22 marzo 2011

A PROPOSITO DI MOSTRE MILANESI


Leggo sempre con molto piacere i contributi ad Arcipelagomilano di Antonio Piva, e molto spesso vi trovo quel sentimento di “amore tradito” che quasi quotidianamente prova davanti alla sua città. Vorrei aggiungere una breve nota ai tuoi commenti sulle mostre in corso a Palazzo Reale (che effettivamente compongono uno scenario complessivo di notevole livello).Mi sono occupato degli aspetti museologici e “didattici” della mostra dei cosiddetti impressionisti dalla Fondazione Clark, che parte dalla parziale ristrutturazione della Fondazione, affidata a Tadao Ando.

E’ una mostra itinerante, con una scelta di opere compiuta dai curatori del museo, ma poi di volta in volta affidata ad architetti e storici dell’arte delle diverse sedi in cui la mostra si svolge. Milano è la prima tappa del tour. Insieme all’architetto Cesare Mari (con il quale, curiosamente, mi ero occupato quindici anni fa di un’altra mostra di impressionisti a Palazzo Reale!) abbiamo cercato di eliminare ogni strettoia o ostacolo nelle sale di pianterreno, per ottenere il massimo di capienza di visitatori sulla base dei parametri di sicurezza; questo spiega anche gli ampi spazi tra i quadri.

Grazie a questa soluzione, nonostante il prevedibile successo di una mostra “facile” e forse, come fai comprendere, sostanzialmente “spensierata”, non si stanno formando le lunghe code che abbiamo visto nei mesi scorsi per Dalì. Cesare Mari ha cercato di dare un’aria … “domestica” alle grandi e un po’ tetre sale con modanature, paraste e colori che vorrebbero richiamare un interno alto-borghese, mentre la sala “immersiva” con i filmati e le immagini di Parigi è pensata come una pausa di relax (con tanto di panchine “stile boulevard”).

Quanto al livello delle sale, è stata una scelta precisa aver organizzato la mostra in dieci sezioni tematiche, ho cercato di tenere conto degli spazi specifici a disposizione e delle aspettative del pubblico italiano, mettendo a confronto le opere dei veri e propri “impressionisti” con predecessori, avversari, e anche artisti – come i due bellissimi Toulouse Lautrec che hai notato- della generazione successiva. E’ significativo notare che sono presenti opere di ventisei diversi pittori (ho fra l’altro dovuto scrivere tutte le biografie…): il titolo di “impressionisti”, chiaramente legato a ragioni di marketing, suona forse un po’ riduttivo.

E’ stato gratificante ricevere i complimenti, che mi sono apparsi non di maniera, da parte dello staff della Fondazione. Sfortuna ha voluto che in una “pausa caffè” durante l’allestimento il televisore nel bar abbia mandato in onda il baciamano del Presidente del Consiglio a Gheddafi, il che non ha certo contribuito a far scendere la tensione dei giorni che precedono il vernissage… Infine, una nota quantitativa: la Fondazione Clark, che si trova in una cittadina di 8000 abitanti all’estremità collinare del Massachussets, ha ogni anno in media 250.000 visitatori: vale a dire, il 25% in più della Pinacoteca di Brera, e il 500% (il quintuplo) del Museo Poldi Pezzoli.

Stefano Zuffi



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