15 marzo 2011

MILANO, URBANISTICA, AFFARI E UNITÀ D’ITALIA


Nel 1861 a Torino si univa l’Italia. Nel 1861 a Milano si bandiva un concorso per la sistemazione di Piazza del Duomo. Nel 2011 in tutta la nazione si festeggiano i 150 anni dell’Unità di Italia. Nel 2011 a Milano si approva definitivamente il PGT. Ci sono alcune vicende del passato che meritano di essere raccontate perché ci permettono di capire meglio il nostro presente. Dicevamo della Piazza del Duomo. Nel 1858 viene realizzata Piazza della Scala. In Comune pensano che sarebbe opportuno collegarla a Piazza del Duomo. L’idea geniale è che se la strada viene dedicata al re, forse quest’ultimo oltre a concedere il permesso a effettuare gli espropri di pubblica utilità per realizzarla, magari fornisce anche qualche quattrino. E che il problema economico non sia indifferente lo testimonia anche il lancio di una lotteria civica per raccogliere fondi. Un po’ come se Tremonti intitolasse il ponte sullo stretto a Berlusconi e si utilizzasse un gratta e vinci per finanziare l’opera.

Puntualmente nel 1859 la Giunta Belgiojoso e il Consiglio Comunale decidono di dedicare un’opera al re Vittorio Emanuele II. La strada intanto diventa prima porticata e poi galleria vetrata pedonale sul modello di quelle francesi. In attesa dei fondi viene bandito un concorso, per prendere tempo e raccogliere le idee. Dopo varie fasi e vicissitudini vince il progetto di Giuseppe Mengoni, giovane architetto e ingegnere. Il suo progetto prevede una galleria coperta a croce, che unisce piazza della Scala con una ridimensionata e riproporzionata piazza del Duomo, l’affaccio della galleria segnato da un arco di trionfo, un altro arco sul lato opposto, “applicato” in testa alla manica ovest del Palazzo Reale e un edificio di fronte al Duomo a chiudere il quarto lato. Una piazza quadrata e adeguata rispetto alla facciata del Duomo.

Nel 1864 iniziano i lavori. L’appalto viene vinto dalla Compagnia Immobiliare Italiana, che fallisce subito. Nel 1865 Mengoni riesce a convincere certi suoi amici inglesi a investire nel progetto. Nasce a Londra la City of Milan Improvements Company Ltd (CMI) e il re può venire a marzo dello stesso anno a posare la prima pietra. Anche nel caso della Torre delle Arti si è posata la prima pietra. Al posto del re c’era l’Assessore Masseroli e la finanziaria era australiana, non inglese. Poi è sopraggiunta la crisi dei subprime e la torre non si è più fatta. Per fortuna gli amici inglesi di Mengoni sono più seri. O forse no.

Infatti la società finanziaria si avventura in pericolose speculazioni alla borsa di Londra e inizia a non pagare le imprese che stanno lavorando alla galleria perché i guadagni di quelle speculazioni se li spartiscono i soci della CMI. Cambia la Giunta e il nuovo sindaco non è favorevole a Mengoni, che viene anche accusato di essere in combutta con gli inglesi. Tra mille problemi comunque si arriva al settembre del 1867, quando la nuova galleria viene inaugurata alla presenza del re. Anche se non è finita. Manca l’arco di trionfo sulla piazza del Duomo. D’altra parte anche la nuova sede della Regione Lombardia è stata inaugurata nel gennaio del 2010, ma i lavori di finitura vanno avanti ancora oggi.

In un guizzo tipicamente italico, non solo milanese, Mengoni viene licenziato nel marzo del 1869 per essere riassunto come direttore artistico nell’ottobre dello stesso anno. Va detto che un mese prima il comune aveva rescisso il contratto con la CMI, ormai quasi fallita, ed era diventato proprietario dell’opera. Arriviamo al 1878, i lavori per l’arco di trionfo in testa alla galleria volgono al termine. Durante un sopralluogo su un ponteggio Mengoni cade e muore. Incidente o suicidio? Non lo sapremo mai. Quello che è certo è che da quel momento la piazza rimane inalterata sino ai giorni nostri. Malgrado tanti concorsi e altrettanti progetti (persino per un campanile!), tutto rimane sulla carta. Non si farà mai il palazzo di sfondo, né il secondo arco di trionfo. Al loro posto rispettivamente il monumento a Vittorio Emanuele II e l’Arengario. Grandi progetti (e pure tanti, circa 250 per la sola piazza nel corso dei secoli), che hanno partorito il classico topolino.

Non basta? Spostiamoci di pochi passi verso Foro Bonaparte. La vicenda risale a prima dell’Unità d’Italia, ai primi anni dell’ottocento, ma si può inserire nello stesso filone. C’è un’area da dismettere (la ghirlanda fortificata attorno al Castello Sforzesco), c’è un progetto grandioso (quello di Antolini, che prevede un centro direzionale ante litteram di forma circolare), c’è un problema di fondi e c’è l’effettiva realizzazione: dei giardini di fronte al casello e la spianata della piazza d’armi sul retro. Di progetti per la sistemazione della piazza d’armi ve ne saranno molti nei successivi settant’anni. È con l’annessione dei Corpi Santi al Comune di Milano nel 1873 che la situazione si evolve. Nel 1874 le aree tra la Ferrovia Nord e lo scalo Sempione vengono acquisite da alcune società finanziarie e allo stesso tempo vi è una convenzione tra il Comune e il Demanio per la cessione del castello e della piazza d’armi (in cambio il Comune offre un’area oltre lo scalo Sempione, quella della futura Fiera). In quegli anni varie società finanziarie agiscono sullo sfondo allo scopo di lottizzare l’area del Castello e della piazza d’Armi, con trasferimento della piazza d’Armi a est, prima dello scalo Sempione. Non so perché ma mi vengono in mente le vicende di Citylife e della fiera di Rho…

Nel 1880 a ottobre emergono le proposte ufficiali di due finanziarie con le spalle coperte da alcune importanti banche: edificare tutta la piazza d’Armi (del Demanio) e demolire il Castello per creare un asse diretto al centro. A novembre l’ing. Cesare Beruto dell’Ufficio Tecnico compie una perizia sul valore delle aree in vista delle permute. Negli anni successivi vengono presentati vari progetti di finanziarie su aree limitrofe a corso Sempione. Nel maggio del 1881 c’è la presentazione ufficiale della potente Società Fondiaria Milanese, una società d’affari facente capo alla Union Générale, proprietaria di 78 ettari tra la FNM e lo scalo Sempione, a ovest di piazza d’Armi, che preme per poterli edificare, meglio se in aggiunta con le aree di piazza d’Armi e del Foro (diventerebbero 120 ettari sugli 807 della Milano di allora). Nel 1884 si giunge a una bozza di convenzione tra Comune e Fondiaria che prevede una lottizzazione per 20.000 abitanti.

Tra grandi discussioni e battaglie politiche si arriverà nel 1884 alla travagliata redazione del primo piano regolatore di Milano: il piano Beruto, relatore G.B. Pirelli. Sì, Beruto è quello della perizia di cui sopra, che cercherà nelle varie stesure di coniugare il disegno della città con le pressioni che provengono dalle Finanziarie. Pirelli è quello dell’omonima fabbrica fondata nel 1872. Singolare il fatto che Pirelli partecipi attivamente alla stesura del primo Piano Regolatore di Milano e che sia sempre la Pirelli negli anni ottanta del novecento a scrivere la variante che riguarda i destini delle proprie aree della Bicocca, attraverso un concorso di progettazione.
Di esempi e paralleli ne potremmo fare ancora molti. Potremmo parlare della vicenda del centro direzionale, del progetto del passante, spingerci fino alla stagione dei grandi progetti urbani, iniziata proprio con l’area della Bicocca.

Se dovessi individuare delle costanti nelle vicende urbanistiche milanesi di questi 150 anni (ma non solo) direi che è tipico di Milano pensare in grande per realizzare “in piccolo”. Progetti grandiosi e altisonanti, ma spesso assai velleitari, sono stati redatti nei secoli su quasi tutto il territorio cittadino. Di questi solo una minima parte è stata realizzata e sempre in modo diverso da quanto previsto e immaginato. A volte per mancanza di fondi, a volte per mancanza di coraggio, il “prodotto finito” risulta ridimensionato se non addirittura incompiuto rispetto a quanto approvato. E tutto questo continua a valere ai giorni nostri, perché le vicende di Santa Giulia (Risanamento o ridimensionamento? E Foster?) o di Citylife (non sapere se e quanto sarà storto lo storto mi crea problemi di insonnia) non sono diverse da quelle di 150 anni fa.

Pietro Cafiero

Un ringraziamento ad Alberto Mioni per la documentazione e gli spunti di riflessione.



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