15 febbraio 2011

DOPO PIAZZA CASTELLO: “SE NON QUESTO, COSA?”


Se non questo, cosa? Potrebbe essere lo slogan delle prossime manifestazioni di piazza per rivedere insieme tanta gente, tante donne, tanti giovani, tanti studenti e tanti precari, insomma tutti quelli che vivono il profondo disagio di questa stagione politica. Le piazze italiane si stanno muovendo e l’ultima manifestazione delle donne ha visto nella nostra città, in una giornata di pioggia, più di cento mila persone radunarsi senza striscioni, senza bandiere, senza simboli di partito.

Che le donne fossero le vere animatrici dell’incontro è incontestabile quanto la sensazione che solo loro sappiano radunarsi sui grandi temi della democrazia e della parità senza dividersi, senza il rovinoso istinto della sottile quanto sterile battaglia per il primato ideologico. Le abbiamo viste in quella stessa piazza dove la mattina prima il teatro Dal Verme aveva accolto le 1500 persone che riesce a contenere e le poche centinaia che all’esterno non volevano perdersi il trucido show di Giuliano Ferrara. Dobbiamo riflettere su queste ultime manifestazioni di piazza che la destra cerca di bollare come “manovre” di qualche minoranza o della sinistra che vuole mandare a casa Berlusconi in spregio al “popolo” che l’ha eletto.

Se guardando la piazza Berlusconi forse per la prima volta si rende conto che la sua macchina delle bugie e del fango, dell’incultura sottilmente inoculata dai suoi video e il suo denaro non riescono più a ottundere l’intelligenza della gente, la sinistra, guardando anche lei la stessa piazza, non deve pensare di aver vinto. Il messaggio è chiaro, non c’è bisogno di altri ascolti, di analisi e di confronti: la gente vuole voltare pagina ma cosa ci sia scritto sulla pagina nuova non riesce ancora a distinguerlo bene: renderlo chiaro e intellegibile è, o meglio sarebbe, il compito della classe dirigente politica. Proprio dal diverso volume degli applausi che hanno punteggiato gli interventi degli oratori che si sono succeduti in piazza Castello, possiamo cogliere un segnale per la classe politica: i personaggi meno affini alla casta sono stati salutati con maggior calore.

Dunque malessere c’è anche nei confronti dei partiti che istintivamente e storicamente la gente vede come legittimi rappresentanti della propria volontà. Nessuna illusione allora di un cammino facile e trionfale per la sinistra ma la difficile prova di un programma comune, unitario e comprensibile e vicino alla gente. A Milano, pur con molte difficoltà, la costruzione di questo programma è cominciata in chiave locale: il programma per il nuovo sindaco. Non possiamo nasconderci che, malgrado quel che si possa pensare, stendere un programma per le elezioni comunali è per certi versi più difficile che stendere un programma per una consultazione a livello nazionale. Per quest’ultima è consentito volare alto, affrontare i massimi sistemi e non vi è necessità di scendere nel dettaglio minuto, né sarebbe utile farlo: per le comunali è invece l’unico percorso utile.

L’abilità allora sta nel riuscire a condensare in pochi punti chiave le proprie proposte con il duplice obbiettivo: rendere credibile quel che si dice e mostrare il metodo col quale si affronteranno i molti problemi dei quali non vi è spazio per parlare ma che pure vi sono. La chiarezza assoluta su pochi punti serve a garanzia di tutti gli altri. Allora “se non questo, cosa”.

L.B.G.



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