22 marzo 2011

LA MAFIA SIAMO NOI?


Libertà e sicurezza sono presupposti essenziali, costitutivi, di una società basata sull’economia di mercato. Libertà di selezionare le opportunità dove e meglio si ritiene, e sicurezza nella conduzione delle proprie attività economiche, secondo un calcolo razionale di costi benefici che non può tollerare distorsioni, pena la caduta complessiva dell’efficienza del sistema. Libertà e sicurezza presuppongono la cultura dei diritti e gli apparati per difenderli. I sistemi criminali, negando i diritti, colpiscono al cuore libertà e sicurezza, compromettendo la tenuta complessiva del sistema sociale che li ospita: per questo l’allarme ‘Ndrangheta è divenuto così attuale e drammatico anche a Milano.

In realtà, il buon cittadino milanese coltiva ancora scarsa coscienza della minaccia, attardato com’è su di una pigra visione “tradizionale” del fenomeno criminale. Per molti, la criminalità, quando non è avventura tragica di soggetti borderline, o di microcriminalità immigrata, è come la pecora nera della famiglia sociale, quel “parente” che si occupa professionalmente della soddisfazione del vizio: prostituzione, gioco d’azzardo, stupefacenti. La criminalità in questo senso sembra funzionale al mantenimento in equilibrio della nevrosi della famiglia sociale complessiva, cui offre, quasi in uno sdoppiamento della personalità, gli spazi e le occasioni per “evadere” dalla norma, salvo poi rientrarvi velocemente non appena soddisfatto il bisogno. Sono affari, affari sporchi ma convenienti, e qualcuno dovrà pur farli … In ogni caso, ed è questa la regola aurea, ognuno sta al suo posto, ognuno nella sua cerchia sociale, in uno schema apparentemente privo di reali rischi per la società maggiore: a noi gli affari puliti e a voi quelli sporchi. E in effetti, così le cose sono andate per decenni, sia a Milano che in generale al nord, simili in questo alle evolute società occidentali.

Ma Milano è Italia, e come diceva Sciascia la “linea delle palme” risale inesorabilmente la penisola, trascinando con sé quanto di bene e di male allieta o alligna nella società meridionale. Risalgono verso nord i familismi e le visioni “tribali” della società, dove non esistono diritti ma semmai favori, concessi al prezzo della sottomissione complice. Soprattutto risalgono verso la Milano della finanza e del business gli immensi capitali che l’accumulazione criminale accresce attraverso i suoi molteplici circuiti, favorendo la contaminazione tra le due cerchie che, pur funzionali l’una all’altra, non avrebbero mai dovuto mai mischiarsi.

La concreta disponibilità finanziaria di decine di miliardi di euro nelle mani di alcuni, pochi, soggetti, e l’impossibilità tecnica di spenderli “romanticamente” in bagordi, si è ormai tradotta nella forma tecnica della accumulazione originaria del capitale: l’enorme plusvalore criminale chiede, esattamente come tutti gli altri capitali, di essere adeguatamente “valorizzato”. La famiglia ‘ndranghetista perde a questo punto il connotato di società tribale locale, per divenire capitalista internazionale che “chiede” accesso al mercato, a suo modo però, senza mai tradire, né potrebbe farlo, la sua ragione sociale. Così l’offensiva è condotta con metodi e con esiti tipici del mondo criminale, dove ovviamente non valgono regole e diritti. Certo, la strategia criminale non prevede necessariamente bombe o assassini eccellenti: est modus in rebus, e ogni cosa a suo tempo.

E d’altra parte, per ogni segmento economico mirato vi sono modus operandi diversi: al piccolo commercio di quartiere saranno destinate le maniere spicce degli estorsori, mentre nel “delicato” e impalpabile mondo della finanza ambrosiana le operazioni saranno affidate a quel personale di mestiere che ben si presterà a mettere faccia e buone maniere al servizio di padroni esigenti e di difficile maneggio certo, ma tanto generosi. In queste nuove connessioni, si registra come uno sperdimento morale e culturale diffuso, laddove si mischiano e alimentano reciprocamente managerialità criminali e crimini manageriali, intreccio perverso a cui è funzionale la massima latina sempreverde: “pecunia non olet.

Tant’è, oggi la metastasi del business criminale si manifesta ovunque a Milano, è pericolo attuale e concreto, e costringe ognuno a una revisione veloce delle percezioni, delle valutazioni e delle iniziative. Non vi è più spazio per i comportamenti omertosi del Prefetto Lombardi che, passando il suo tempo ad auto annullarsi le multe per occupazione dei posti per disabili, non trova il modo per vedere, sentire e parlare del fenomeno che ha sotto gli occhi. Per questo commis privo di qualsiasi valore che non sia quello apprezzabile dalla “controparte”, valga come epitaffio il suo stesso motto “A Milano la ‘Ndrangheta non esiste”. Per lui, la parola d’ordine può essere una sola: DIMISSIONI.

Ma il livello di attenzione e la tensione delle forze deve coinvolgere l’intera società civile, economica e culturale, perché sembra ormai in gioco la sua stessa ordinata esistenza. Questo vale per i piccoli commercianti e le grandi imprese, ma anche per i lavoratori che pure sembrerebbero lontani dall’essere toccati. Certo la figura imprenditoriale, piccola o grande che sia, è aggredita in prima battuta dal contropotere criminale, ma ai lavoratori tocca interrogarsi sulle conseguenze di un degrado del tessuto economico: o qualcuno si illude che il sistema dei diritti e delle tutele possa rimanere intatto in un changement imprenditoriale di questo genere? Chi ha voglia, dia un’occhiata alla condizione dei lavoratori dell’edilizia, o dell’ortomercato, o di certi distretti della subfornitura, e capirà presto la stretta relazione esistente tra tutela del lavoro e “qualità sociale” dell’imprenditore.

Ma non solo di questo si tratta. La diffusione del potere criminale rende poco o nulla attrattivo per gli investitori il territorio in cui prende piede, dato che non vi sono più presenti libertà e sicurezza. EXPO 2015, con il suo corredo di opportunità e grandi lavori edilizi, potrebbe offrire alla linea delle palme l’occasione per localizzarsi definitivamente nelle pur umide brughiere padane. E’ tollerabile questo rischio? E soprattutto quali iniziative, quali strategie e quali misure concrete, intendono prendere e sostenere le Istituzioni, i corpi intermedi della società civile, le aggregazioni sociali, culturali e del volontariato, e soprattutto quelle imprenditoriali e dei lavoratori?

E’ tempo di scuotersi dal sortilegio leghista, da quella oscena rappresentazione della sicurezza civile interamente fondata sulla “minaccia” dell’immigrato. E’ tempo, perché ve ne è la stretta necessità, di rigenerare politicamente una visione e uno spazio culturale della sicurezza democratica che riaffermi nella lotta alla criminalità organizzata la stretta relazione tra la forza dei diritti e i beni comuni della libertà e della sicurezza.

Giuseppe Ucciero



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