22 marzo 2011

LA MAFIA E I DOVERI DI UN SINDACO


La lotta contro la criminalità organizzata si svolge a più livelli e su piani differenti: il ruolo della magistratura e delle forze di polizia è preminente, non solo perché è di loro competenza l’azione di tipo repressivo, ma anche perché è proprio attraverso le attività d’indagine e i resoconti delle inchieste che si acquisiscono conoscenze sulle strategie operative e il modus operandi delle mafie. Non dobbiamo però dimenticare che la grande criminalità opera comunque sul territorio: è vero che si è internazionalizzata ed è presente in pratica in tutti continenti con suoi uomini e attraverso le cosiddette triangolazioni, ma non rinuncia mai alla presenza locale: vuoi perché è nell’azione sul territorio che avviene l’addestramento del personale, vuoi perché comunque il territorio assicura flussi di denaro in entrata e in uscita, vuoi perché, in ogni caso, la criminalità è fatta di persone fisiche e queste persone debbono muoversi a piacimento per operare in maniera efficace. L’iniziativa delle amministrazioni locali non è dunque per niente secondaria. Ci sono alcune misure preliminari che un Comune dovrebbe essere in grado di predisporre.

1) Innanzi tutto occorre riconoscere, cioè ammettere, la presenza della criminalità organizzata sul proprio territorio, non negarla. Sembra poco, ma è già molto perché in certi casi vi è la tendenza ad accettare la pace sociale che la criminalità può assicurare, ad esempio scoraggiando la piccola delinquenza che, attirando l’attenzione delle forze dell’ordine sui piccoli reati, mette in difficoltà i traffici di maggior rilievo.

2) Un’amministrazione attenta è in grado, anche attraverso i necessari supporti, di rilevare gli specifici ambiti di presenza della criminalità nel bacino territoriale. Anche questo lavoro è di grande interesse, perché non vi è attività criminale che non s’incroci con gli ambiti d’intervento dell’istituzione locale. Si deve dunque sapere se in quel comune la grande criminalità, che può essere attiva anche attraverso luogotenenti, intermediatori o personaggi di scarso rango, operi prevalentemente nella prostituzione, nel gioco d’azzardo, nell’usura, nella gestione degli esercizi commerciali, negli appalti, nella compravendita degli immobili, nei servizi, ecc.

3) Soprattutto nelle aree arretrate, dove il potenziale bacino di cultura delle mafie è più ricco, occorre che il comune sia etichettato come comune antimafioso. Occorre cioè che sia riconosciuto all’esterno come un’istituzione attenta, attiva e capace di riconoscere i prodromi di una presenza criminale. Questo significa non accettare la semplificazione e la faciloneria che spesso possono essere veicoli di una pericolosa compromissione con uomini della malavita organizzata. Com’è emerso in una recente indagine nel sud Milano la ‘dnrangheta è capace di orientare il voto amministrativo, condizionando pesantemente l’operato dell’istituzione locale.

4) Bisogna sapere, e nel caso trattare la cosa in maniera adeguata, se le mafie hanno uomini loro, magari non affiliati, semplici antenne come si dice, nell’ambito del comune, nel consiglio oppure negli uffici. Nel caso si deciderà di volta in volta e secondo opportunità, come trattare la cosa, in accordo con personale fidato delle forze di polizia, ma intanto l’amministrazione sarà in grado di decodificare inefficienze, ostruzionismi o eventuali proposte che provengono da quei settori.

Come si vede, tra queste poche regole elementari, ho tralasciato l’attività educativa che un comune può svolgere, in proprio o a supporto della scuola. Non che questa non sia necessaria, ovviamente, ma darei per acquisito, e in un certo senso lo è nel nostro paese, soprattutto grazie all’impegno di molti educatori e magistrati, il significato civile e sociale che possono svolgere nella comunità l’educazione e la formazione. La lotta alla grande criminalità è però oggi materia di una tale urgenza che non vorrei lo prendessimo troppo alla larga. Anche a questo proposito, però, c’è una cosa di cui i comuni dovrebbero occuparsi un po’ di più: oltre un decennio fa era stata costituita una commissione parlamentare sull’edilizia scolastica, considerata come uno dei principali fattori di rischio dell’influenza mafiosa. L’attenzione dei parlamentari era rivolta soprattutto alla Campania e alla Sicilia e riguardava due aspetti: la permeabilità alla mentalità criminale di complessi educativi fatiscenti e la presenza diretta delle mafie nel settore educativo attraverso le affittanze e i comodati d’immobili, capannoni, vecchi garage, ecc., alla scuola. Ecco, invece di pensare a realizzazioni fantasiose o buone per tagliare nastri, qualche sindaco farebbe bene a dedicare uno sforzo straordinario all’edilizia scolastica.

In Lombardia, da qualche anno a questa parte, ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che la presenza criminale è qualcosa di più strutturale e consistente di un’emergenza temporanea. Solo le istituzioni, alcuni amministratori e il prefetto, sembrano non essersene accorti. Ci sono comunque due settori, nella concreta situazione in cui ci troviamo, che devono essere presidiati con efficacia e con metodologie che andranno approfondite: le opere edilizie e la finanziarizzazione delle aree. Per opere edilizie intendiamo non solo gli appalti nei lavori pubblici, ma anche forme di controllo nei cantieri privati: accordi per la sicurezza nei cantieri, per la lotta al caporalato, contro l’imposizione di manodopera, ecc., sono senz’altro temi su cui i comuni possono dire la loro e svolgere funzioni propulsive e di coordinamento (vi sono già esperienze in proposito che possono essere riprodotte). Per quanto riguarda l’urbanistica, è indubbio che l’inclinazione tutta finanziaria che ha preso questo settore favorisca l’afflusso di capitali criminali, com’è emerso nelle recenti inchieste della magistratura milanese. Il comune non deve essere neutrale.

Occorre una disciplina urbanistica rigorosa e occorre sapere a chi sia riconducibile la proprietà dei terreni. Non è per niente facile, ma occorre fare uno sforzo: a Milano, ad esempio, la deregulation e la borsa territoriale, favoriranno inevitabilmente la concentrazione monopolistica delle aree, agevolando chi possiede tanta liquidità. Tra l’altro, a mio avviso, è probabile che in città non ci sia da subito la grande colata che molti prevedono: vi saranno molti lavori preliminari, sbancamenti e movimentazioni di terra in modo da certificare l’avvio dei lavori e favorire la compravendita dei terreni. È possibile un ulteriore spostamento verso i segmenti meno qualificati e a rischio della catena edilizia: movimentazione terra, cave e smaltimento rifiuti sono settori in buona parte direttamente controllati dalla ‘ndrangheta.

Qualche settimana si è proposto la creazione di un’authority con compiti di sorveglianza sulle trasformazioni territoriali. Tutto si può far male e anche le proposte migliori possono essere vanificate ma riconoscere la delicatezza di questa materia, spersonalizzando un po’ il ruolo dei sindaci, può essere una strada percorribile. Inutile, però, aspettare che arrivino i nostri e cercare protezioni negli enti sovraordinati: con Formigoni che affronta le bonifiche nel modo che abbiamo visto, che nomina Pietrogino Pezzano alla presidenza di un’Asl e un prefetto che di fronte alla ‘ndrangheta fa spallucce, non c’è proprio da stare allegri.

Mario De Gaspari*

*Già sindaco di Pioltello




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