22 marzo 2011

IL SINDACO MORATTI LA MAFIA E LE TRE TAVOLETTE


Ci risiamo col gioco delle tre tavolette del sindaco Letizia Moratti. Dopo il convegno sulla criminalità mafiosa nel Nord all’università Bocconi, organizzato da Libera di Don Ciotti con Mario Draghi, ecco le tre tavolette: la mafia non c’è (gennaio2010), l’abbiamo contrastata (febbraio 2011), la contrasteremo (oggi). Ma qual è il Moratti pensiero? Non c’è, o meglio è una variabile dipendente. La casa di suo figlio: non ne so nulla, ci sono stata, è maggiorenne e fa quello che vuole. Ancora le tre tavolette. L’ultima tavoletta è la migliore perché viene dalle labbra di chi si fa vanto di occuparsi dei giovani e della loro educazione; come dice un vecchio proverbio milanese: la carità comincia in casa.

Ma torniamo alla criminalità organizzata e ai doveri di un sindaco: perché tanta prudenza, tante cautele nell’occuparsi di mafia? La ragione vera è forse solo una: il rischio di imbattersi direttamente e senza vie di uscita in episodi che vedano coinvolti in maniera grave sodali di partito o personaggi collocati da lei, o dai partiti che la sostengono, in posizioni di responsabilità amministrativa. Forse chi ci governa non ha capito che cosa è successo con la legge del 1993, quella che portò al potere Marco Formentini, primo sindaco leghista eletto direttamente. Questa legge, fatta per dare stabilità all’esecutivo e liberare il sindaco dalla soggezione dei partiti, non ha risolto il problema della sudditanza dagli stessi perché non ha tenuto conto che gli stessi, essendo gli arbitri dell’elezione del sindaco – che non ha mai una forza elettorale autonoma salvo che si presenti con una forte lista civica – esercitano il loro potere persino più di prima ma dall’esterno, anche solo con la minaccia di non sostenere una ricandidatura.

Dall’altra parte invece il sindaco, responsabile formalmente della scelta degli uomini della sua squadra, non può sottrarsi al dovere di controllare la loro capacità, la loro lealtà e soprattutto la loro onestà e, nell’ambito della scelta dei dirigenti comunali di più alto livello, siamo nell’identica situazione. Ma il discorso deve allargarsi. L’infiltrazione della malavita è un problema con fortissimi connotati locali da un lato e dall’altro è evidente che non basta un meccanismo di repressione ma è necessaria una politica di prevenzione.

Il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, poche settimane fa ha detto una grande verità: i reati di mafia e camorra spesso vengono taciuti dalle “vittime”, non solo per timore delle ritorsioni ma perché dal sistema mafioso e nel sistema mafioso traggono convenienze. Dunque “follow the money” ma non solo nell’accezione di seguire i movimenti di denaro per risalire ai colpevoli ma soprattutto scoprire dove e perché si generi questo denaro, quali siano le condizioni tecnico giuridiche che rendano possibile questa generazione di ricchezza a cominciare dalla parcellizzazione del lavoro.

Quello di queste brevi note non è il luogo per approfondire il discorso ma per indicare almeno che la strategia di contrasto alla mafia e alla camorra e alla ‘ndrangheta richiede un riesame profondo del modo di organizzare la produzione di beni e servizi e della legislazione che regola i rapporti tra tutti gli operatori del sistema in tutti i suoi aspetti, da quello delle tutele previdenziali alla catena delle responsabilità, alla formulazione di bilanci e, da ultimo ma non ultimo, dai meccanismi di controllo. Un lavoro arduo che dovrebbe vedere un sindaco in primo piano se non per competenza almeno per volontà politica. A Milano siamo messi male, per competenza non siamo neanche capaci di asfaltare decentemente i marciapiedi e per volontà politica siamo al gattopardismo puro.

L.B.G.



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