22 marzo 2011

PER UNA CITTÀ DI SPAZI APERTI


Milano possiede luoghi di particolare fascino, ma non li sa valorizzare. Fra i molti che verranno elencati nei prossimi numeri di Arcipelago, merita di essere incluso il sagrato della Basilica romanica dei Santi Apostoli e Nazaro Maggiore, in piazza San Nazaro in Brolo. Il sagrato è dominato dal volume rinascimentale della Cappella Trivulzio che precede la Basilica e forma con essa un unico complesso monumentale. Un luogo, quindi, tutt’altro che insignificante, e tuttavia inutilizzabile dagli abitanti della zona, sia come area di sosta e di ricreazione, sia come tappa per una tranquilla e serena visita ai due monumenti. Il traffico, il rumore, l’inquinamento provenienti dal corso di Porta Romana, che corre in tangenza al sagrato e passa a poche decine di metri dall’ingresso alla Cappella Trivulzio, rende lo spazio davanti alla Chiesa invivibile.

Alcuni anni fa è stata realizzata una parziale sistemazione del sagrato, su progetto di Umberto Riva, sensibile e colto architetto milanese; ma le opere portate a termine allora sono oggi gravemente deteriorate e divenute inservibili: la sottile ringhiera in trafilato metallico, sostenuta da eleganti pilastrini di ghisa, si presenta divelta, distorta, arrugginita. Ciò è dovuto in parte alla maleducazione della gente; ma in parte anche alla esigua consistenza dell’intervento, pensato come una aggiunta decorativa, un sottile esercizio di arredo, e non come una radicale trasformazione del sagrato. Questo, per poter diventare un’area vivibile, un luogo accogliente e riparato, deve subire una completa trasformazione e ribaltare il suo attuale orientamento: non più aprirsi verso il corso, ma rivolgersi, sul lato opposto, verso la Cappella; non più presentarsi come uno slargo tangente alla grande strada di traffico, ma come un ricetto chiuso, ben separato da quella strada, e dominato dalla facciata della Cappella.

Anche in questo sagrato, come era stato già proposto per quello di Santa Maria delle Grazie, descritto in un articolo precedente, occorre innalzare una barriera tra via di traffico intenso e area destinata alla sosta. La barriera non dovrebbe superare l’altezza di un normale muro di cinta, ed essere realizzata in mattoni, oppure in assito di legno, oppure con filari di fitti cespugli; purché, come già da qualche tempo si vede lungo le autostrade a scorrimento veloce, essa riesca a ostacolare il rumore, impedire l’inquinamento visivo, frenare i gas tossici. La barriera si sovrapporrebbe a un tratto dell’antica “Via Vorticata Romana”, e ricostituirebbe l’ormai perduta configurazione ambientale, risalente al secolo II dopo Cristo. Sarebbe quindi un recupero, concreto e puntuale, di una precedente situazione urbanistica, realizzata durante l’impero di Roma: un omaggio alla Storia.

Nel sagrato della Basilica esistono già alcuni sparuti e gracili alberelli, troppo scarsi e troppo esili per costituire un’isola verde. Il verde tuttavia potrebbe diventare protagonista di un sistema paesaggistico – monumentale, di cui il sagrato rappresenterebbe il fulcro, se soltanto si raggiungesse una convenzione con i proprietari delle case allineate lungo il lato orientale del sagrato stesso; e se si permettesse al pubblico diurno di transitare sotto l’androne di quelle case, e sboccare nella zona semi abbandonata retrostante, dove alti alberi, negletti e inosservati, fanno ombra ad un disordinato parcheggio. La zona verde al di là delle case, che oggi si presenta trasandata e dimenticata, domani, collegata pedonalmente con il sagrato, potrebbe diventare una sua espansione e formare un complesso accogliente di non piccole dimensioni. Su questa area verde si affaccia a nord l’abside della Basilica e a est il fianco gotico-rinascimentale dell’Ospedale Maggiore, oggi divenuto Università: straordinaria compresenza di natura e architettura.

Agli abitanti della zona si offrirebbe un invidiabile complesso paesaggistico-monumentale, attraversato da percorsi pedonali, adatto alla sosta di anziani e al gioco di bambini, e posto in località centralissima. Le operazioni da eseguire sarebbero di piccola entità, non difficoltose, di modesto costo. Basterebbe avere la fantasia urbanistica e la volontà amministrativa di progettare ambienti gradevoli all’interno della nostra città.

I due casi, considerati negli articoli del 2 Marzo e di oggi, servono a dimostrare che si possono realizzare, accanto agli interventi a grande scala (linee di ferrovia metropolitana, arterie a scorrimento veloce, sottopassi e svincoli stradali), anche interventi a piccola scala (creazione di giardini, valorizzazione di monumenti, tracciati di percorsi pedonali). Mentre i primi interventi spettano, come è ovvio, alla Amministrazione Comunale, i secondi dovrebbero essere di competenza dei Consigli di Zona, che, essendo costituiti dagli abitanti del luogo, sono meglio preparati a conoscere e migliorare le condizioni del quartiere. Occorre tuttavia che i Consigli di Zona siano più incisivi e più autorevoli di quanto non lo siano oggi, e siano dotati di poteri decisionali che per ora non hanno.

Nelle grandi città della Germania le decisioni dell’Amministrazione Comunale, attinenti la piccola scala, ossia la micro-scala di quartiere, vengono prese in esame, discusse e attuate, consultando i residenti locali. In quelle città il Comune promuove, sollecita, assiste, e fornisce informazioni; ma poi lascia che siano i Comitati di quartiere ad approvare le necessarie opere di abbellimento urbanistico e di miglioramento sociale. Ecco una bella lezione per i nostri candidati alle prossime elezioni amministrative: un bel esempio di democrazia partecipata.

Gli interventi alla micro scala di quartiere sono paragonabili all’azione, diligente e meticolosa, che svolge una attenta padrona di casa, desiderosa di riassettare e riordinare la propria abitazione, e fiera di mostrarla pulita e decorosa. A una riunione svoltasi anni fa presso l’Ordine degli Ingegneri di Milano, Luca Beltrami Gadola aveva usato la medesima similitudine; e aveva esortato ad orientare le proprie azioni verso obiettivi piccoli ma concreti, circoscritti ma realistici, raggiungibili e completabili in tempi ragionevoli. In quella stessa occasione egli aveva dissuaso da concepire un’urbanistica attuata esclusivamente mediante operazioni ciclopiche, di grande impegno, di alto costo, di lunga durata. Al contrario, soltanto lavorando capillarmente e continuativamente in ogni porzione, anche piccola, del territorio urbano, si tornerà a dare un volto dignitoso alla nostra città.

Jacopo Gardella



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