo di definire questo movimento tra imprese e interessi generali con un carattere “borghese” (pur attribuitogli per definizione).

E con il sistema camerale italiano nel mondo Bassetti inventa invece gli italici, cioè il superamento definitivo dell’immenso secolare processo migratorio italiano in una parallela classe dirigente.

Sarà l’arrivo dell’era internet, con l’evidente umiliazione dei confini nazionali, a fargli dichiarare finita la grande epoca instaurata dalla pace di Westfalia (1648), quella che costruì e legittimò l’idea dello Stato-Nazione, in nome di una rivoluzione al tempo stesso globale e territoriale, aggiornando l’orma teorica di un grande lombardo dell’Ottocento, troppo in anticipo sui tempi per vincere in quell’epoca la sua partita, ossia Carlo Cattaneo.

A questa cifra di pensiero Piero Bassetti è arrivato a ridosso del nuovo millennio, mettendo in pista le sue fondazioni, Globus&Locus sul tema del ripensamento glocal dell’identità italiana e Fondazione Giannino Bassetti attorno al rapporto tra etica, impresa e scienza. Con questa infrastruttura di spunti, di interpretazione e di governo, Piero Bassetti ha dialogato con la politica del nostro tempo. Purtroppo in una fase di progressivo declino della politica stessa che ha reso idee veloci e mutanti non sempre metabolizzabili e non sempre trasferibili. Politica e accademia sono state comunque da lui pazientemente tallonate e sollecitate. A volte penetrabili e a volte, molte volte, impenetrabili.

La Milano verso Expo e verso la grande modernizzazione successiva alla depressione del passaggio di secolo, ha molte volte riacceso in Piero Bassetti il convincimento di una penetrabilità più facile nel quadro mutato dei gruppi dirigenti. E lui stesso è stato parte di alcuni di questi passaggi, come la vicenda, che abbiamo convissuto, dei “51” nel quadro della campagna di Giuliano Pisapia per un risveglio progressista verso i temi della città “in avanti”, che ha avuto passaggi di vera e propria eccitazione civile.

Intatto e lineare nei suoi valori. Intatto e lineare nella percezione, mai buonista e caso mai perfino un po’ cinica, dei conti che ogni teoria di progresso e cambiamento deve fare con la dinamica del potere. Argomento questo che l’ha tenuto appassionato al tempo stesso alla forza della trasformazione digitale e alla forza di adattamento di Santa Romana Chiesa.

E come il vento che sospingeva la sua staffetta 4×100, ecco fin qui tutta la velocità dei 90 anni di Piero Bassetti, parte solida e luccicante del brand Milano.

Stefano Rolando

L’evento si terrà al palazzo dei Giureconsulti – ore 17

(1) Francesco Samorè, Guardare oltre. Innovazione e politica nell’esperienza di Piero Bassetti, Carocci editore, 2018.
(2) Stefano Rolando, Citytelling. Raccontare identità urbane. Il caso Milano, prefazione di Gianluca Vago, con un colloquio con Piero Bassetti, EGEA, 2014.
(3) op.cit, pag. 142. 



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  1. gianni marosteganLo ascoltai a Cividale del Friuli molti anni fa all assemblea annuale dei Fogolars Furlans , e , anch io come ex migrante, ne approvai la perorazione ad ascoltare e collegare le realtà di friulani sparsi per il mondo , spesso imprenditori di successo in società più liberali , e fruirne le penetrazioni sociali e imprenditoriali che quegli insediamenti umani avevano con anni di perseveranza, instaurato. A distanza di 30/40 anni, non ricordo bene , la friulanità residente non ne fece NULLA . Come si dice: sono i migliori che se ne vanno,
    12 gennaio 2019 • 17:59Rispondi
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