15 marzo 2011

PALAZZO REALE. TRE MOSTRE E TRE ALLESTIMENTI


Sono lo spazio e il tempo che collegano le tre mostre, Arcimboldo, Savinio e gli Impres-sionisti: non mi sembra il pensiero che ciascuna mostra sottintenda. Le tre mostre sono state allestite in parte al piano terreno di Palazzo Reale e quella che pare a prima vista più importante, al primo piano. Inaugurate tutte tra febbraio e marzo rappresentano un indubbio sforzo organizzativo ed economico che va apprezzato, comunque non sotto-valutato. Ma considerando lo sforzo nel suo insieme sorgono alcune riflessioni di carattere generale e naturalmente poi molto particolari percorrendo con attenzione ciascuna esposizione. Innanzitutto ci si domanda perché creare sovrastrutture sempre diverse all’interno degli spazi del palazzo in parte già attrezzati per le esposizioni.

Negli spazi destinati all’Arcimboldo non si capisce perché ci sia messo tanto impegno a cancellare le belle sale con le decorazioni e gli affreschi nei soffitti. Le preziosità degli artisti lombardi del cinquecento tra ori, pietre lavorate sottilissime per esaltare colore e la ricchezza della natura, armature e la fantasia di Arcimboldo, avrebbero ricevuto il riflesso di un’altra epoca, quella napoleonica, in cui non mancava certo l’abilità degli artisti artigiani. Le belle sale sono spesso tagliate da enormi pannelli che in vario modo frazionano il percorso del pubblico. Alcune propongono pannelli con motivi decorativi quasi caricaturali per incorniciare qualche opera che bisogno certo non ha di fronzoli per essere apprezzata per quello che è. Le luci molte volte, collocate in basso, vanno a creare ombre e riflessi di cui faremo volentieri a meno perchè vi sono tecniche che, ben applicate, rendono giustizia ai colori e ai tratti fini del disegno che spesso si fa sottile, quasi illeggibile, se, per l’appunto, la luce non è calibrata nel modo corretto.

Una nota di merito va alla scultura in fibra di vetro di Philip Haas esposta nella Piazzetta Reale. La sua dimensione, che supera i quattro metri, bene interpreta “L’inverno” di Arcimboldo ed è richiamo evidente, decoroso che impreziosisce lo spazio esterno in altre occasioni deturpato da improbabili allestimenti sciatti e casuali. Una bella mostra, non c’è che dire, ma con poco in più avrebbe potuto restituire anche la perfezione del contemporaneo dove non mancano bravi artigiani e tecnici altrettanto esperti.

Al piano terreno la mostra dedicata a Savinio ripropone la frantumazione degli spazi espositivi. In questo caso non ci sono però affreschi né decorazioni ma un logico percorso, a volte misterioso, che ci accompagna. Sparisce Palazzo Reale ma in compenso le strutture espositive, che prediligono i tagli obliqui, inquadrano sequenze prospettiche interessanti che fanno da rimando ai tagli prospettici di alcune opere di Savinio. Anzi alcune finestre aperte sui pannelli rossi dilatano lo spazio, molte volte angusto, verso altre opere che vedremo in sequenze successive. Si nota uno studio attento dell’opera da esporre e un evidente rapporto con lo spazio espositivo. Ci si domanda come potrà visitare questa mostra un gruppo di una ventina di persone mentre la visita di poche persone è confortevole e accattivante? Una maggiore superficie disponibile non avrebbe dato a Savinio più opportunità per essere colto nella sua poliedrica genialità?

La terza mostra, dedicata a una piccola pare della collezione Clark, ci immerge nello spazio forse meno felice del piano terreno del palazzo. Luce artificiale fioca, finestre oscurate in questa e in altre occasioni, rendono lo spazio poco accogliente. Mentre le opere descrivono ambienti sereni, sguardi accattivanti, vite appagate, assenza di dolore e di tragedia, lo spazio, questa volta molto dilatato, se vogliamo ci allontana dallo spirito di chi ha raccolto in giro per il mondo queste opere. Non tutte le sale hanno lo stesso peso qualitativo ma è evidente lo sforzo di riportarci a Parigi nel frastuono di una cultura borghese predominante anche attraverso foto e brevi filmati. Si esce dalle sale rassicurati e desiderosi di portarsi via un ricordo, il ritratto di Toulouse Lautrec, meno rassicurante perché carico di pensieri.

Questa mostra parla di collezionismo e ci rimanda al nostro del secolo scorso, che molto ha fatto per Milano. Insieme alle altre due fa riflettere sulle possibili vie per ridurre gli allestimenti, come alzare la qualità degli eventi, come coordinarli per fare emergere i pensieri predominanti che sottintendono, come rendere esplicito e chiaro un percorso culturale di una città che forse offre in modo disordinato molto materiale in ordine sparso con obiettivi che stentiamo a decifrare.

Antonio Piva



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