19 giugno 2018

IL DILEMMA DEL RE DELL’EPIRO. COLLOQUI CON STEFANO SEPE

Vinta o persa la guerra nella vicenda della comunicazione pubblica in Italia


07rolando23FBUn’iniziativa. Un giorno il mio amico – valido storico delle istituzioni – Stefano Sepe mi ha illustrato l’iniziativa editoriale, appoggiata a una collana presso l’Editoriale Scientifica (ES) di Napoli, promossa da Carlo Mosca, già prefetto di Roma, figura autorevole di una Pubblica Amministrazione esperta e altamente responsabile, a cui lo stesso Sepe stava (come sta) collaborando, per raccontare storie di esponenti dell’Amministrazione pubblica, di diversi tempi, diverse competenze e diverse provenienze, con profili uniti da un “filo rosso”. Quello di avere dato un comprovato contributo a riformare, ovvero almeno a migliorare, sostanzialmente la condizione dei segmenti di amministrazione posti pro-tempore sotto la loro responsabilità. Scopo di quella informazione era quello di annunciarmi che ero incluso in un preliminare ampio elenco che riservava ai deceduti il format di una biografia e ai “vivi-vegeti-pensanti” il format di un’intervista. Accertato che non fossi nel frattempo deceduto, malgrado un mio inusuale ritardo all’appuntamento avesse messo il tema in verifica, e superato lo shock da imprevista enciclopedizzazione, si trattava di dare un tempo all’elaborazione e un profilo tematico al trattamento.

Il tempo e il tema. Il tempo era segnato dall’annunciarsi di un compleanno nel 2018, che gli uomini fingono di mettersi alle spalle con scioltezza (i 70,) ma che tocca inevitabilmente corde magari adatte ai “ripensamenti” e anche a ritrovare il silenzio di un necessario ridisegno personale. Il tema era centrato sulla progettazione, l’attuazione e la verifica dell’esito successivo di quella riforma culturale, tardiva ma decisiva, che fu a metà degli anni ’80 il proposito di abbattimento del “segreto e silenzio”. SS in questo caso stanno per una cultura sotterranea allora condivisa dall’amministrazione italiana. L’ipotesi era di sostituire a quei principi quelli di “trasparenza e accesso”. In poche parole lo snodo tra gli anni ’80 e ’90 fu quello del recupero – moderno, europeo, non propagandistico – della funzione comunicativa da parte delle istituzioni repubblicane che fino a 40 anni prima era stata una clava per il regime.

Il prima e il dopo. Abbiamo poi verificato che i precedenti professionali rispetto all’esperienza centrata sui miei dieci anni a Palazzo Chigi tra il 1985 e il 1995 – proprio attorno a questo tema – andavano compresi, in un primo tempo necessario per spiegare l’assioma, noto in sociologia dell’organizzazione, che i modelli funzionano solo se trovano un paio di gambe su cui poggiare e camminare. Già questa sola prima parte, sommata alla seconda “inevitabile”, faceva saltare il format dei piccoli libricini della collana. Ma quando Stefano Sepe sostenne che una terza parte – quella del ripensamento professionale, accademico, politico, internazionale – rispetto al decennale “cantiere” avrebbe aumentato la materia attorno a cui valutare il buono o il cattivo esito dell’esperienza (e non potevo dargli torto), era allora evidente che, pur restando nei tipi della ES, si sarebbe fatta la nostra passeggiata fuori da quella rigorosa collana da “centopagine”.

170 domande. Sui tre tempi, il colloquio si è snodato con 170 domande, con risposte in parte istantanee, in parte meditate e scritte, ma tutto sommato tutte con una certa immediatezza. E raddoppiando la configurazione abituale del volume. E’ vero che per Garibaldi o per Napoleone può bastare una cartella ben scritta per comprendere vite maiuscole. Mentre per i comuni mortali che hanno fatto le loro mille piccole battaglie ma nel perimetro di storie meno visibili e meno eclatanti che appartengono al dilemma sul nostro Stato – immobile o cambiato? – nel quadro di un’epoca in cui è “cambiato tutto” ma non misuriamo spesso cosa ha resistito al cambiamento e perché, ebbene una paginetta non basterebbe nemmeno se la scrivesse Quasimodo.

La spiegazione del titolo. E così è venuto anche il titolo – “Il dilemma del re dell’Epiro”(1) – il cui sottotitolo svela il senso metaforico della faccenda: “Vinta o persa la guerra nella vicenda della comunicazione pubblica italiana?”. Non svelo qui la risposta. Che, a intervista finita, non mi è ancora del tutto chiara, salvo una piccola propensione per l’accelerazione e non per la disfatta. E poi in filigrana, la storia di uno di noi. Di noi come tanti altri cioè. Di una generazione benedetta, perché con la guerra – quella vera – alle spalle. Di un’epoca in cui lavorare e impegnarsi poteva costituire un percorso avvincente a cui, soprattutto per i più giovani, valeva la pena di far cenno.

Stefano Rolando

1) Il libro è nel catalogo di Editoriale Scientifica

07rolando23-02



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