15 febbraio 2011

cinema


INTO PARADISO

di Paola Randi [ Italia, 2010, 104′]

con: Gianfelice Imparato, Saman Anthony, Peppe Servillo, Eloma Ran Janz, Gianni Ferreri

Cosa può accomunare un ricercatore napoletano di mezza età e un ex campione srilankese di cricket di fama mondiale? Questa domanda sorge spontanea durante le scene iniziali di “Into paradiso“, primo lungometraggio di Paola Randi, giovane regista milanese. I due protagonisti provengono da mondi distanti migliaia di chilometri. Tuttavia, entrambi vedono rapidamente sgretolarsi il piccolo castello di certezze faticosamente costruito. Alfonso riceve dal laboratorio in cui lavora la nefasta lettera di licenziamento. Gayan, raggiunta l’Italia per un lavoro che rispetti il suo passato glorioso, è costretto a fare da badante a una lunatica ed egocentrica signora.

Se il secondo può cercare riscatto solo attraverso soldi e lavoro, il primo prova a usufruire del marcio sistema clientelare locale, non può che rivolgersi all’amico politico per sperare in una riassunzione da parte del rettore. Vincenzo Cacace, il cinico amico d’infanzia, ha il faccione stampato sui muri di mezza città e una poltrona di consigliere comunale. Il contrappeso è immancabilmente rappresentato dai favori a lui richiesti dalle famiglie mafiose a cui si è indissolubilmente legato. Invia furbamente l’ignaro Alfonso a consegnare una pistola, strumento imprescindibile per un regolamento di conti tra famiglie camorriste. Tra imprevisti e tradimenti, all’improvvisato corriere non resta altro rifugio che il fondaco Paradiso, il colorato angolo di Napoli che ospita la minoranza srilankese. Nel piccolo e abusivo appartamento di Gayan, le due vite si intrecciano indissolubilmente.

Into Paradiso è una commedia di grande ambizione, sia nei contenuti sia nello stile con cui vengono espressi. Gli attori riescono ad accrescere ulteriormente il valore dell’opera cinematografica. La rappresentazione perfetta dei rispettivi personaggi e la complicità palpabile e innata tra di essi rendono ancor più coinvolgente l’intreccio della storia. Da questo confronto – scontro tra una “Gomorra” più sterile e ridicola dell’originale e il leone d’oro srilankese ne esce una piccola fiamma di speranza che la pura e fresca energia derivante dalla condivisione e dalla multietnicità possano aiutarci a sconfiggere questa piaga.

Giorgio Bettinelli, lo scrittore che ha girato il mondo con la Vespa, ha detto: “coraggio non è non aver paura, coraggio è essere impauriti e continuare ad andare“. Alfonso, il timido e impacciato scienziato napoletano, non potrebbe impersonare meglio queste parole e, con esse, la speranza che fuoriesce dallo schermo.

 Marco Santarpia

In sala a Milano: Arlecchino 16:00, 18:10, 20:20, 22:30

  

IL CIGNO NERO

di Darren Aronofsky [Black Swan, USA, 2010, 108′]

con: Natalie Portman, Mila Kunis, Vincent Cassel, Barbara Hershey, Winona Ryder

«Ero perfetta», sussurra Nina Sayers (Natalie Portman) sul finire di Il cigno nero [Black Swan, USA, 2010, 108′] di Darren Aronofsky. Nina, ballerina del New York City Ballet, sogna – dopo una vita completamente dedicata alla danza – di interpretare la duplice parte di Odette e Odile nella rappresentazione di Il lago dei cigni di Pyotr Ilyich Tchaikovsky. Nina incarna magistralmente la parte del cigno bianco, immacolato e innocente, ma fatica a impersonare il perverso e spietato cigno nero. Thomas Leroy (Vincent Cassel), direttore artistico della compagnia, rimarca in maniera sprezzante l’incapacità della giovane ballerina di «lasciarsi andare», e di evadere dalla prigione di castità e perfezione in cui è da sempre vincolata. La morbosità della madre (Barbara Hershey) rafforza la gabbia di apatia in cui la ragazza è imprigionata.

Un’immagine ricorrente nel film di Aronofsky è il riflesso. Il riflesso di se stessa che Nina vede allo specchio o nei finestrini del treno; il suo volto riflesso su quello di Lily (Mina Kunis), ballerina rivale, sensuale e diabolica. Nina si osserva e ricerca il suo lato oscuro: deve rompere la gabbia e trovare il cigno nero nascosto nella sua personalità. È necessaria, quindi, una metamorfosi. Il regista rappresenta il mutamento attraverso il rapporto tra le due ragazze: Nina ha paura di Lily, la teme, ma sa di dover diventare come lei. Ne è attratta e repulsa allo stesso tempo. Forse però, questo rapporto esiste soltanto nella testa di Nina. Forse Lily è solamente un’immagine, un sogno, una perversione creatasi nella mente della ballerina. In realtà – se di realtà si può parlare – la competizione è con il suo riflesso. Con se stessa.

Nina si guarda negli occhi e ne rimane angosciata. Si gratta. Raschia la sua pelle quasi come se volesse venirne fuori. Lotta contro il suo doppio, contro la sua perfezione che le impedisce di essere bianca e nera contemporaneamente. In Il cigno nero, come in The Wrestler [USA, 2008, 109′], Aronofsky fa convergere vita privata e performance: la perfezione di Nina è specchio della sua tecnica di danza impeccabile. Anche in questo film è centrale il corpo, la fatica, il dolore fisico. Quello di Randy “The Ram” (Mickey Rourke) in The Wrestler era un corpo maciullato, distrutto, con il quale, però, il protagonista è riuscito a “volare”; Nina, invece, sottopone il corpo ad allenamenti dolorosi per raggiungere l’eccellenza ma diventare, poi, un cigno con le ali tarpate.

Corpo, mutazione, doppia personalità. Tre concetti che potrebbero rimandare all’universo semantico di David Cronenberg. Infatti, qualcuno ha definito il film di Aronofsky un tentativo di avvicinarsi agli stilemi del regista canadese. Non sono d’accordo. Credo, innanzitutto, che un buon regista non abbia uno “stile”, ma utilizzi la finzione del cinema per raccontare ogni volta una storia diversa. In modi diversi. Inoltre, se è vero che in Il cigno nero la fragilità di Nina è mostrata attraverso corpo e identità – facili da ritrovare nei lavori di Cronenberg – è altrettanto vero che i protagonisti dei film di Cronenberg sembrano inizialmente forti, decisi, convinti della strada che dovranno percorrere. Il contrario di Nina, insicura della sua perfezione e alla ricerca della metamorfosi necessaria per essere la Regina dei cigni. Necessaria – la metamorfosi – per lo spettacolo. Ma inutile per Nina che pur scoprendo il lato oscuro della sua perfezione, nel “volo” finale verso l’epilogo (e diversamente da Randy) rimpiangerà proprio quella perfezione che ha voluto cambiare.

 Paolo Schipani

 In sala: da venerdì 18 febbraio 2011

 

 questa rubrica è curata da Marco Santarpia e Paolo Schipani

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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