1 marzo 2011

PIO ALBERGO TRIVULZIO E NON SOLO


Chi a vario titolo si occupa della “polis” non si stupisce più del ciclico riesplodere dei casi che riguardano la mala gestione dei patrimoni degli enti pubblici, da cui emergono case di prestigio e assegnazioni pilotate, canoni ridotti, vendite agevolate, alloggi vuoti e consigli di amministrazione che si dimettono. Tuttavia rimane il senso di delusione e scoramento pensando a come si è snaturata la funzione benemerita di questi istituti, senza fini di lucro, e ci si chiede cosa penserebbero oggi coloro che hanno devoluto tanti beni con un preciso scopo da svolgere: così tra la fine dell’800 e i primi del 900 si sviluppava un processo di convivenza civile e sociale per aiutare i poveri incontrando il favore del socialismo umanitario e del cattolicesimo popolare, del benefattore nobiliare e del capitalista filantropo.

Ne sarebbe certo sorpreso Tolomeo Trivulzio il generoso nobile che fondò l’ospizio per anziani poveri in un settecentesco edificio di via della Signora poi spostato nel 900 alla “Baggina”, i terreni così chiamati perché posti sulla strada per Baggio. I Trivulzio, sono personaggi milanesi storici, si ricordano i fratelli Alessandro Teodoro e l’abate don Carlo Trivulzio, fondatori della Biblioteca Trivulziana, e Cristina Trivulzio Belgiojoso, patriota del Risorgimento. Grazie alla storica munificenza di illustri concittadini, siamo in presenza di un vasto patrimonio immobiliare composto non solo di case ma anche di aree prevalentemente agricole, come allora erano nella maggior parte, che una volta vendute e trasformate in edificabili hanno fatto la fortuna dei compratori.

Si tratta del patrimonio degli Ospedali, delle Università, dell’ex Eca, della Provincia, dell’Aler, del Comune. Vale la pena di sottolineare peraltro come nel frattempo sia evaporato tutto quel vasto insieme di case per i lavoratori dipendenti costruito, prima e dopo la seconda guerra mondiale, da tutte le aziende a partecipazione statale, FS, Poste, Enel, Anas, dalle banche e dalle casse mutue e pensionistiche Inps, Inpdap, Enasarco, Enpam, Inpgi, oltre a quelle dei ministeri, Giustizia, Interni, Tesoro, Forze Armate, finanche dalle grandi aziende, Fiat, Pirelli, Falck, che costruivano quartieri di abitazione per i propri dipendenti, tanto che certe zone si chiamavano secondo il lavoro svolto da chi li abitava, villaggio giornalisti, postini, poliziotti, ferrovieri. Tutti questi patrimoni oggi sono stati cartolarizzati, cioè svenduti assieme alle case di vacanza e alle colonie spesso abbandonate.

“La questione casa sarà risolta dal mercato”: questa l’idea di fondo, sbagliata e sprecata soprattutto perché le risorse ricavate dalle vendite non sono state reinvestite per affrontare i nuovi bisogni abitativi. Questo è il sistema dentro cui: si gestiscono male case che non sono tue, si assolve a un mandato politico di smantellamento dell’assistenza, si gode di immunità certa rispetto alle eventuali deviazioni, si risponde a criteri discrezionali non adeguati alle esigenze connaturate alla funzione originale dell’ente. Se il gestore non si pone questi problemi figurarsi se lo scrupolo commuove l’assegnatario che si potrebbe anche permettere di vivere altrove.

Per gestori si intendono i consigli di amministrazione ma la rosa dei coinvolti è più ampia: infatti non è sufficiente rinnovare i consigli se non mutano anche il dirigente e l’addetto che non vede, non sente, non parla ma asseconda e giustifica sotto l’aspetto amministrativo gli operati che poi generano scandali e proteste; se si affonda il bisturi in superficie e non si rimuove il male alla radice anche i nuovi commissari si infetteranno intortati dalla burocrazia sottostante. Chissà perché gli amministratori scelti dalle istituzioni preposte finiscono sempre sotto inchiesta: immaginiamo la risposta.

Non appare comunque una soluzione la proposta di aumentare il rendimento degli affitti per incrementare gli introiti: in primo luogo perché l’utilizzo delle case si consoliderebbe non a favore degli indigenti, e poi in quanto questi cespiti non costituiscono voci così importanti per i bilanci. Occorre tornare alla “mission”, non ha senso tenere stabili da ricchi in cui possono vivere quelli che se lo possono permettere, non è la funzione di questi istituti; così come occorre prendere atto che negli edifici centrali e di prestigio anche se con affitti calmierati non potrebbero essere collocati gli inquilini a basso reddito tenuto conto che le spese sono ingenti e in crescita qui come in generale, avendo ormai le bollette delle spese raggiunto tetti da rate di mutui; la logica che ne deriva si può così riassumere: prima ti ho spremuto per farti compare la casa, ora ti rigratto i risparmi aumentando le spese.

Per la gestione di questi patrimoni appare erroneo ricorrere a fondazioni, enti privati o pubblici, vedasi Aler. Meglio vendere quelle case che non saranno mai abitate dai poveri e con il ricavato costruire case popolari in affitto. Si otterrebbero un numero maggiore di alloggi e quindi più famiglie aiutate. Più case da gestire secondo i criteri del bisogno sociale applicando, se ciascun istituto lo ritiene, le condizioni già previste dalle norme regionali. Si manterrebbe comunque un patrimonio immobiliare a garanzia dei bilanci e si ritornerebbe a svolgere l’originaria funzione sociale.

Emilio Vimercati

  



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