15 marzo 2011

LA SCUOLA, ETERNO TERRENO DI SCONTRO


Con le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sulla pervicacia della scuola pubblica italiana nel voler “inculcare” valori contrari a quelli che le famiglie vorrebbero, invece, “inculcare” ai propri figli, c’è stata diffusa levata di scudi in difesa della scuola pubblica statale sia di quanti vi lavorano da anni, la valorizzano e la difendono, tra tagli, restrizioni alla propria autonomia – ribadita nei discorsi politici o ministeriali, purtroppo contraddetta nei fatti – e riforme che non tenendo conto di quanto di buono sperimentato i questi anni, sia con autorevoli prese di posizione.

“Ci sta a cuore la formazione, a tutti i livelli. Sono tantissimi insegnanti e operatori che sappiamo si dedicano al proprio lavoro con grande generosità, impegno e competenza, sia nella scuola statale che non statale” ha detto il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della CEI, “La scuola svolge una funzione primaria: educa le future classi dirigenti del Paese e a questa va riconosciuto un ruolo indispensabile. C’è la scuola pubblica, c’è quella privata e vi è piena libertà di scelta”, ha detto il presidente del Senato Renato Schifani. Ma aldilà di queste e altre prese di posizione, credo che i più, tra gli addetti ai lavori, abbiano avuto la sensazione (certezza?) che sulla scuola, come su altre questioni vitali per il nostro Paese, chi governa, spinto da eccessiva polemica politica, si limita molto spesso a lanciare proclami, piuttosto che affrontare seriamente (e con vero spirito bipartisan, aggiungerei) i problemi sul tappeto: ci si aspetterebbe attenzione, non anatemi.

Qualche mese fa (dicembre 2010), sono stati pubblicati i risultati della ricerca PISA-OCSE del 2009 (Programme for international student Assessment, indagine con cadenza triennale), che ha visto nostri studenti collezionare migliori risultati rispetto alle precedenti rilevazioni, tanto da consentire al nostro paese di risalire di qualche posizione nella classifica internazionale (nella lettura, ad esempio, dal 33° posto nel 2006 ci si è attestati al 29° nel 2009). Il progetto PISA dell’OCSE misura, valuta e confronta il grado in cui gli studenti di 15 anni di età, avvicinandosi al compimento del processo di formazione obbligatoria, posseggono e dimostrano conoscenze e capacità fondamentali in vista della loro piena partecipazione alla società. “In tutti i cicli, la lettura e le nozioni matematiche e scientifiche, non sono contemplate soltanto in termini di padronanza dei programmi scolastici, ma di conoscenze e competenze necessarie nella vita adulta” dichiara l’OCSE. E la ricerca 2009, concentrandosi in particolare sulle capacità di lettura, e in misura minore sulla matematica e la scienza, “valuta” la capacità degli studenti di estrapolare da ciò che sanno e di applicare le conoscenze acquisite in situazioni nuove.

La pubblicazione di questi dati ha, da una parte indotto il Ministro Gelmini a rilasciare dichiarazioni lusinghiere – peraltro subito rintuzzate da dichiarazioni polemiche che le hanno ricordato la politica di tagli che il Governo sta perseguendo nella scuola negli ultimi anni – dall’altra ha suggerito agli addetti ai lavori quella prudenza necessaria nella lettura completa dei dati prima di giungere ad affrettate conclusioni. Tuttavia, aldilà delle polemiche, l’indubbio merito da ascrivere a queste rilevazioni è l’impatto enorme che ha sul dibattito attuale della politica scolastica, ahimè per il momento solo per chi ci lavora o studia il mondo della scuola.

Alcuni articoli (Corriere della Sera e Repubblica), forse riportati anche in modo affrettato, hanno acceso furiose polemiche tra la scuola statale e quella paritaria, poiché dai dati emerge che nella prima si hanno risultati nettamente migliori che nella seconda (nella capacità di lettura dal 23° posto si scivolerebbe al 30° per colpa delle non statali e così anche negli altri due ambiti). Dai dati dell’indagine, emerge che la scuola della Regione Lombardia si colloca al primo posto tra quelle italiane in tutte le aree oggetto di indagine, al di sopra della media OCSE e tra i paesi di prima fascia (sopra i 500 punti). Non si conoscono al momento dati particolareggiati tra la scuola statale lombarda e quella paritaria, ma è presumibile che gli esiti siano vicino al dato nazionale. Vi è da credere che i dati tra la scuola statale e non statale della nostra regione, sia pure trattati con cautela e letti nella loro complessità, indichino comunque una tendenza a favore dalla scuola statale. Tralasciando un discorso politico o morale, si può dire che il divario tra scuola statale e paritaria non è un’invenzione ma poggia su dati di fatto con tanto di prove, anche se da analizzare meglio nella loro complessità.

Con la Legge  n. 62 del 10 Marzo 2000 si è definita la parità tra scuola pubblica organizzata direttamente dallo Stato e quella privata che ottiene lo status di paritaria. Non si vuole entrare qui nel merito di questa questione, ci si limita a osservare che a più di dieci anni di distanza da questa legge, la scuola statale continua ad accogliere nelle sue aule – a volte sovraffollate – nei suoi laboratori – spesso bisognosi di sostanziosi adeguamenti tecnologici – una cifra attorno al 90% del totale degli studenti da formare e preparare alla vita. Nella nostra regione gli ultimi dati sulle iscrizioni dicono che su circa 93.000 studenti, 72.200 hanno scelto la scuola statale, 5.300 quella paritaria, 12.300 i centri di formazione professionale e 3.300 frequenteranno i percorsi regionali di istruzione e formazione professionale attivati all’interno delle scuole statali. Questi dati dovrebbero indurre a massicci investimenti nella scuola statale per permetterle di essere sempre più in linea con le richieste della nostra società (oltre che della società globalizzata).

Per quanto possa essere difendibile una libertà di scelta tra scuola statale o paritaria, occorrerebbe innanzitutto garantire il diritto all’istruzione per tutti, potenziando e non deprimendo, il ricco patrimonio di esperienze e didattica accumulato da anni di ricerca a carico quasi esclusivamente della volontà delle scuole di essere al passo con i tempi e ad assolvere al compito che la nostra Costituzione le assegna. Chi lavora da sempre nella scuola statale sa qual è stata la fatica sostenuta e quella che quotidianamente si deve affrontare. E’ possibile chiedere una revisione della politica a livello nazionale e locale per il miglioramento dell’istruzione e formazione o questa richiesta è considerata “eversiva”?

Pietro De Luca

 

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti