15 marzo 2011

MILANO, INDUSTRIALIZZAZIONE E L’UNITA’ NAZIONALE


 Il 9 ottobre 1861 il quotidiano “La Perseveranza” portavoce del liberalismo moderato, pubblica una specie di manifesto unitario che assurge subito a forte notorietà: “Viva l’Italia. E spariscano tutte le sub nazionalità come oggi sparisce la più illustre e la più antica di esse, davanti alla patria risorgente si umilino tutte le tradizioni locali e si rassegnino ad eguagliarsi tutte le primizie, quelle del tempo come quelle della fortuna… La Lombardia è finita, il Piemonte è finito, la Provincia è finita: in tutto il nuovo stato non v’è che Italia e libertà. A questo patto è dolce morire e glorioso rinascere”. (1)

Questo manifesto un po’ esasperato (oggi diremmo un po’ talebano) riflette il sentimento dominante nella classe dirigente di Milano al momento dell’Unità d’Italia. Certo Carlo Cattaneo e i non molti che la pensano come lui, non solo non sono d’accordo ma soffrono intensamente per questa affrettata unione centralista nel nome dei Savoia. Ma Cattaneo è lontano, il sogno federalista è stato rimesso nel cassetto dopo il viaggio di Cattaneo a Napoli nel vano tentativo di convincere Garibaldi a farsene alfiere; lo stesso sogno di una unità basata su un sistema amministrativo decentrato e rispettoso delle antiche tradizioni locali, che pure aveva il sostegno di Cavour, è stato, sotto l’incalzare degli eventi, cancellato.

Non mancano preoccupazioni e nostalgie, anche in personaggi moderati come Cesare Correnti (futuro ministro, uomo legato ai Savoia, uomo della sinistra ragionevole, futuro segretario di S.M. per il gran magistero Mauriziano), che il 15 marzo (due giorni prima che il Parlamento riunito a Torino sancisse la nascita del Regno d’Italia) scrive alla contessa Clarina Maffei: “Vi raccomando Milano: ve lo ripeto. Voi siete uno dei buoni geni del luogo. Non ditelo a nessuno, ma ricordatevene sempre: quest’Italia nuova Dio la benedica!, fin qui è un corpo che non ha ancora trovato un’anima. E intanto l’anima della nostra vecchia Milano se ne va. Forse mi farà cieco il dolore, forse, avendo finito io mi par che molte cose, le quali mi furono sante e dilette, minacciano di finire”.

Ma le nostalgie restano un fatto minoritario e individuale. Ora è tempo di festa. Ora bisogna tenere fede coerentemente alla linea che Milano ha tracciato: rottura con l’antico regime austriaco, rapporto preferenziale con il Piemonte e il Risorgimento liberale e sabaudo, accettazione della supremazia politica di Torino, rivendicazione di un ruolo guida nell’innovazione industriale, scientifica, tecnologica ed economica: “Milano, che unica fra le città della penisola avrebbe potuto mantenere il suo legame con l’Oltralpe e trasformarlo in diretto rapporto con l’Europa, sceglie l’Unità nazionale e le libere istituzioni, ritrovando qui non solo un ruolo specifico, ma una ragione d’essere, una suprema motivazione di progresso” (Giorgio Rumi).

Mentre tanti rivendicano ruoli speciali e cercano di sgomitare per avere dal nuovo regime vantaggi e riconoscimenti, Milano proprio nella questione della capitale, dà un grande esempio, rinunciando ad avanzare la sua candidatura. E Milano, capitale del pensiero federale italiano, rinuncia anche a reclamare una forte autonomia, che pure le sue eccellenti istituzioni pubbliche, frutto della fusione tra scuola amministrativa austriaca e genio politico e civile del grande illuminismo lombardo, giustificherebbero, sacrificando pretese di autonomia alla, in quel momento, preminente esigenza unitaria. Il Reale Istituto Lombardo di scienza e lettere, uno dei soggetti importanti della cultura milanese sancisce che, per l’Italia ancora tanto giovane: “è necessità più l’accentrare che il decentrare, ossia la maggiore unità e la minore varietà possibile”.

Nasce allora e per questo approccio lungimirante, responsabile e generoso il mito di Milano, capitale morale. La classe dirigente milanese, la “consorteria” liberale, riunite nel Circolo Unione (nome assai significativo, e al quale lo stesso Conte Camillo Benso di Cavour presenterà domanda di ammissione il 20 febbraio 1860) e nel quotidiano “La Perseveranza”, ha le idee chiarissime: l’Unità innanzi tutto, lotta alle sub nazionalità senza riserve; capitale a Roma ma leadership economica e scientifica a Milano; e ciò senza sacrificare l’orgoglio per la qualità della propria tradizione amministrativa (la Perseveranza riterrà, ad esempio, inaccettabile “insinuare il sospetto che gli amministratori di Milano siano come quelli di Napoli”); ciò che conta non è la provenienza sociale o territoriale ma solo il merito. Il motto della “consorteria” è: “i migliori nomi e i migliori intelletti”. Sono tanti i giovani di semplici origini e di provenienza la più varia che vengono cooptati dalla “consorteria” a partire da quel giovanissimo Giuseppe Colombo che diverrà uno dei più lucidi e influenti personaggi milanesi e nazionali in campi tecnico scientifico ed economici, nei successivi cinquant’anni. E Quintino Sella, piemontese, viene eletto a Milano, perché è “milanese” nello spirito e nella professionalità.

La dinamica fortemente espansiva dell’economia milanese tra il 1860 e il 1914 (ma è convincente la suddivisione in due periodi: 1860 – 1898; 1898 – 1904) è basata, principalmente, sulla forte accelerazione del processo di industrializzazione. Questo processo riceve certamente grande impulso dall’Unità italiana e dal clima fattivo e imprenditivo che ne consegue, ma sarebbe azzardato tracciare una semplice relazione di causa ed effetto tra Unione italiana e processo di industrializzazione milanese. Questo ha radici più profonde, complesse e antiche.

Se proprio dovessi indicare una data d’inizio del processo della prima industrializzazione milanese indicherei il 7 agosto 1838 quando, nel salone della Borsa in Via Mercanti, si tenne un’assemblea di commercianti e industriali milanesi con all’ordine del giorno il progetto di creare una organizzazione capace di “promuove l’incominciato progresso delle arti e de’ mestieri a Milano”. A convocare l’Assemblea era la Camera di Commercio Arti e Manifatture, il più importante organismo economico milanese, mentre il principale animatore dell’incontro è Heinrich Mylius, vicepresidente della Camera e Imperiale Regio Consigliere.

Mylius (personaggio al quale i milanesi devono grande ed eterna riconoscenza) era nato a Francoforte da famiglia di commercianti austriaci nel 1769. Ventenne si stabilì a Milano per aprire una filiale della ditta di famiglia e divenne qui imprenditore e banchiere di successo. Uomo di cultura, con rapporti personali con Goethe, Manzoni, Cattaneo, D’Azeglio e molti altri esponenti del mondo culturale e politico al di qua e al là delle Alpi, Mylius è l’emblema della classe imprenditoriale milanese, realizzatrice e illuminata, che seppe sempre unire il bene della propria impresa e il bene della città e della comunità, realizzando così, nelle opere, il pensiero di fondo del grande illuminista lombardo.

L’assemblea del 7 agosto 1838, dette il via alla costituzione della Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri (ancora oggi viva e attiva), con 361 sottoscrizioni iniziali, che completò il processo costitutivo il 22 marzo 1841 e il cui primo presidente, dal 1841 al 1854, fu Mylius. La Società d’Incoraggiamento divenne rapidamente il vero centro propulsore del progresso tecnico – scientifico e del processo di industrializzazione (2). Qui operano personaggi come Carlo Cattaneo (relatore e guida dal 1845 al 1848), Antonio Allievi, economista; Francesco Brioschi matematico e scienziato; Giuseppe Colombo, tecnologo; e tanti altri imprenditori, studiosi, tecnici.

Qui nacque il primo Centro italiano di chimica tecnologica, grazie ad Antonio de Kramer, giovane scienziato, figlio di imprenditori tedeschi di successo insediati a Milano verso la fine del ‘700. Qui trova le sue radici e anche le sue risorse iniziali il Regio Istituto Tecnico Superiore (che i milanesi chiamarono subito Politecnico) che vide la luce nel 1863, sotto la guida di Brioschi e che, all’avvio, poté contare sulle collezioni tecnologiche, attrezzature didattiche e docenti della Società d’Incoraggiamento.

Molte cose erano dunque già successe prima del 17 marzo 1861. Ma soprattutto era stata fatta una grande semina di buon pensiero, basato su pochi pilastri: era necessario puntare su una formazione pratica ma inquadrata in un elevato pensiero tecnico – scientifico; era necessario cimentarsi continuamente nell’innovazione e nelle nuove tecnologie; era necessario che le conoscenze tecnico – scientifiche non restassero privilegio di elite ma si diffondessero tra il popolo per diventare vero fattore di sviluppo economico; era necessario puntare su i “migliori nomi e i migliori intelletti” e sui giovani che meglio di altri sapevano impadronirsi delle nuove tecnologie.

Erano questi i pilastri del grande pensiero, incarnato nella Società d’Incoraggiamento, che la Milano preunitaria lasciava in legato alla Milano postunitaria e che furono la base del grande processo di industrializzazione e sviluppo economico del periodo 1861-1914. Erano pilastri non sempre accettati pacificamente. Il dibattito: preparazione scientifica o preparazione puramente pratica, si presentò ripetutamente, e in particolare quando si costituì il Regio Istituto Tecnico Superiore (1863) quando nacque la Bocconi (1903). Ma le radici culturali solide e, soprattutto attraverso Cattaneo, collegate al grande illuminismo lombardo, portarono sempre, fortunatamente, alla prevalenza delle prime tesi. Fu ripetutamente messa in discussione anche la strategia di sviluppo industriale in una Milano che era prevalentemente basata su un’economia commerciale e agricola.

Quando, ad esempio, nel 1844 la Camera di Commercio di Milano propose di allargare l’operatività della Società d’Incoraggiamento a tutta la Lombardia solo Brescia, Como, Cremona e Pavia risposero positivamente mentre Mantova, Sannio, Chiavenna, Lodi presero posizioni negative verso una Società volta alla promozione “di nuove ed inusitate industrie” non rispondenti ai propri interessi agricoli. La Camera di Commercio di Bergamo, invece, condivise l’interesse per lo sviluppo delle attività manifatturiere, ma disse di volersi organizzare in proprio, creando una propria società simile a quella milanese. Ma anche questa opposizione ruralista e particolarista fu superata, e a ciò l’Unione nazionale diede certamente una spinta importante.

Non è un caso, e ne dimostra l’intelligenza politica, che entrato a Milano dopo l’armistizio di Villafranca del 1859, Vittorio Emanuele II, tra una serie di decreti simbolici ne approvò uno che donava il palazzo del Genio militare alla Società d’Incoraggiamento, rendendo cioè omaggio alla società civile lombarda. Numerosi esponenti della Società ebbero incarichi di governo a partire da Francesco Brioschi che fu nominato segretario generale del Ministero della Pubblica Istruzione. Dei 13 membri della nuova giunta comunale, di nomina regia, ben otto, a incominciare dal sindaco Antonio Beretta, erano membri della Società di Incoraggiamento. E anche il Ministro della Pubblica Istruzione, Gabrio Casati, era passato attraverso la Società d’Incoraggiamento nel 1848 – 49 e la sua esperienza di allora fu presente nella famosa legge Casati del 13 novembre 1859, la Magna Charta della scuola italiana.

Dopo l’unità, la Società d’Incoraggiamento non solo riaffermò la sua natura di “istituzione privata produttrice di pubblico servizio” ma restò e divenne sempre più crocevia dei pionieri della cultura tecnica scientifica: i Colombo, i Pirelli, i Saldini, i De Angeli, i Ponti, i Fazier, i Gavazzi, i Candiani, i Salmoiraghi, e più tardi gli Ettore Conti, i Borletti, i De Micheli, i Cicogna e altri centinaia di imprenditori meno noti che qui ricevettero e diedero, in uno scambio virtuoso di energie e di pensiero.

Il primo periodo che segue l’armistizio di Villafranca e l’annessione al Piemonte del 1859 e che segue l’unificazione (sino ad almeno il 1866) non fu positivo per l’economia lombarda e milanese. Il distacco dal Veneto e dalle altre province austriache, mentre le nuove integrazioni con Piemonte, Liguria, Emilia non erano ancora partite, fu gravoso. A queste si aggiunsero alcune turbative nel commercio internazionale e soprattutto le difficoltà nell’approvvigionamento di cotone portate dalla guerra di secessione americana.

Ma sotto la crisi della tradizionale industria tessile e dei commerci, l’unificazione promosse lo sviluppo di nuove industrie che al momento dell’unificazione erano modestissime, come la meccanica. Questo impulso fu soprattutto dovuto allo sviluppo delle costruzioni ferroviarie. E questo lavoro proficuo, frutto anche dei pilastri di pensiero sopra ricordati, emerse in pieno con la Esposizione Industriale del 1881. Questa grande Esposizione (più di un milione di visitatori, grandi contributi cittadini per la realizzazione, raccolti in pochi giorni, di un milione di lire a fronte di sole 200.000 lire stanziate dal governo) fu una grande sorpresa per l’Europa e per Milano stessa. Sorprendente fu il numero degli espositori italiani, la qualità e ampiezza della loro produzione, lo spettacolare ricupero compiuto, in soli venti anni, rispetto ai più titolati produttori inglesi, francesi e tedeschi. Se le cose sono così cambiate – scrisse Colombo – è perché ” il costruttore puramente pratico si è ormai accorto che senza il sussidio dell’elemento scientifico era preclusa la via a qualunque miglioramento, ora che dalla motrice a vapore alla più umile macchina, tutto si fa e si calcola alla regola che la teoria, sussidiata dall’esperienza, va sempre più chiaramente additando”.

Milano era ormai lanciata e l’Unità ne fu poderoso propellente, proprio perché solide erano le radici di pensiero e di moralità imprenditoriale che l’illuminismo lombardo e i suoi successori avevano saldamente piantato, rovesciando alla radice quella società di stampo chiaramente mafioso e dominata dalla violenza e dalla sopraffazione, che Manzoni ci ha così ben descritto nei Promessi Sposi.

Dopo le Ferrovie venne l’industria elettrica a stimolare lo sviluppo e Milano fu la prima città europea, e la seconda al mondo dopo New York (con Edison stesso) a installare una centrale termoelettrica. E continuò e si rafforzò l’alleanza tra imprenditoria e cultura tecnologica e scientifica: “Fu allora che, apertosi il dibattito sul futuro di Milano, si affermò definitivamente l’idea di una metropoli pluridimensionale: centro importante di attività industriale, nodo nevralgico degli scambi commerciali e finanziari, sede di servizi avanzati, ma anche polo primario di “potenza intellettuale” e di cultura tecnologica e scientifica in particolare. Molto eloquente al riguardo è ciò che l’industriale chimico – farmaceutico Carlo Erba dichiarava il 27 novembre 1886, donando al Politecnico il capitale che avrebbe dovuto consentire la creazione di un’istituzione elettrotecnica. Dopo aver sottolineato il “bisogno grande” di Milano di “aggiungere vita a quei pochi centri, che ci sono di alta cultura scientifica”, egli esprimeva l’augurio che “l’iniziativa privata” creatrice di tante industrie si dirigesse pure verso gli istituti di istruzione per fare di Milano “un grande centro scientifico”.

Un proposito dello stesso tenore aveva già esternato il cotoniere Eugenio Cantoni, quando aveva contribuito finanziariamente all’attuazione, a partire dal 1875 – 1876, di un corso di Economia Industriale nello stesso Politecnico e in termini del tutto analoghi si esprimerà ancora Ferdinando Bocconi, nel dar vita, tra la fine dell’Ottocento e il principio del nuovo secolo, all’Università Commerciale dedicata al figlio Luigi, dichiarando di voler provvedere “alle moderne esigenze di un’alta cultura per le classi commerciali e industriali” con la creazione di “un Istituto di carattere scientifico” (3)

Il processo di industrializzazione di Milano è stato soprattutto un’epopea di pensiero, prima ancora che un fenomeno economico. Un pensiero sempre aperto, sempre innovatore, sempre capace di attrarre e valorizzare i migliori da ogni provenienza (dai tedeschi Mylius e de Kramer, allo svizzero Hoepli, al napoletano Torelli Viollier, fondatore del Corriere della Sera, all’emiliano Mengoni, progettista della Galleria, al lodigiano Bocconi). Per questo la classe dirigente milanese non ha mai dubitato, neanche nei duri anni 1861-1866, che la via maestra fosse quella dell’Unione d’Italia, vissuta con l’orgoglio della propria identità e delle proprie tradizioni, e aperta all’Europa e al mondo. Per questo, proprio ricordando questa epopea, non possiamo cancellare un senso di raccapriccio verso il provincialismo, la grettezza, e l’ottusità della Lega e di tutti gli altri nostri contemporanei, che stanno lavorando per restaurare a Milano una società chiusa, mafiosa, parrocchiale e pre-illuminista.

 

Marco Vitale

 

 

(1) Citato in Giorgio Rumi “Ordine e Libertà, gli eredi di Cavour” nel volume Milano nell’Unità nazionale (1860-1898, Cariplo, Milano 1991).

(2) Fortunatamente possiamo contare su un testo fondamentale per la conoscenza e comprensione di questo periodo decisivo della fondazione della Milano moderna in: Carlo G. Lacaita, L’intelligenza produttiva, Imprenditori, tecnici e operai nella Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri di Milano (1838-1988) ed. Electa, 1990.

(3) Carlo G. Lacaita. Un progetto per la modernizzazione tecnica e scientifica, in Milano nell’Unità Nazionale, op. cit.

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti