11 febbraio 2009

PENDOLARI DUBBI E CERTEZZE


Iniziamo dalle certezze: si definiscono in generale “pendolari” quelli che si recano tutti i giorni al lavoro o a scuola cambiando comune, cioè facendo viaggi di una qualche lunghezza. In Lombardia sono alcuni milioni, e su Milano sono circa 600.000. La larghissima maggioranza di loro in Lombardia viaggia in automobile (80%), mentre su Milano circa la metà arriva con mezzi pubblici, e di questi circa 150.000 in treno.

Quindi anche su Milano chi arriva in treno è una minoranza: altri 150.000 viaggiano in autobus, e 300.000 in auto. Poiché viaggiare in auto costa molto di più, quelli che la scelgono evidentemente ci mettono molto meno tempo che coi mezzi pubblici, calcolando sia la congestione che i tempi di viaggio e di trasbordo, che sono necessariamente più di uno per molte origini e destinazioni. I dati aggregati lombardi confermano che mediamente in auto ci si mette un terzo di meno che coi mezzi pubblici (nonostante la congestione), e deve essere così, sia osservando la dispersione territoriale delle origini e delle destinazioni, sia il fatto che la gente, giustamente, dà molto valore al proprio tempo.

Ma perché la gente “pendola”, cioè non abita vicino al proprio luogo di lavoro (o di studio, almeno in caso di universitari)? Innanzi tutto perché in generale dove stanno i luoghi di lavoro o di studio più pregiati (es. in centro a Milano) le case costano moltissimo. Quindi si pendola innanzitutto per “sfuggire” alla rendita. In secondo luogo, perché, anche stando in aree non di gran pregio, è poi costosissimo cambiar casa, soprattutto se la casa è di proprietà, come è per il 70% dei lombardi. Negli Stati Uniti per esempio cambiare casa quando si cambia lavoro è assolutamente normale, e gli studenti risiedono nei campus o nelle immediate vicinanze.

Ancora, quanto costa pendolare? Moltissimo agli automobilisti, a causa dell’elevata tassazione su auto e benzina (e ci sono anche i pedaggi autostradali). Molto poco ai pendolari sui mezzi pubblici (abbiamo le tariffe più basse d’Europa, e, in relazione al reddito, forse del mondo). Ma la situazione è molto diversa per autobus e treni: mentre i servizi autobus costano relativamente poco ai contribuenti (e anche ai pendolari automobilisti, con le loro tasse sulla benzina…), quelli su treno costano carissimi (circa tre quarti dei costi del ferro sono a carico dello stato, mentre per gli autobus circa la metà).

Inoltre c’è da credere che chi si serve del treno abiti abbastanza vicino alle stazioni, cioè sia localizzato in posti più centrali e meglio serviti di chi abita in luoghi più dispersi. Gode cioè di un vantaggio localizzativo, oltre che di tariffe ipersussidiate.

Ma chi viaggia su mezzi pubblici affollati non è molto sussidiato (i ricavi complessivi sono alti) rispetto a chi viaggia su tratte esterne e poco usate, sia in autobus che in treno: in realtà quasi tutto il sussidio và ai servizi poco usati dei rispettivi modi.

Infine chi lavora a Milano, oltre a essere ben servito dai trasporti pubblici, che sono radiocentrici, ha mediamente redditi più alti (impiegati) di chi abita in aree disperse e lavora in luoghi decentrati (operai, che viaggiano infatti quasi tutti in macchina, e non per libera scelta).

Che fare per i pendolari più numerosi e penalizzati (quelli che sono costretti a muoversi in automobile)? Migliorare le strade, fuori Milano, e migliorare i trasporti pubblici per consentire a una quota maggiore di automobilisti che arrivano a Milano di servirsene, ma ricordando che i numeri prima ricordati possono essere cambiati solo in misura molto limitata (a causa della dispersione delle origini e delle destinazioni, e a causa del fatto che i luoghi di lavoro cambiano nel tempo). Quindi occorre anche migliorare la viabilità di accesso a Milano (serve anche per i pendolari in autobus), e i parcheggi. Prevale invece la folle orientamento di penalizzare comunque i pendolari in macchina, come se si divertissero a inquinare.

Che fare per chi viaggia in treno, e si lamenta moltissimo anche a causa delle possibilità tecniche di aggregazione di cui dispone (comitati pendolari ecc., che i poveri pendolari automobilisti non possono avere…devono pagare, stare in coda, e tacere)?

La querelle con le Nord o FS dura da anni, e non porta a nulla: sono società pubbliche monopolistiche, lo stipendio arriva comunque, non possono fallire, gli utenti non possono scegliere ecc.. L’unica strada per avere servizi migliori a parità di sussidi pubblici, e vale anche per gli autobus, è introdurre gradatamente meccanismi reali di competizione, per cui gli operatori corrano davvero il rischio di fallire, se non migliorano i risultati. Finora la regione e il comune di Milano non hanno fatto nessuna azione seria in questa direzione, anzi, hanno favorito il monopolio, che è sempre politicamente più gradito (le imprese monopolistiche, anche pubbliche, possono manifestare gratitudine, e gli addetti possono votare, mentre in un contesto competitivo gli utenti e i contribuenti, che sono avvantaggiati, chissà….).

Infine, quali tariffe, visto che le risorse pubbliche sono scarse, e la decisione è tutta pubblica? Date le premesse, il problema si concentra sui servizi poco usati, che per definizione hanno effetti sociali su pochi utenti, sottraggono poche macchine alla congestione, e incoraggiano la dispersione territoriale (“vado a stare in tanta malora, così pago poco la casa e un trasporto semigratuito mi viene fornito comunque…”). Qui ognuno dovrebbe pagare i costi che genera alla collettività, e gli abbonamenti dovrebbero essere sussidiati a chi davvero dimostra di avere redditi molto bassi.

Ma il livello delle tariffe è una decisione squisitamente politica: si può decidere anche di fornire il trasporto gratuito a tutti, se questa è una priorità rispetto ad altre. Quello che non sembra difendibile è non cercare di ridurre i costi di produzione dei servizi con prudenti ma credibili meccanismi di competizione.

Marco Ponti



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