8 marzo 2011

PISAPIA: CASA BATMAN E GLI OBBLIGHI DELLA NOMINATION


Il meccanismo delle primarie per alcuni è come l’Olio Santo di Nostro Signore: chi ne viene unto, è intoccabile. A dispetto di tutto, e anche dei Santi. Ma le Primarie non sono né l’Olio Santo, e nemmeno l’ordalia barbarica. Sono piuttosto un meccanismo di selezione del gruppo dirigente, alquanto confuso nella sua attuale versione italiana. Un meccanismo che, per essere sufficientemente utile ed efficace nel suo scopo essenziale, ossia consentire alla maggioranza di individuare il candidato più adeguato, deve necessa-riamente presupporre una condizione di completezza informativa. In condizione di scarsità informativa, bontà della decisione e legittimità del processo di valutazione si riducono, in misura pari alla gravità della mancanza d’informazione determinatasi.

Da tutto questo consegue rigorosamente che la completezza dell’informazione sul candidato delle primarie dovrebbe essere specificamente perseguita, nei tre modi in cui questo può avvenire nelle relazioni tra gli umani. In primo luogo, sul candidato incombono in proprio la responsabilità e l’obbligo della trasparenza sulla propria identità, le intenzioni e le referenze: la Candidatura Obbliga. Il Buon Candidato dovrebbe raccontare percorso personale e proposte, senza nascondere nulla di utile a formare l’orientamento dell’elettore delle primarie. E ancor prima dovrebbe presentarsi davanti al suo tribunale interiore e, senza sconti e senza indulgere a malizie d’avvocato, farsi una bella istruttoria che lo consegni sereno al giudizio dei concittadini. Ma le umane debolezze sono sempre presenti e risulta piuttosto arduo ipotizzare che un candidato informi i suoi potenziali elettori dei punti deboli della sua vita e della sua proposta, che li dichiari tutti e nella loro effettiva entità.

Di qui la necessità strutturale del contraddittorio pubblico con l’avversario, il quale, avendone l’interesse, sottopone il candidato avverso a una rigorosa verifica dei suoi punti deboli. In effetti, nelle primarie americane, che sono l’originale bisecolare dell’istituzione, questa è la regola, esattamente per la sua specifica funzionalità a garantire, sotto la spinta dell’interesse parziale del singolo, il perseguimento dell’obiettivo generale della massima trasparenza: il confronto tra candidati per ottenere la nomination è di un’asprezza perfino spaventosa. Ovviamente, l’esame, pelo e contropelo, è reciproco e porta davanti all’elettore la più ampia gamma di informazioni utili al giudizio. I media giocano necessariamente un ruolo essenziale nel procedimento, facendo a loro volta le pulci senza sconti alle tare dei candidati in gioco. Il fatto che possano essere orientati essi stessi da pregiudizi o endorsement politico culturali non toglie nulla all’utilità della loro funzione.

Di questo ruvido ed essenziale impianto dialettico, nulla si è visto nelle nostre primarie milanesi. E’ passato il concetto di un’elegante e reciproca “correttezza” formale basata anch’essa sulla reciprocità: io non dico nulla dei tuoi scheletri e tu non dici nulla dei miei (ma prego prima lei, non sia mai, ma quanto è democratico il suo bucato, sì, ma il suo è davvero candido…). Peccato che, così facendo, si siano determinati due effetti negativi importanti e limitativi potenzialmente del procedimento delle primarie. Il primo consiste nella carenza di informazioni chiave fornita all’elettorato. Il secondo consiste nella diffusione di un “dire senza dire”, o di un “far dire ad altri”, di un diffondersi, senza possibilità di reale contraddittorio, di quei venticelli che possono arrivare alle soglie della calunnia o quantomeno del disinvolto pettegolezzo, ahimè presente anche sotto le vesti più eticamente austere.

In questo caso, il candidato “colpito” non ha la possibilità di reagire, se non contravvenendo al patto non scritto dell’elegante bon ton elettorale, salvo alla fine piegarsi egli stesso alle regole del “detto per cauta allusione”. In entrambi i casi, chi alla fine viene danneggiato nei suoi essenziali interessi è in primis l’elettore democratico, a cui viene negato l’accesso alle informazioni chiave in base a cui valutare le alternative e ponderare adeguatamente le scelte. Cosa tanto più rilevante, nella misura in cui il meccanismo delle primarie porta strutturalmente con sé, piaccia o non piaccia, la radicale personalizzazione del confronto politico: se devo scegliere non solo tra due proposte politiche ma prima di tutto tra due persone, sarò interessato certamente ai contenuti delle proposte ma almeno altrettanto alla storia e alla qualità delle persone.

La questione del Pio Albergo Trivulzio ha squadernato di fronte a chiunque abbia voglia di vedere la nuova rilevanza della trasparenza personale nel confronto elettorale: le rivelazioni sull’appartamento di Cinzia Sasso, le goffe e contraddittorie pezze affannosamente apposte post factum dal candidato Pisapia, hanno determinato il forte indebolimento della capacità d’iniziativa del centrosinistra sul tema della casa a Milano. Oggi a Giuliano Pisapia qualsiasi avversario può tappare la bocca e questo svantaggio è derivato da una sua vicenda personale, sottovalutata e omessa al pubblico e forse anche a se stesso, concediamolo pure, ma la sostanza non cambia.

La debolezza dei toni usati dal nostro candidato Sindaco nella denuncia di Casa Batman, il suo silenzio assordante di fronte al tono complice con cui gli antagonisti (Casero, Lupi, Cicchitto…) gli ricordano l’attesa di una “dolce” reciprocità di trattamento, segnano il contorno di una minoritas politica interamente addebitabile
alle sue omissioni prima e agli errori politici poi, nel caso PAT. Eppure bastava poco, bastava fare come la Moratti: alzare le spallucce e dire “mio figlio è grande e risponde in proprio”? Invece no, invece invocazioni di macchine del fango e un opaco “teniamo famiglia” che avremmo preferito lasciare tutto al campo avverso. Per Pisapia è stata una leggerezza, questione di punti di vista, certo non è detto che l’elettorato gli avrebbe dato la leadership se fosse stato a conoscenza della questione PAT a tempo debito. Ovviamente non è da escludersi rischio analogo per gli altri candidati.

Comunque sia, la frittata è fatta: l’incidente di percorso ormai limita la credibilità del centrosinistra nella polemica elettorale su di una questione di fondo, e la limita proprio ed esattamente in ragione della personalizzazione del confronto. In altre epoche, quando competevano prima di tutto proposte e organizzazioni politiche collettive, una questione di tal genere non avrebbe avuto questa incidenza. Per la cultura politica di sinistra è un salto: hic Rhodus, hic salta.

Tornando alle premesse, dobbiamo allora tornare a chiederci senza riserve mentali se sia stato funzionale all’interesse generale del centrosinistra il cortese e omissivo silenzio che, nella tornata delle primarie, i candidati si sono reciprocamente riservati o se non sarebbe stato meglio che ciascuno facesse per bene le pulci all’altro, in un pubblico contraddittorio che è garanzia dei candidati e soprattutto degli elettori. Certo, si capisce bene, c’è il rischio che il focoso rinfacciarsi di debolezze o torti personali possa incrinare la credibilità generale dello schieramento, ma forse l’enfasi negativa attribuita a questo aspetto è eccessiva e comunque l’alternativa sembra essere quella di scoprire dopo, sotto il fuoco nemico, quello che si poteva sapere prima, nella relativa calma del proprio accampamento.

Rimpiangiamo il tempo in cui i partiti decidevano i candidati, assumendosene la responsabilità? Non necessariamente, ma certo è che, nel processo in cui un’elite dirigente vaglia le alternative, dispone anche, generalmente, delle informazioni riservate utili allo scopo. Con le primarie ambrosiane, si è chiesto al popolo elettore di assumersi le responsabilità della decisione senza metterlo al corrente di un numero notevole di informazioni essenziali per valutare pro e contro delle diverse candidature.

“Anatra zoppa” è il nome con cui negli USA si descrive l’uomo politico che, colpito da un attacco, sopravvive, certo, ma non è più in grado di volare politicamente. Giuliano Pisapia corre il rischio di esserlo, ma soprattutto lo fa correre a tutti noi, sia a chi lo ha votato sia a chi, non votandolo, lo ha comunque accettato come leader del centrosinistra. La sua ammissione di “leggerezza” è inevitabilmente ammissione di responsabilità politica sulla vicenda: con questa ha consumato il suo credito politico e non potrà più sbagliare un’altra mossa, sia nel contrapporsi al fuoco nemico che nel trattenere presso di sé un consenso che, non dimentichiamolo mai, deve essere sempre e costantemente perseguito e guadagnato con costante chiarezza di comportamenti.

Le primarie non sono un’assicurazione sul consenso politico: tocca allora a Giuliano Pisapia meritarsi d’ora in avanti, prima di tutto con il ripristino di una piena fiducia e sintonia con l’intero elettorato delle primarie, i voti che lo farebbero Sindaco, nella speranza che la “leggerezza” d’ora in avanti sia solo sinonimo di una gradevolezza di tratto personale (la forza gentile) e non una ripetitiva caratteristica delle debolezze dell’uomo.

Giuseppe Ucciero

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti