9 gennaio 2018

PERIFERIE IN CAMBIAMENTO TRA UN CAPOLINEA E L’ALTRO

Un viaggio di perplessità nell'urbanistica dei nuovi quartieri


Via Pasolini, R11: è una fermata della linea 35 ATM da Molino Dorino al quartiere Porretta (Quarto Oggiaro), entrata in funzione lo scorso settembre al servizio di due nuovi insediamenti residenziali periferici.

10barzi01FBMi trovo sotto l’Expo Village quando salgo sull’autobus e in quattro minuti d’orologio sono alla stazione del metrò. Scendo, ci faccio un giro per osservare gli esercizi commerciali, gli unici di questo estremo lembo di Milano, e dopo cinque minuti risalgo sull’autobus. Un paio di fermate sulla via Gallarate e poi di nuovo dentro la via Pasolini, che attraversa tutto il nuovo quartiere in costruzione, il cui nome si deve all’antica Cascina Merlata, adibita a centro civico.

Ignoro se il criterio con il quale l’amministrazione comunale ha scelto di dedicare quella via a Pier Paolo Pasolini sia stato influenzato dalle note immagini dello scrittore che gioca a calcio con alcuni ragazzini, su un prato spelacchiato, con lo sfondo di una periferia romana di allora recente costruzione. Certo il quartiere che sta sorgendo al confine tra Milano e Pero è molto più smart, almeno nelle intenzioni, rispetto alle borgate pasoliniane abitate da un sottoproletariato che qui, in quella che due anni fa era un’area di servizio all’esposizione universale, non avrebbe alcuna possibilità di trovar casa.

Le persone che sono salite sull’autobus alla fermata R11 di via Pasolini, l’unica in corrispondenza di un complesso residenziale pur già abitato, sono esponenti della classe media cui sono destinate le abitazioni in regime di social housing nel quale sono stati riconvertiti gli appartamenti messi a disposizione del personale delle delegazioni internazionali durante i sei mesi di Expo. Sono persone “benestanti” rispetto ai requisiti dell’edilizia residenziale pubblica, ma non abbastanza da riuscire ad accedere al mercato immobiliare a Milano, sempre più oneroso. Il Social Village Cascina Merlata è l’unico settore del futuro quartiere ad essere già abitato, se si esclude qualche appartamento del complesso che si affaccia sulla via Gallarate, sulla parte più meridionale del nuovo insediamento che, come circa la metà del nuovo quartiere, ospita edilizia residenziale convenzionata, nell’accezione immobiliarista della smartness definito social housing.

L’autobus, dopo un altro paio di fermate sulla via Pasolini – prive di utenti come di abitanti -, infila la via Jona tra il lato settentrionale del cimitero Maggiore e il cimitero ebraico, percorre il sottopassaggio della via Stephenson e intercetta il percorso del tram 12 in corrispondenza della stazione ferroviaria di Certosa. Poi, passato il primo tratto della via Eritrea, infila la via privata Castellammare che conduce all’insediamento di edilizia residenziale convenzionata di nuova costruzione chiamato Borgo Porretta, dotato di percorsi pedonali e piazzetta tra i quattro edifici che lo compongono, stretto tra la via omonima che costeggia il rilevato ferroviario e il parco Franco Verga. Le analogie tra un punto e l’altro della nuova linea di trasporto pubblico sono evidenti, esempi di un processo di trasformazione interna a due periferie che, a partire da nomi come villaggio e borgo, che evocano intenzionalmente un immaginario distante dallo stereotipo periferia di una grande città, fanno pensare ad una diversa natura sia edilizia che sociale dei nuovi insediamenti.

A Borgo Porretta, e al vicino insediamento Euromilano che si affaccia sul lato nord del parco Franco Verga, il sito web Urban File ha dedicato nel 2016 un approfondimento con molte immagini e alcuni commenti. Secondo l’autore agli abitanti di Euromilano – insediamento residenziale sorto nel 2005 nell’area dell’ex Raffineria FINA – sta a cuore distinguersi da quelli di Quarto Oggiaro e preferiscono dunque definire la zona “Certosa”, come la vicina stazione ferroviaria. Eppure, malgrado questa volontà di distinzione, l’autore nota come il nuovo insediamento non sia meno desolato del contesto in cui è inserito, fortemente connotato dall’edilizia popolare con tutto ciò ne consegue in termini di squallore. Sono persino visibili i primi segni di degrado lungo la via Perini, strada senza uscita che attraversa l’insediamento: pavimentazione stradale malmessa, serrande degli spazi commerciali abbassate, poca gente in giro, tracce di vandalismo. A Borgo Porretta, malgrado «le architetture molto belle», la desolazione è la stessa se non peggiore, dato che l’insediamento si trova a ridosso del rilevato ferroviario «e di accampamenti poco leciti». Però si può confidare nella rassicurante presenza della stazione dei Carabinieri di Musocco.

Viene quindi da domandarsi cosa hanno di diverso questi nuovi insediamenti residenziali da quelli delle periferie nelle quali sono inseriti. Difficile trovare una risposta esauriente in poche righe, ma forse c’è un aspetto che, nella sua parzialità e senza pretese di esaustività, può mettere in luce quanto essi siano in continuità o in discontinuità rispetto ai principi che hanno condizionato l’edilizia residenziale dal secondo dopoguerra. Questo aspetto può essere approssimativamente chiamato effetto “turf” ed è stato forse per la prima volta descritto nel 1960 dallo scrittore James Baldwin (1).

All’interno del quartiere di Harlem entro il quale Baldwin aveva trascorso la sua infanzia si era sviluppato, grazie ai programmi di edilizia residenziale dell’amministrazione di New York City, «ciò che nel gergo odierno delle gang si chiamerebbe “il territorio”». Quest’ultimo termine – the turf – si utilizza anche per indicare gli spazi verdi coperti da tappeti erbosi sui quali si innestano le «caserme» multipiano dell’edilizia popolare. La sostituzione della strada con lo spazio verde recintato è uno dei principi dell’urbanistica moderna maggiormente criticati da Jane Jacobs in Vita e morte delle grandi città pubblicato l’anno successivo all’articolo di Baldwin. I progetti di edilizia residenziale che si affacciano sul verde (i turf) anziché sulle strade finivano per favorire, da una parte, la possibilità che le bande criminali si identificassero su base territorialmente delimitata ed esterna e dall’altra, quindi, che ci fosse bisogno di accrescere la sicurezza innalzando barriere invalicabili a chiudere le aree verdi. La «barbarie dei turf» descritta da Jacobs è la stessa che Baldwin vedeva nell’avversione degli abitanti di Harlem per quei complessi residenziali «odiosi, incoraggianti come può esserlo una prigione, un insulto alla più gretta intelligenza».

Quanto è presente l’effetto turf nell’edilizia residenziale milanese post bellica? Non poco, è la risposta che anche una osservazione superficiale consente di dare. La disposizione degli edifici, secondo i precetti della Carta d’Atene, è indipendente dalla maglia stradale mentre si relaziona con gli spazi verdi che, nelle intenzioni originarie, almeno dei progetti di edilizia residenziale pubblica, erano aperti al transito pedonale, ma che poi, per ragioni di sicurezza, hanno finito per essere recintati. Ne è un esempio illustre il celeberrimo complesso Monte Amiata al Gallaratese in cui, nelle intenzioni di Carlo Aymonino, i percorsi pedonali avrebbero dovuto avere «il compito di rompere la tradizionale concezione dell’edificio privato, il cui unico rapporto con le zone pubbliche della città è dato dal portone d’ingresso affacciato sulla strada, e di costituirsi quindi come un iniziale modo di strutturare diversamente la residenza e i servizi» (2).

A distanza di oltre quarant’anni tutto ciò è contraddetto dalla recinzione e relativa portineria dalla quale si accede al complesso, sotto l’occhio vigile del portinaio. È la stessa situazione che si riscontra al Social Village Cascina Merlata (ex Expo Village), le cui torri si affacciano su percorsi pedonali che consentono agli abitanti di raggiungere i servizi del complesso ben recintato e accessibile solo presentandosi in portineria.

Rispetto a Borgo Porretta e alla sua impossibilità di rompere la camicia di forza infrastrutturale nel quale è contenuto, il nuovo quartiere Cascina Merlata, con la via Pasolini che lo attraversa, lungo la quale saranno distribuiti sia i complessi residenziali sia i servizi, ha la possibilità di restituire alla strada e alle sue funzioni ciò che viene negato dall’effetto turf. Infondo il fatto che gli abitanti di un quartiere possano incontrarsi sui marciapiedi di una strada anche con chi lì non abita, non ha nulla di minaccioso, dato che da qualche millennio fa parte del normale scorrere della vita della città.

Michela Barzi

1) James Baldwin, Fifth Avenue, Uptown, in Esquire, luglio 1960. I brani qui riportati sono stati tradotti da Michela Barzi.

2) Alessandra Carini (et al.), Housing in Europa, seconda parte 1960-1979, Bologna, edizioni Luigi Parma, 1979, p. 228.



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