16 aprile 2014

BRAND MILANO, OLTRE IL SIMBOLO: PROGETTO PER LA POLIS


Vi sono alcuni nodi da sciogliere nel rapporto tra il presente e il futuro politico di Milano. Essi investono non solo e non tanto il nome del Sindaco, come nei casi dell’uomo solo al comando. Ma piuttosto una intera classe dirigente (politica, sociale, imprenditoriale e culturale). Come lo è stato – nel bene e nel male – in tutti i momenti di grande cambiamento della città.

04rolando15FBIl consolidamento post-unitario, per esempio, passò a Milano per un crescita impetuosa delle dinamiche industriali e quindi per conflitti sociali di prima grandezza (le cannonate del Bava Beccaris sui dimostranti sono solo un esempio). Eppure tra quelle cannonate e la prima guerra mondiale la città fece sistema, l’amministrazione venne retta con forte visione dei rapporti tra i nuovi protagonisti del mondo del lavoro (imprenditori e operai), le scelte tecnologiche furono tese all’innovazione e Milano andò all’Expo del 1906 come portale d’avanguardia dell’intero Paese.

Le macerie della seconda guerra mondiale – altro esempio – furono morali e materiali. La ricostruzione un capolavoro di visione e di adattamenti (il risultato urbanistico di Milano non punterà sulla bellezza ma sull’efficienza). E tuttavia quelle amministrazioni (sindaci Greppi e Ferrari) avranno a cuore la messa in sicurezza dei maggiori patrimoni culturali e riapriranno il dialogo sociale con una idea dello sviluppo che porterà a Milano lavoratori da tutta Italia per rendere il benessere a vista un premio nazionale.

L’arrivo di Expo 2015 è oggi di nuovo un cantiere morale e materiale. Il diaframma del giudizio del mondo pone l’obbligo di alcune ricapitolazioni e pone il tema della “rappresentazione” (molto di più che “comunicazione”) come necessità. Probabilmente in questa partita destra e sinistra dovrebbero avere davanti le stesse poste: riattivare gli investimenti e l’attrattività, disegnare seriamente la città metropolitana, assicurare a tutti un’alta qualità dei servizi. Ma i tre nodi principali – eccoli lì – debbono essere sciolti passando per il guado della crisi della finanza pubblica, dovendo i capitali misurarsi ancora con un sistema fiscale punitivo e avendo un ceto medio ormai esangue (con conseguente compressione dei consumi). E, ben inteso, senza avere ancora riscosso la cambiale del successo di Expo.

Non è detto che le classi dirigenti a destra e sinistra abbiano gli stessi pensieri e la stessa solidità di disegno di fronte a questi tre nodi. In più la crisi della politica e dei partiti – evidente in Europa e in Italia – non si capisce perché dovrebbe risparmiare Milano. Milano in verità ha chiuso un ciclo storico ventennale di governo della destra e ha imboccato una stagione di governo della sinistra che si adatta a questa crisi dei partiti e dunque senza disporre ancora di forze pienamente rigenerate, legate a fondo alla fiducia dei cittadini, strumentate per l’alpinismo politico delle partite in gioco. A la guerre comme à la guerre. Servono anche un po’ di stampelle (per esempio il civismo, l’associazionismo, le reti professionali). Ma serve anche una certa reattività generazionale (non puramente anagrafica) che pare accendersi, più nel PD che nel groviglio della destra.

La città poi è un teatro economico e culturale. Ma è anche un teatro politico e della rappresentazione. Da questo punto di vista il copione dell’ultimo chilometro prima di Expo (400 giorni) è importantissimo. E in questa cornice si colloca il progetto che – dopo circa due anni di cantiere – il Comune di Milano, in convenzione con la Triennale, ha fatto emergere e orientato al dibattito pubblico. Un progetto sul brand di Milano, non inteso come segno grafico ma come patrimonio simbolico in evoluzione. Questo progetto – in occasione della apertura della Mostra in Triennale su “Identità Milano” (progettata e allestita da Michele De Lucchi) – è stato illustrato in un evento presieduto dal Sindaco della città, Giuliano Pisapia, in cui sono emersi alcuni segnali interessanti.

1. Di quel patrimonio è azionista la comunità ed essa deve essere resa partecipe (tante sono le forme moderne dell’ascolto) di una vera interazione sull’interpretazione del cambiamento (qualcuno dirà che questo è più facile a sinistra che a destra, ma in realtà ciò dipende da forze e persone in campo non da schematismi).

2. L’obiettivo della interpretazione è un nuovo racconto, che ha l’opportunità di Expo per avviarsi ma riguarda i tempi medio – lunghi (essendo, come si sa il medio – lungo l’unico scenario possibile del riformismo, perché ogni conservazione – di destra come di sinistra – agisce invece nell’hic et nunc).

3. Il diritto di proposta (Brand Milano mette sul tavolo ricerche, mostre, eventi e un forum per discutere) chiede alla fine l’intervento di mediatori dediti all’interesse pubblico (fondamentale la classica analisi di Carlo M. Cipolla che – anziché baloccarsi con destra e sinistra – distingueva gli intelligenti capaci di produrre benefici per gli altri da sistemi misti di stupidi e intelligenti capaci solo di produrre o vantaggi per sé o danni per gli altri, essendoci poi anche gli stupidi puri che producono anche danni per sé).

Quindi il programma messo in atto ha una prima conclusione nel dispiegare le proposte. Ma deve avere poi una seconda conclusione nel fare emergere alleanze tra i decisori (politica -impresa – società – cultura) per convalidare il cambiamento del racconto di sé. Si tranquillizzi il mondo dei designer: non c’e’ il problema di cambiare logo o stemma. Il “racconto” è un copione più ampio (che magari contiene anche fattori visuali) che fa prendere il tragitto in prospettiva dei nodi prima accennati e ne fa consapevolezza collettiva. E soprattutto comunicabile all’esterno (Italia, Europa, mondo). In questo tratto il dialogo nella città come sistema diventa cruciale. Se c’è evoluzione condivisa di racconto sulla città è perché viene anche condivisa un’idea della polis.

In breve è questo il progetto politico – nel senso di un progetto connaturato all’evoluzione della città e delle sue relazioni – che Brand Milano sente di indossare e, per la propria piccola parte (perché è una parte metodologica e non assertiva, di sperimentazione e quindi non normativa), di segnalare a tutti coloro che in quelle componenti sociali ancora scelgono l’aventinismo (una parte non banale di sistema universitario e di sistema di impresa, come si è visto anche nel corso delle recenti elezioni regionali in Lombardia, tende a stare alla finestra) che si può lavorare sui territori moderni di una governance politica anche extra-istituzionale. Civica per definizione, come è per altro costume e ricorrenza nella storia di Milano.

 

Stefano Rolando



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