31 ottobre 2017

ISTRUZIONI SEMISERIE PER SOPRAVVIVERE ALLE ANALISI TERRITORIALI POST VOTO

Dopo il referendum e oltre


Come ogni volta dopo una consultazione elettorale, anche nel caso del referendum lombardo sulla autonomia il rapporto tra i differenti territori regionali e il modo in cui essi si sono espressi nella voto è diventato oggetto di dibattito e come ogni volta su questo argomento viene chiamato a dire la sua un ben noto sociologo. Come ogni volta egli ripete come un mantra i concetti di Fordismo, Capitalismo Molecolare, Città Infinità, Contado, Città Regione, eccetera, con il risultato che cambiando l’ordine degli addendi la somma non muta ed essa finisce per essere sempre vicina allo zero. Mi capita quindi di riascoltare nel programma di una radio milanese il pensiero del ben noto sociologo, dispensato con il tono del detentore della verità senza peraltro dirla tutta. Tenerla un po’ di scorta da usare alla prossima intervista deve essere la sua strategia di sopravvivenza.

03barzi36FBQualche anno fa, stanca di questo miscuglio di ingredienti utilizzati nella ricetta Voto e Organizzazione territoriale ho deciso di studiare con un po’ più di attenzione come cucinare qualcosa di meno stucchevole da propinare dopo ogni tornata elettorale. Mi sono concentrata particolarmente sull’ingrediente Contado, che secondo il ben noto sociologo rappresenterebbe la differenza tra città e campagna negli orientamenti elettorali. Ciò che è prevedibilmente emerso dalla mia ricerca è che l’organizzazione del territorio lombardo non può essere compressa nelle categorie di urbano e rurale perché ce n’è una terza: quella di territorio suburbano (1).

Esso è in larga misura il tessuto connettivo della vasta area metropolitana identificata dal Rapporto Ocse del 2006, che ha il suo centro nella città di Milano ma che si estende per un raggio di circa 50 chilometri in ogni direzione, arrivando a includere territori extraregionali. Oggi sappiamo che in quest’area geografica, basata sugli aspetti socioeconomici che si possono banalmente osservare prendendo un treno di Trenord, vivono un po’ meno di 8 milioni di abitanti, i quali, magari al chiuso della loro mura domestiche, potrebbero definirsi novaresi, pavesi, lodigiani, cremaschi, bergamaschi, lecchesi, comaschi, varesotti oppure varesini, bustocchi o gallaratesi, a seconda di quanto sia ampia o limitata la loro coscienza territoriale.

Continuo nell’ascolto della trasmissione radiofonica, confidando che i concetti del ben noto sociologo alla fine possano dissolversi un po’ come fa la cappa di inquinamento che staziona sulla Città Infinita grazie agli eventi atmosferici. E invece il peggio doveva ancora arrivare. A un certo punto viene intervistato il direttore di un ben noto giornale locale prealpino, che avrebbe dovuto spiegare le peculiarità del territorio sul quale il suo quotidiano viene diffuso. È lì che sento qualcosa che mi fa rizzare i capelli e cioè che Varese, per “ragioni storiche”, avrebbe più relazioni con il Canton Ticino che con Milano.

Ora, per usare le care vecchie categorie di appartenenza territoriale, io sono per metà varesina e per metà milanese. Concretamente significa che, al di là della provenienza dei miei genitori, ho casa in entrambe le città e da sempre la mia esistenza pendola tra loro. Anche se non sono cattolica so che la mia condizione esistenziale ha anche una ragione storica che si chiama diocesi ambrosiana. Essa coincide in parte con l’area metropolitana di Milano, comprendendo territori delle province di Bergamo, Como, Lecco, Monza e Brianza, Pavia e Varese per un totale di 5,5 milioni di abitanti.

Tornando alla contemporaneità, se per una volta ci mettiamo in una prospettiva un po’ più alta di quella dell’italico campanile, possiamo ad esempio osservare che città come Varese e Milano, e relativi territori amministrati, stanno tra loro grosso modo come Staten Island sta a Manhattan. È una osservazione che mi è capitato di fare con mia figlia mentre si trovava nel borough più centrale di ciò che comunemente identifichiamo con New York: pur con in mezzo l’Atlantico eravamo giunte alla conclusione che se lei avesse voluto spingersi verso il settore più esterno e suburbano di New York City (che si chiama così in seguito alla unificazione dei cinque borough nel 1898) avrebbe dovuto compiere un viaggio uguale a quello che fa per andare tra le sue due case all’interno della diocesi ambrosiana.

Per concludere, se l’argomento è il rapporto tra territori lombardi e voto, è chiaro che vanno prese in considerazione anche le aree geograficamente marginali alla grande concentrazione metropolitana che ha il suo centro in Milano. Tuttavia esse non sono percepibili nei dati di afflusso alle urne perché questi ultimi sono espressi per provincia (che nel caso di Milano è la Città Metropolitana, molto più piccola però dell’area metropolitana vera e propria). Le province, peraltro scomparse come ente territoriale, non sono quindi un buon punto di osservazione per capire il rapporto tra voto e territorio.

Per cominciare a orientarsi meglio in questa complicata faccenda bisognerebbe innanzitutto aggiornare le categorie mentali relative all’organizzazione territoriale, introducendo nel discorso pubblico un concetto come quello di metropoli (2) . Se non ci sbarazziamo delle fumose rappresentazioni territoriali che a ogni elezione vengono messe in campo continueranno a sfuggirci le differenze che oggettivamente ci sono e continueremo a guardarle come se avessimo sotto gli occhi una mappa di metà ottocento, con le città ancora ben delineate dalle loro mura.

È un’operazione che primi tra tutti devono fare gli organi di informazione. Nel caso di quelli che operano a Milano basterebbe che cominciassero a dare per scontato che con questo nome non indicano il comune di 1,4 milioni di abitanti esteso su 182 chilometri quadrati ma la famosa (anche se un po’ inutile per esprimere il concetto di metropoli) Città Metropolitana, un ente territoriale il cui sindaco è lo stessa persona che ha il suo ufficio dentro Palazzo Marino.

Michela Barzi

(1) È brutto citarsi quindi mi limito a precisare che lo studio in questione è stato pubblicato nella rivista Archivio di studi urbani e regionali, n°112, 2015.

(2) Guido Martinotti nel suo Metropoli (Bologna, Il Mulino, 1993, p. 63) fa discendere l’incapacità italiana di applicare il termine nella mancata individuazione statistica delle aree metropolitane, cosa che invece esiste negli USA e che consente ad ogni elezione di individuare le differenze tra i territori delle Metropolitan Areas e le contee rurali.



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