11 febbraio 2009

PORTINERIE D’ORIENTE


L’altro giorno, attendevo il passaggio della 92 su Viale Abruzzi.

Saranno state le 7,15 e quasi contemporaneamente apparvero sulla soglia dei 3 portoni vicini alla fermata, altrettante portinaie, armate dei ferri del mestiere.

Scambiate poche sommesse parole di saluto, dense di accenti da lontani paesi dell’est Europa, presero subito a lavorare con cura, attenzione, con quella particolare modalità, fatta di impegno composto e concentrato, che è propria di chi è già avanti nella sua giornata ma è atteso da molte altre ore di impegno, senza fretta, ma senza perdere un istante.

Questo lavoro così oggettivamente umile, fatto di raccolta ed ordinata sistemazione di tutti i rifiuti depositati dalla incuria della città, condotto con precisione ed attenzione, si direbbe con orgoglio professionale, mi ha fatto pensare a come Milano è cresciuta affermando quale suo primo valore “il lavoro ben fatto”, come testimonianza, valida prima di tutto per sé, di una concreta adesione a codici di comportamento che vengono prima dei riconoscimenti pubblici.

Mentre pensavo così, le tre portinaie extracomunitarie si sono ritirate nei rispettivi portoni, lasciando dietro di sé una striscia di marciapiede pulito, isola di pulizia tra le altre parti rimaste sporche tal quale erano, di fronte ad una banca ed altri negozi ipergriffati: “spazza davanti al tuo portone, e tutta la città sarà pulita””, recita un vecchio saggio proverbio iraniano, a cui finanza e maison creative non sanno evidentemente ispirarsi.

Il tempo di annotare anche questa osservazione, e, nei rapidi minuti successivi, passanti frettolosi ed utenti spazientiti dell’ATM lasciavano sul marciapiede i loro depositi personali, cicche, fogli di giornale, depliant, in una sequenza segnata volta a volta da indifferenza, arroganza, assenza di senso di rispetto dei luoghi e del lavoro delle tre donne che, almeno alcuni, dovevano pur avere visto.

Mi è sembrato allora così decisamente paradossale ed amaro, così opposto al greve senso comune diffuso di ostilità ai “diversi da noi”, che per le povere donne venute da lontano il buon lavoro fosse un dato normale, esistenziale, mentre per tanti bravi cittadini, Milano fosse solo una povera città da usare, senza rispetto per le sue vie e per chi le tiene pulite.

Questa assenza di decoro, di attenzione ai luoghi vissuti, di cura del particolare vicino a sé, mi è sembrato di colpo, al tempo stesso, il maggior danno procurato all’identità civile di Milano ed il maggior ostacolo per riportarla al rango di grande città europea.

Difficile quindi stupirsi se, qualche tempo dopo, Milano, la Grande Milano dell’EXPO e della nuova SkyLine, è stata messa in ginocchio da una nevicata certo abbondante, ma del tutto priva dei caratteri di eccezionalità che le sono state attribuite per occultare manchevolezze amministrative, personali e diffuse.

Nella notte della Befana, 35 centimetri di neve hanno sepolto, con la tradizionale efficienza della pubblica amministrazione meneghina, anche quel mito di operosità quotidiana e di civico “saper fare” minuto che tanta parte ha avuto nella creazione del carattere della città: se gli spargisale dell’amministrazione si sono mossi tardi, quanti marciapiedi sono rimasti ingombri, quanta neve si è trasformata in ghiaccio sui passi carrabili, quanta incuria verso i pericolo di caduta della neve dai tetti: e quindi quanti disagi, femori rotti, pronto soccorsi intasati…..

Vi è stata in questa vicenda come la cartina al tornasole di un degrado generalizzato metropolitano, che non è lecito attribuire solo all’amministrazione, che pure ha le sue responsabilità gravi, ma che connota sempre più un sociale dimentico di regole, senso della comunità, piccoli doveri civici su cui fondare la convivenza.

Lasciamo allora alla povera e cara Letizia l’orgogliosa, ostinata e cieca rivendicazione dei punti di “crisi risolti”, ed auguriamoci invece che le sempre più numerose “Portinerie d’Oriente”, possano aiutare i milanesi, con i segni tangibili, e positivi, lasciati ogni giorno nella nostra città dal loro lavoro duro, silenzioso e misconosciuto, a ritrovare nei valori del lavoro ben fatto le basi di una cittadinanza condivisa ed orgogliosamente proiettata a costruire una Nuova Milano.

Giuseppe Ucciero



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