22 febbraio 2011

SACCONI E LO STOMACO DEL NUOVO OPERAIO


Per una volta, bisogna ammettere che il ministro Sacconi ha ragione, anche se solo per paradosso e involontariamente. Il Ministro del Lavoro, insolentitosi sul ridotto peso del costo del lavoro in Fiat, è platealmente sbottato “Sono solo stron…. Il tema lo si può capire solo in relazione a quello strettamente connesso del pieno utilizzo degli impianti”. Sorvoliamo sull’eleganza del dire, che ormai è contrassegno del degrado civile del berlusconismo, la sua cifra stilistica. Passiamo invece al contenuto per svolgerne il duplice significato, quello inteso da Sacconi e quello da lui evocato, senza intenzione.

Per la coscienza di Sacconi, il peso percentuale del costo del lavoro è variabile, in funzione del grado di utilizzo degli impianti. Come dargli torto? Se gli impianti sono poco impiegati, consumano meno energia e materie prime e quindi il costo del lavoro è maggiore, in senso relativo, di quando sono utilizzati più intensamente. Se poi son fermi, il peso percentuale del costo del lavoro sarà pari al 100%, salvi i costi dell’ammortamento degli impianti e degli interessi bancari, che ovviamente “corrono” quale costo del capitale fisso investito, ahimè invece produttivamente “fermo”. In questi casi, la percentuale del costo del lavoro sarà ben superiore al 7%, ma, ed è quel che più importa, FIAT è in perdita, non generando ricavi per ripagare i costi comunque in corso. Sorvoliamo sul fatto che, se gli impianti sono fermi, il personale viene collocato in Cassa e che quindi di nuovo il loro peso percentuale si riduce, e tacciamo infine sul fatto che la Cassa è un bel favore fatto alla FIAT. Fin qui però nulla in contrario, Sacconi ha del tutto ragione, in linea di principio: il peso del costo del lavoro varia in funzione dell’uso degli impianti. Certo non serve un ministro per capirlo, basta la casalinga di Voghera, ma tant’è.

Quel che non è nella coscienza di Sacconi, ma è stato dalla sua battuta involontariamente evocato è altro, ed è di capitale importanza. Quale che sia la % del costo del lavoro in FIAT, la questione evocata da Sacconi è la capacità produttiva del lavoro nel suo rapporto con l’utilizzo degli impianti, che tradotto in parole povere vuol dire: senza il lavoro degli operai, anche il più grande investimento resta improduttivo, fermo, incapace non solo di generare profitti ma addirittura di mantenere intatto il suo valore originario. Miliardi di euro investiti in cose non generano un solo euro in più di valore, se gli impianti non vengono presi in mano dagli operai e da questi utilizzati per fare delle altre cose. Certamente prima di loro, la stessa considerazione deve farsi per i ricercatori e i progettisti, con loro per gli impiegati, e dopo di loro, per il ciclo della vendita e post vendita. A Maurizio Sacconi dobbiamo quindi grande riconoscenza per aver riportato l’attenzione all’essenziale di qualsiasi vicenda di industria capitalistica. Il Valore prodotto dalla FIAT non nasce nel ventre del capitale, ma dalle mani e dalle teste dei lavoratori. Non c’è bisogno di essere marxisti per riconoscerlo, tant’è che questo era pacificamente ammesso dalla Economia Politica Classica: per Smith o Ricardo è il Lavoro che genera il Valore, semmai il problema, per loro, era nella redistribuzione sociale. Da questo oggettivo, sia pur involontario, riconoscimento, dovrebbe derivare a questo punto ben altra considerazione del contributo e della stessa soggettività operaia.

Ma il Ministro Sacconi, che pure si era quasi avvicinato a scoprire questa elementare verità, subito se ne riallontana, declinando a modo suo l’importanza del lavoro nell’impresa manifatturiera: il problema è la craxiana “governabilità” degli impianti. Ora, che un’impresa per funzionare debba essere messa in condizioni di farlo, è tanto ovvio quanto poco compreso nelle sue articolate implicazioni. Per il Sacconi pensiero, questo vuol dire tout court che gli operai debbono semplicemente lavorare, alle condizioni stabilite dai contratti capestro imposti dalla controparte, che per parte sua, mentre pretende “l’esigibilità dei contratti a pena di licenziamento” non si obbliga in alcun modo a sua volta. Il contenuto mistificatorio e, davvero, antioperaio del concetto sacconiano di governabilità degli impianti si coglie se si esaminano le percentuali di astensione al lavoro degli operai FIAT negli ultimi anni: valori risibili, prossimi allo zero. In questi anni, FIAT non ha incontrato ostacoli nel governo degli impianti, ma li ha semplicemente lasciati deperire e degradare.

Ma nonostante questo, ora si parla di altre misure: introduzione di maggior straordinario, intensificazione del notturno, e certi accorgimenti organizzativi per “aumentare la produttività”. Su questi il banco, più che saltare, è stato fatto saltare da Marchionne. Quando si parla di queste “innovazioni”, due sono i concetti chiave: il rapporto di potere e il contenuto concreto della misura proposta. Sul primo Marchionne, ha preteso e ottenuto carta bianca, annichilendo il potere contrattuale del sindacato. Sul secondo vale la pena di spender qualche parola: una delle più qualificanti misure è la mensa a fine turno, ossia la concessione della possibilità per l’operaio di nutrirsi solo dopo 7 ore e 30 minuti dall’inizio del tuo turno, poco prima insomma della sua uscita.

Ciascuno sa per esperienza diretta che, dopo qualche ora, anche standosene sdraiati sul divano, il bisogno di nutrirsi si manifesta sotto forma di crescente languore. Quale sia la condizione di un operaio che lavora senza sosta da alcune ore è quindi facilmente immaginabile, così come lo sarebbe la reazione sociale se una misura di questo tipo fosse estesa ai milioni di lavoratori dei servizi e del pubblico impiego: di fronte all’ira “funesta” di un ministeriale, perfino un Bonanni potrebbe trovare il coraggio di un “Non Possumus”. Non si dispone di una quantificazione del “vantaggio” economico che deriva alla proprietà dalla mensa a fine turno, ma difficilmente sarà superiore a qualche milione. E per raggiungere questo alto risultato gestionale, FIAT distorce la fisiologia di migliaia di lavoratori, comprimendone i bisogni elementari, incurante di effetti che non potranno non verificarsi sul loro benessere, sulla loro sicurezza e su quella degli stessi impianti, quasi si fosse tornati all’epoca d’oro del capitalismo inglese, quando gli operai erano incatenati alle macchine, imboccati da un ragazzino appositamente addetto così che non smettessero neppure un istante di lavorare!! Che tempi!! Che produttività, ragazzi!!

Ed ecco così di fronte a tutti, senza veli, la plateale contraddizione tra le parole e il non detto del ministro Sacconi: i lavoratori sono tanto importanti che senza di loro, senza il loro 2,3,4….7 % del costo totale di gestione d’impresa, nulla si muove e nessun valore si crea o si riproduce, ma al tempo stesso sono tanto poco considerati da non concedere loro più neppure il normale pasto a metà della fatica giornaliera. Il capitale transnazionale non si limita a chiedere il governo incontrastato dell’esistente così com’era strutturato prima del suo avvento, ma impone e presuppone il cambiamento della stessa fisiologia umana. Il Corpo del nuovo Operaio deve cambiare, deve essere flessibile: poco cervello (che non serve) e uno stomaco ipertrofico e iperveloce, capace di ingurgitare e processare, nelle improduttive ore del pre – turno, una quantità di cibo tale da lasciar finalmente lavorare in pace le altre membra per tutte le otto successive. C’è bisogno d’altro, Ministro Sacconi, per spiegare il suo alto concetto di Governabilità degli Impianti?

Giuseppe Ucciero



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