16 maggio 2017

DIARIO (BREVE) DI UN CIVICO NON DESAPARECIDO

Milano è ancora laboratorio politico


Accolgo il lapidario giudizio di Luca Beltrami sul fatto di essere ormai “poco ascoltato” nelle vicende del civismo milanese (supposto che il civismo milanese sia “in ascolto”). E capisco l’inventario che lo stesso Luca Beltrami Gadola fa di un quadro stimato come “desaparecido”. Lo capisco perché quell’esperienza si è rarefatta, in alcuni casi ha raffreddato slanci, in altri ha condotto a fare, congiunturalmente o stabilmente, scelte diverse. Per molti è continuato impegno e fervore, non lo nego. Ma non c’è salto di qualità, non sono in campo figure nuove significative.

08rolando18FBQuesta testata che ha ospitato buona parte dell’animazione tematica promossa dal nuovo civismo tra la campagna Pisapia e la campagna Ambrosoli ha il diritto e il dovere – proprio in un momento di evidente richiamata in causa, regionale, nazionale ed europea, di questo “soggetto” – di porre domande.

Per riepilogare quella intensa esperienza (dal 2010 al 2013), avevo scritto un libro (Civismo politico. Percorsi, conquiste, limiti. Un diario, Milano: Rubbettino 2015), che nel sottotitolo ricordava conquiste e limiti della vicenda. Tra gli aspetti inascoltati annovero anche quello di una modesta interlocuzione, soprattutto a Milano, proprio nella fase in cui si trattava di capire meglio perché grazie a quei limiti le conquiste si sarebbero fatte più difficoltose.

Limiti e congiunture – Provo a ricordare qui i limiti (milanesi e non milanesi) apparsi evidenti negli ultimi anni: (1) localismo (e quindi tema dell’insufficiente raccordo locale/nazionale); (2) post-partitismo (e quindi tema, da trattare in modo non superficiale, del “modello di far politica”); (3) fragilità organizzativa (e quindi tema di una alternativa funzionale al “leaderismo”) e la qualità del coordinamento (come rapporto tra funzioni organizzative e competenze, che deve restare tema importante perché la politica senza competenza è pura agitazione); (4) professionismo (delicato crinale tra l’importanza del “non professionismo politico” e l’importanza del “capire cos’è e come si fa politica”); (5) radici (nel senso del “civismo stesso” e della sua grande, importante storia, come espressione della formazione della cultura della civitas).

Dal punto di vista delle congiunture che hanno sopito l’esperienza ambrosiana ricordo qui i punti principali: (1) la crisi di progetto del “Patto civico” lombardo (che non è riuscito a varare il suo coordinamento reale, dopo la formazione a Lecco di un coordinamento formale nel 2013); (2) la crisi della “domanda” da parte del centrosinistra milanese dopo Pisapia; in una sostanziale staticità del dibattito pubblico e politico nella città; (3) la conflittualità interna di varie componenti di quel movimento (con una componente riassorbita dal renzismo e altre in frammentazione per ragioni che non sono apparse evidenti); (4) il mancato sviluppo politico di una lista civica a Palazzo Marino che non ha avuto, nella sostanza, intenti diversi rispetto a quello elettorale; (5) la moderata voglia di molti di studiare, approfondire, capire e proporre.

Lo sforzo – fatto insieme ad Andrea Boitani – di costituire una rete di esponenti qualificati, anche civilmente, di tutti gli atenei della Lombardia per dare seguito al Programma 2013-2018 (mi riferisco ad Aspel con autorevole presidenza di Valerio Onida) non ha avuto nessuna interlocuzione interessata, dopo la scomparsa di Nanni Anselmi, unico a comprenderne l’importanza e a sollecitarne la funzione; ciò che avrebbe portato a ragionare meglio sulla riforma del regionalismo, sui caratteri reali della crisi dei partiti tradizionali, sulle opportunità partecipative dei sistemi urbani, etc.

Non tanto desaparecido – Mi limito a questo quadro schematico. Che completo con qualche informazione personale e spunti di indirizzo. Il mio legame con Milano non è deperibile. Soprattutto perché in tempi diversi della vita qui ho esercitato spesso un prezioso “diritto di parola”.

Dalle battaglie studentesche per il diritto all’informazione e contro la censura, alle prime esperienze nella gioventù repubblicana post-azionista, al giornalismo riformista perché non si esaurisse la spinta alle riforme sui bisogni sociali primari. Poi, al ritorno, dopo molti anni a Roma al servizio dello Stato (che dal 1985 ha obbligato ad accantonare l’appartenenza socialista avvenuta in anni diciamo così “di riscossa”), con impegni a Milano ancora istituzionali e poi universitari.

E qui la ripresa in anni recenti di quel diritto di parola, alla scoperta del cittadino che si fa “offerta politica” e non solo “domanda”. E anche alla ricerca delle trasformazioni identitarie della città e della sua comunità. In questa esperienza – con attenzione al sud, all’Europa e con un certo patimento per il declino nazionale – c’è stata nel 2010 una candidatura di capolista indipendente con i radicali in Lombardia e poi l’impegno civico nelle campagne di Pisapia e Ambrosoli. Un’idea bassettianamente fissa: Milano senza entropie.

Tre convincimenti – Per i limiti accennati ho considerato esaurita una stagione a Milano, ma con qualche riattivazione che mi scagionerebbe dalla condizione di “desaparecido”:

1 – se Milano è considerata “motore dell’Italia” (Mattarella dopo Expo), anche nel campo del civismo politico sarebbe ora di connettere esperienze di municipalismi competitivi e non assecondare municipalismi incartati; questo lo spirito di un’esperienza tra il 2016 e oggi dedicata al civismo professionale e di impresa che, in tanti luoghi da nord a sud, ha ascoltato esperienze di critica alla politica dei partiti che scappano dal dialogo con l’innovazione sociale (l’esperienza si chiama “Il cantiere delle ragioni” e tra poco sarà in emersione come proposta politica generale);

2 – se Milano viene considerata laboratorio politico (lo diciamo da sempre), adesso – Macron o non Macron – la revisione delle categorie di sinistra e destra non deve avvenire per opportunismo tattico, ma mirata a capire come entrare nella pancia dell’astensione riportando a casa elettorati sganciati e comunque critici dell’offerta dei partiti radicati, con chiarezza di posizionamento e novità nell’offerta di competenza politica e amministrativa (un articolo non sviluppa il concetto, ma garantisco che c’è materia);

3 – se Milano vuole stare al centro non solo geografico ma con nuova governance della famosa fotografia dal satellite della maggiore concentrazione urbana d’Europa (insieme a quella attorno ad Amsterdam) non può trattare la costruzione della città metropolitana come progetto burocratico ma nemmeno accreditare rischi di fughe con l’illusione della città-stato (salvo capire meglio il disegno); qui Franco D’Alfonso, consigliere delegato al bilancio per la Città Metropolitana, ha fatto un buon lavoro progettuale, credo a sua volta (e per ora) poco ascoltato.

I sindaci hanno il compito di creare relazioni stabili e di rete con città che si scelgono per confrontarsi; i “cittadini organizzati” hanno il compito di costruire relazioni sociali e civili orientate a sprovincializzare l’esperienza; in questa direzione ho utilizzato parte del mio lavoro da anni dedicato all’Europa per costruire premesse che entro questo 2017 potranno maturare.

Milano sta rigenerando solitudini. Anche se mitigate dall’energia del fare che sprona chi ha voglia e competenza. Ma la comparazione con città in sviluppo ci dice che è urgente ricomporre una socialità creativa, inclusiva, progettuale che dipende ora da analisi non compiaciute della realtà e da nuovi obiettivi almeno a medio termine per coinvolgere nuovamente la comunità nel miglioramento di una qualità sociale sempre insidiata.

Stefano Rolando



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