22 febbraio 2011

musica


MUSICISTI E RUOLI

Qualche amico che suona o ha suonato per anni in orchestra si è lamentato con me perché la settimana scorsa, parlando di alcuni loro colleghi, ho scritto: «ottimi strumentisti ma – come è quasi inevitabile che accada – poco avvezzi a giocare nella parte del solista. Si ha bel dire che si tratta sempre e solo di “musicisti” ma non è vero, hanno approcci e sensibilità molto diverse, vi è una sorta di conflitto di interessi: o stai con l’orchestra e il suo direttore oppure sei un “altro” che “concerta” con loro». Qualcun altro si è lamentato perché ho più volte criticato – e l’ho chiamata malvezzo – l’abitudine sempre più diffusa, di suonare e dirigere insieme; lo fanno Uto Ughi, Vladimir Askhenazy, Andras Schiff, Daniel Barenboim, lo fa quasi sempre – e lo ha fatto anche l’altra sera al Conservatorio – Salvatore Accardo.

Insomma, sembra che passare da un ruolo a un altro (professore d’orchestra, solista, direttore) stia diventando più che lecito normale e che se si è bravi musicisti, e ancor più se si ha avuto successo in un ruolo, conti poco lo specifico del mestiere, la specializzazione, la scelta del campo. Si può giocare in libertà e cambiare la parte con grande disinvoltura. Ebbene non ci credo, e soprattutto credo che i risultati dimostrino sempre, salve rarissime eccezioni, che le cose non stanno così. E’ invece vero il contrario e cercherò di dimostrarlo.

Cominciamo dal professore d’orchestra che si presenta alla ribalta come solista, con uno strumento ad arco, un legno, un ottone o l’arpa, la cosa non cambia; per quanto bravo sia – magari è una prima parte che ha vinto un concorso difficile per entrare in orchestra, o un ottimo insegnante del proprio strumento, forse anche di grandissima cultura, musicale e non solo – gli mancherà sempre quella misteriosa capacità di creare il rapporto diretto, forte, esclusivo con il pubblico, di sentirne il respiro mentre suona, di entrare in sintonia con la sala come se suonasse esclusivamente per ciascun ascoltatore, parlandogli a tu per tu, toccandogli l’anima.

E’ una capacità che si acquista con gli anni, affrontando il pubblico da solo per centinaia e migliaia di volte, una capacità che non è innata (come è difficile, agli inizi, vincere la paura del pubblico!), e che certamente non la si impara suonando nelle fila dell’orchestra. Inoltre il solista è fatalmente impegnato a dare una interpretazione fortemente soggettiva del testo, una lettura possibilmente nuova ancorché ortodossa, mentre in orchestra si impara l’opposto, a reprimere la propria individualità per fondersi con il suono dei colleghi, a rinunciare a una interpretazione personale per fare propria quella del direttore.

Il contrario – solisti che siedono in orchestra – accade raramente, per esempio in qualche festival estivo come quello di Lucerna, quando per un breve periodo si costituisce una orchestra composta per lo più da solisti e prime parti; ma si tratta di amici e sodali che si riuniscono intorno a un direttore amico per fare musica insieme, e dunque lo spirito è quello di un grande ensemble di musica da camera piuttosto che di una vera e propria orchestra, stabile e consolidata come normalmente la si vuole.

E veniamo al solista che sale sul podio. Sappiamo che ogni musicista – non solo chi la scrive ma anche chi esegue la musica (sul proprio strumento o conducendo quel grande strumento che è l’orchestra) – ha il terrore di annoiare il pubblico, o meglio di non riuscire a catturarne l’attenzione, a tenerlo avvinghiato alle note e concentrato nell’ascolto. Questa tensione è ovviamente difficile da creare e ancor più difficile tenere viva per tutta la durata di un pezzo, mentre è facilissimo farla venir meno da un istante all’altro, farla improvvisamente cadere anche solo per un istante di banalità, di distrazione, di incertezza, o semplicemente per un banale vuoto di memoria. Il pericolo mortale, per i musicisti, è la noia di chi li ascolta.

Ora immaginatevi come si possa combattere questa tremenda battaglia contro la noia, come si possa tener tesa la corda dell’attenzione e della concentrazione del pubblico, quando si è impegnati a far parlare il proprio strumento, a fargli raccontare una storia piena di magia, e contemporaneamente a trasferire il proprio sentire a decine di altri musicisti, con la preoccupazione di dar loro attacchi precisi, ottenere da loro un certo colore del suono, sviluppare con loro il fraseggio che si ha in testa, mentre si è presi da una parte dalla tensione della e nella orchestra, dall’altra da quella del e con il pubblico. E’ un esercizio da acrobata, da giocoliere; come si concilia con la necessità di scavare nella profondità del proprio pensiero, con la capacità di trasferirlo al pubblico per evocarne sentimenti ed emozioni, di tessere quel sottile filo che tiene insieme una sala da concerto?

La prova dei fatti si è resa evidente con il concerto di Accardo della settimana scorsa: modeste, scialbe, prive di energia vitale le opere per violino e orchestra – sia le Romanze di Beethoven (opere 40 e 50) che il Concerto di Viotti (n. 22 in la minore) – ottima invece la Sinfonia n. 29 in la maggiore K. 201 di Mozart, nonostante quel grande violinista non abbia mai brillato come direttore d’orchestra. E’ riuscito perché evidentemente ha potuto concentrarsi totalmente e senza distrazioni su un unico impegno mentale, su un’unica corda emozionale, stabilendo un rapporto diretto e chiaro con l’orchestra da una parte e il pubblico dall’altra. Con il bis si è rovesciata la situazione e Accardo è stato perfetto (anche se gli consiglieremmo di lasciare ai più giovani, che devono dimostrare di avere acquisito una buona tecnica, pezzi di puro virtuosismo paganiniano) perché l’orchestra taceva e ascoltava e lui si è finalmente concentrato sul suo strumento.

 

I prossimi appuntamenti

* venerdì 25 febbraio al Conservatorio Michele Campanella torna a Milano per un concerto straordinario a favore di VIVES (www.vises.it) ed esegue nella prima parte alcune rarità dell’ultimo misterioso Liszt e, nella seconda parte, i celeberrimi “Quadri di un’esposizione” di Musorgskij. Assolutamente imperdibile.

* sabato 26 febbraio nella sala piccola del teatro Dal Verme (ingresso libero) un concerto nel quale il pianista Gregorio Nardi proporrà un programma di pezzi di Liszt molto anticipatori della musica che verrà dopo di lui.

* sabato 26 febbraio ma alle 15.30, all’Auditorium di Largo Mahler, vi sarà per i più piccini una commedia giocosa che Roberto Vacca ha liberamente tratto dal Ratto del Serraglio di Mozart, testi di Paola Campanini, con l’Orchestra amatoriale e il coro di voci bianche della Verdi il cui titolo è “Chi rapì la topina Costanza?”

* lunedì 28 febbraio al Conservatorio, per Serate Musicali, l’Orchestra di Padova e del Veneto in tutto Brahms, con il Concerto per Violino opera 77 e la quarta Sinfonia opera 98, direttore e solista (siamo alle solite!) l’austriaco Thomas Zehtmaier

* martedì 1° marzo ancora al Conservatorio ma per la Società del Quartetto, il giovane pianista palestinese-israeliano (Nazareth, 1976) Saleem Abboud Ashkar, che ha già una bella storia di concertista alle spalle, debutta in Italia con un programma un po’ strampalato che va da Bach (Suite inglese n. 2) a Schubert (Sonata il la minore D 784) e si conclude con Brahms (Variazioni e fuga su tema di Händel)

* mercoledì 2 marzo sempre al Conservatorio, per la Società dei Concerti, il grande pianista Paul Lewis eseguirà un programma totalmente schubertiano con le Sonate in do maggiore (D 840) e re maggiore (D 850) e i tre Klavierstuecken (D 946)

* il 3, 4 e 6 marzo all’Auditorium di largo Mahler l’Orchestra Verdi con la sua direttrice Xian Zhang in tre opere molto note e accattivanti: il Capriccio spagnolo di Rimskij Korsakov, il Concerto in Re per violino (Arabella Steinbacher) e orchestra di Čajkovskij e il poema sinfonico “Così parlò Zarathustra” di Richard Strauss

* domenica 6 marzo al Dal Verme un concerto di Carnevale per bambini in maschera con l’Orchestra “I piccoli pomeriggi musicali” diretta da Daniele Porziani

* il 2, 4, 6, 23 e 25 marzo alla Scala la seconda ondata di repliche della Tosca, diretta da Omer Meir Wellber (una rivelazione) di cui si dicono meraviglie – almeno dal punto di vista musicale – nonostante le prime sostituzioni di alcuni cantanti influenzati non abbiano incontrato il favore (e neppure la clemenza) del pubblico.

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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