15 febbraio 2011

musica


TRISDEE NA PATALUNG

Non è uno scioglilingua ma il nome del giovane direttore d’orchestra tailandese (1986!) che nei giorni scorsi ha portato all’Auditorium un programma tutto Mozart iniziato con la fin troppo celebre Eine kleine Nachtmusik (Serenata in sol maggiore K. 525), concluso con la altrettanto celebre Sinfonia n. 40 (K. 550 in sol minore) e in mezzo due concerti: per Flauto, Arpa e Orchestra (do maggiore K. 299) e per Clarinetto e Orchestra (la maggiore K. 622). Ma come è possibile che un ragazzo di 24 anni, nato e cresciuto a Bangkok (dove peraltro è già direttore del Teatro dell’Opera!) arrivi a Milano e – con due o tre mezze giornate di prove, un’orchestra mai vista, tre sconosciuti solisti – affronti un repertorio di arcinoti capolavori del massimo autore del settecento europeo? È vero che viviamo globalizzati, che le distanze sono praticamente azzerate, e che dunque non dovremmo meravigliarci di nulla, ma in questo caso si rasenta addirittura l’inverosimile. E infatti qualche cosa non ha funzionato, vediamo perché.

Tanto di cappello all’Orchestra Verdi per il coraggio con cui si è affidata a una persona così diversa e fargli affrontare un programma così rischioso, mandando per di più alla ribalta due suoi esponenti di spicco (Elena Piva prima arpa e Fausto Ghiazza primo clarinetto) noti per essere ottimi strumentisti ma – come è quasi inevitabile che accada – poco avvezzi a giocare nella parte del solista. Si ha bel dire che si tratta sempre e solo di “musicisti” ma non è vero, hanno approcci e sensibilità molto diverse, vi è una sorta di conflitto di interessi: o stai con l’orchestra e il suo direttore oppure sei un “altro” che “concerta” con loro. D’altra parte non si può negare a un’orchestra l’opportunità di far crescere i propri membri facendoli cimentare ogni tanto in ruoli più impegnativi. Questa, dopo tutto, poteva essere un’ottima occasione.

Si è capita un po’ meno bene, a dirla tutta, la presenza sul palcoscenico di Cesare Bindi – un flautista toscano molto versatile, con una carriera molto variegata fra cinema, teatro e televisione – che è parso un pesce fuor d’acqua e ha fatto molta fatica a intendersi sia con la Piva che con il direttore (e a nostro parere anche con Mozart). Quel concerto d’altronde è meraviglioso solo se i due solisti dialogano tra loro con una intesa perfetta, intima, giocosa, e se riescono a trasmetterla al pubblico, altrimenti rischia di diventare persino noioso.

La Serenata per archi è stata scialba: nonostante l’eleganza del gesto che annunciava ottime intenzioni, il direttore non è riuscito ad andare oltre un’interpretazione di routine, penalizzata forse anche dall’eccessivo consumo che di quella musica magica è stato fatto negli anni recenti: dopo averla ascoltata decine e centinaia di volte nelle circostanze più improprie, solo un miracolo può ridarle ora lo smalto e la verginità di un tempo. E nonostante il fraseggio ben tornito e limpido, e i tempi più che giusti, l’esecuzione è risultata sostanzialmente scolastica, come se l’orchestra fosse intimorita e avesse perso sicurezza.

Dei due concerti abbiamo già detto: i solisti hanno fatto la loro parte con grande correttezza e tuttavia non sono riusciti a trasferire alcuna emozione, persino in quel capolavoro assoluto che è il Klarinettconcert, testamento spirituale coevo del Requiem e altrettanto intriso della dolorosa e serena malinconia mozartiana. (Non possiamo fare a meno di notare che alla fine qualche scalmanato nel pubblico ha manifestato un entusiasmo tanto ingenuo quanto eccessivo nei confronti del solista, urlando peggio che in uno stadio di periferia; tanto che, in modo del tutto inusuale, Patalung ha dovuto fargli ripetere il meraviglioso Adagio senza però cavarne molto di più rispetto alla prima versione).

Con queste premesse ci accingevamo a una modesta e deludente conclusione quando è accaduto l’imprevedibile. Fin dalle primissime, celeberrime battute della Sinfonia in sol minore si è capito che il giovane tailandese stava compiendo il miracolo, quel miracolo che si ripete ogni volta che una comunità di musicisti suona come un unico strumento, come se stesse componendo quella musica in quel momento, come se quella musica uscisse per la prima volta dalla loro testa e dal loro cuore.

Questa Sinfonia, che tanti anni fa nei programmi di sala veniva denominata «l’Orrida» – poi per fortuna il nomignolo si è perso, anche se almeno in parte colpiva nel segno – è uno dei capolavori assoluti della musica sinfonica; Einstein disse che rappresenta “un appello all’eternità”, Carli Bellola parla di “violenza interiorizzata con tratti di abbandono”, Schumann sentiva respirare in essa “un’aleggiante grazia greca”.

Si sa che per Mozart il sol minore è la tonalità dell’affanno, della disperazione, della passione, e tutti questi sentimenti l’altra sera sono improvvisamente esplosi con la forza assoluta della verità, scomparsa ogni difficoltà e con una grande intesa fra il direttore orientale, l’orchestra mediterranea e l’autore mitteleuropeo. Il mistero mozartiano per cui gioia e dolore, pessimismo e ottimismo, solarità e cupezza, persino umanità e cinismo riescono a fondersi e confondersi nelle sue note rendendole eternamente moderne e attuali, è apparso ancora una volta irrisolto, duecento vent’anni dopo, e riproposto in tutta la sua strabordante vitalità.

Grazie dunque alla Verdi che tenta sempre di rinnovare l’offerta musicale ricordandoci che ci sono sempre nuove energie da liberare; come possiamo oggi meravigliarci se arrivano dall’estremo oriente?

 

I prossimi appuntamenti

* venerdì 18 al Teatro Dal Verme Roberto Prosseda siederà al pianoforte con un programma dedicato a Liszt e alle sue trascrizioni di opere di Schubert e di Mendelssohn

* domenica 20 alle ore 11, all’Auditorium di largo Mahler, un concerto dedicato interamente a Nino Rota con il Concerto Soirée per pianoforte e orchestra e una Suite delle musiche per “Il Gattopardo”; l’Orchestra è ovviamente la Verdi diretta da Giuseppe Grazioli, al pianoforte Simone Pedroni

* lunedì 21 al Conservatorio, per Serate Musicali, Louis Lortie esegue l’integrale dei tre “Anni di pellegrinaggio” (in Svizzera e in Italia) di Franz Liszt. Straordinari.

* martedì 22, ancora al Conservatorio ma per la Società del Quartetto, il Quartetto di Cremona propone tre opere celeberrime: l’incompiuto Quartettsatz di Schubert e due Quartetti di Šostakovič (opera 110) e di Mendelssohn (opera 80)

* martedì 22 in alternativa si potrà anche ascoltare Costanza Principe nell’Aula Magna dell’Università, in via Festa del Perdono, che eseguirà al pianoforte musiche di Chopin, Brahms e Liszt

* il 24, 25 e 27 all’Auditorium di largo Mahler potremo ascoltare ancora l’Orchestra Verdi in “Wonderful Town” di Leonard Bernstein, diretta da Giuseppe Grazioli con Lisa Williamson (soprano), Jennifer Feinstein (mezzosoprano), David Pershall e Cameron McPhall (baritoni)

* domenica 27 (ore 10.30) e lunedì 28, alla Palazzina Liberty, l’Orchestra da Camera Milano Classica eseguirà un programma interamente dedicato a Mozart con Sigiswald Kuijken al violino e sul podio

* infine, come già annunciato, il 17, 20, 22, 25, 27 febbraio e il 2, 4, 6, 23 e 25 marzo vi saranno alla Scala le repliche della nuovissima Tosca, diretta dal ventinovenne israeliano Omer Meir Wellber, con le scene di Richard Peduzzi e i costumi di Milena Canonero.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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