30 gennaio 2013

AMBROSOLI: CHE C’È DI NUOVO


L’analisi di Walter Marossi è corretta nella scomposizione dell’elettorato e nella valutazione delle congiunture favorevoli. Probabilmente è anche vera la crucialità del rapporto tra immagine del candidato e cambiamenti percettivi dell’elettorato. Ma qui non si capisce se la differenza la fa l’idea diffusa che i lombardi sono stati governati tutto sommato abbastanza bene (che è la tesi che Marossi sente prevalere) o l’idea che prevalga una domanda di discontinuità (che è la bussola della campagna elettorale di Ambrosoli).

Quindi lascerei perdere i riferimenti alla folla degli spin doctor del centrosinistra e mi concentrerei – per far capire il senso di marcia – su questa divaricazione. Da cui dipende anche il tono della campagna, la muscolatura politica del candidato e la dominante della comunicazione. Naturalmente – in questo Marossi ci coglie – i due temi co-esistono: il sentimento di un elettorato resistente al cambiamento (che non è detto sia tutto a destra); il sentimento invece reattivo alle crisi (economica, etica, occupazionale, istituzionale) per cui cambiare è la ragione della speranza.

Non c’è molto spazio per un “centro” ambiguo, che cerchi di raccordare questi due sentimenti. Salvo drenare un po’ di scontento nell’elettorato di destra disposto a timidi segnali.

Se non prevarrà la capacità di rappresentare il secondo punto di vista, sarà difficile avere successo. Che Maroni non sia “nuovo” rispetto alla vecchia ventennale alleanza della destra è oltre a tutto argomento sensibile per l’elettorato che vuole il cambiamento non per quello a cui sta bene la continuità.

La scommessa comunicativa che Ambrosoli sta facendo è che questa rappresentazione avviene senza urlare, senza essere paghi della protesta, senza limitarsi al malcontento. La scommessa è molto semplice: nutrire l’argomento della discontinuità con un buon programma e con proposte (anche le meta-proposte, attenzione, quindi anche quelle simboliche) che rendano visibile una cultura di governo.

L’autolesionismo tradizionale del centrosinistra – tre intelligenti osservazioni di Marossi sulle recriminazioni preventive, sulla mania dei sondaggi, sul ragionare dei partiti con in testa gli anni ’80 – è tutto vero. Non replico su questo. Ma sulla questione di fondo del mood della domanda maggioritaria degli elettori: continuità o cambiamento?

In elezioni quasi lampo è difficile fare sociologia. L’opzione è stata quella di ascoltare centralmente la rappresentanza di profondità. Associativa e soprattutto amministrativa. La bussola è venuta dalla struttura del “Patto civico” in cui la politica è rappresentata dagli amministratori locali. È questa la parte più significativa – pragmatismo, poca ideologia, molto orientamento alle soluzioni – della classe dirigente alternativa (senza la quale non si regge una legislatura) che questa volta appare insieme al candidato presidente.

Ora siamo alla stretta finale della campagna. Il voto dell’elettorato di sinistra (anche qui attenzione: non era scontato) è quasi integralmente recuperato. Il sistema degli interessi – fatto anche di tessuto piccolo e medio dell’economia – deve tuttavia decidere se il cambiamento può migliorare il quadro delle opportunità per tutti, oppure è meglio stare a cuccia, nelle relazioni consolidate da un potere che è oggettivamente in declino.

Rispetto a questa realtà Umberto Ambrosoli non ha bisogno di “muscoli”, di linguaggi esclamativi, di “una folla di spin doctor”. Deve essere se stesso e raccontare le cose che mescolano la sua forza politica e simbolica con il “noi” che gli è assicurato da forti segnali di giovani e donne e da una classe dirigente di buon senso che ha incontrato giorno per giorno vedendo in lui la prima potenzialità vera dopo 18 anni.

 

Stefano Rolando

 



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