8 febbraio 2011

musica


DIRETTORI D’ORCHESTRA

Hans Swarowsky (Budapest 1899 – Salisburgo 1975) fu un poliedrico allievo di Arnold Schönberg e di Richard Strauss e creò a Vienna una famosa scuola di specializzazione per direttori d’orchestra di cui furono a loro volta allievi, fra tanti, Claudio Abbado, Zubin Mehta, Giuseppe Sinopoli; fu proprio quest’ultimo a riferire, pochi anni prima dell’infarto che lo colpì a morte sul podio della Deutsche Oper di Berlino, un curioso ammonimento di Swarowsky ai suoi allievi: “ricordatevi che su 100 direttori d’orchestra, 90 fanno solo danni, 9 forse non ne fanno ma non producono valore aggiunto, uno solo svolge sul podio un ruolo positivo e contribuisce ad arricchire il lavoro dell’orchestra”.

Sarà un paradosso, ma fatevi raccontare dal responsabile di una qualsiasi istituzione musicale quanto siano rari i direttori accettati ed apprezzati dai professori d’orchestra. Spesso sono appena tollerati, talvolta dileggiati (e non sempre dietro alle spalle), raramente suscitano entusiasmo o ammirazione; specialmente quando la loro autostima rasenta il delirio da onnipotenza (ad esempio quando pretendono di essere chiamati solo ed esclusivamente “il Maestro”, che è notoriamente più esclusivo di “l’Avvocato” o “l’Ingegnere”, e perfino di “il Professore”) o quando hanno l’ossessione di essere oscurati dalla fama dei colleghi. I grandi direttori sono ovviamente diversi, conservano un forte spirito di servizio nei confronti della musica, sentono gli orchestrali come colleghi, sprigionano la gioia di far musica insieme a loro (è noto il caso di Abbado che si fa chiamare Claudio e si fa dare del tu anche dal più giovane ed ultimo arrivato in orchestra, creando così – ancorché possa risultare anche questo un sapiente e sottile strumento di potere – un clima di grande coesione e collaborazione).

Noi ascoltatori, che i direttori li osserviamo di spalle e spesso ci sembra che dall’orchestra nessuno li guardi, ci domandiamo quanto essenziale sia il loro ruolo e in che misura e in che modo essi contribuiscano alla qualità della musica che stiamo ascoltando. In questi giorni di grande fermento musicale ci siamo intrattenuti sull’argomento con alcuni professori d’orchestra e sono emerse le riflessioni di cui vi diamo conto.

A prescindere dagli aspetti sociali e formali del rapporto fra chi sta in piedi sul podio e chi è seduto nelle file dell’orchestra – aspetti che tuttavia danno già qualche misura del potere dell’uno sugli altri e in parte spiegano le difficoltà che incontrano le donne a salire sul podio per la loro diversa modalità di esercizio del potere – spesso ci chiediamo come funzioni la trasmissione delle informazioni che passano dal direttore all’orchestra, e da quali regole sia governato il sistema dei segnali trasmessi. La tecnica della direzione – basata sopratutto sulla precisione del gesto, l’esattezza dei tempi, la puntualità dell’attacco alle singole parti – è infatti condizione necessaria ma non sufficiente per trasmettere il pensiero musicale; e così l’eleganza e l’espressività del gesto aiutano ma non bastano. La vera missione della direzione è quella di trasferire all’intera orchestra un’idea nitida e limpida della pagina musicale – un’idea unica, precisa, totalizzante, avvolgente, assorbente tutte le altre – e farne una narrazione tanto pregnante e suggestiva da indurre nel pubblico una sorta di rapimento, che ricorda quello con cui il cantastorie incanta i bambini.

Normalmente il poco tempo a disposizione per le prove e l’abitudine-necessità di passare frequentemente da un’orchestra all’altra, fanno sì che i direttori riescano ad ottenere risultati apprezzabili non più attraverso un lungo lavoro d’insieme e la conoscenza personale dei singoli musicisti, ma piuttosto grazie all’autorevolezza (che a sua volta non può prescindere dalla competenza e dall’esperienza), alla chiarezza del proprio pensiero musicale e alla capacità di comunicarlo con grande forza e sicurezza. Non è un caso che Claudio Abbado (sempre lui, il mitico esemplare della specie, diventato l’archetipo contemporaneo del direttore d’orchestra) diriga ormai quasi esclusivamente le “sue” orchestre, quelle create da lui e di cui ha scelto uno ad uno i musicisti. I quali raccontano che, nonostante l’arcinota espressività del gesto, “Claudio” dirige sopratutto con l’espressione del viso; che attribuisce una grande importanza alla luce che gli illumina il volto perché possa esprimere ciò che ha dentro di sé e meglio penetrare lo sguardo dei musicisti che ha di fronte; che già dal modo in cui si avvicina al podio, dal suo incedere, i giovani orchestrali sentono il tempo ed il colore dell’attacco che sarà impartito immediatamente, per non perdere concentrazione con saluti, applausi e salamelecchi.

Si sa che la mano destra del direttore, prolungata nella bacchetta, serve a dare il tempo mentre la sinistra descrive il fraseggio e il colore del suono, ma se non si ha dentro di sé un fortissimo sentire e qualche cosa di profondamente vero da dire, da raccontare, gesti e bacchetta serviranno ben poco. Noi ascoltatori ci troviamo spesso davanti a una esecuzione apparentemente perfetta, con dettagli molto curati ed attacchi precisissimi, ma ci accorgiamo che la musica è senz’anima e i commenti sono “sì, molto bene ma … non so, non mi ha preso molto … in fondo mi ha lasciato indifferente”. Semplicemente sul podio c’era uno di quei 9 o di quei 90 direttori di cui parlava Swarowsky.

I prossimi appuntamenti

  • lunedì 14 al Conservatorio, per Serate Musicali, Salvatore Accardo con la Orchestra Camerata Ducale suona e dirige (pessima abitudine) un programma che prevede Beethoven (Romanze op. 40 e 50), Viotti (concerto n. 22 per violino e orchestra) e Mozart Sinfonia n. 29 K. 201).
  • martedì 15, sempre al Conservatorio per la Società del Quartetto, il pianista svizzero Francesco Piemontesi (classe 1983) eseguirà uno di quei programmi che non amiamo («un programma che sembra voler sottolineare la molteplice varietà di forme e stili della musica per tastiera» annuncia il Quartetto), che parte da Haydn ed arriva a Schumann passando attraverso Janacek e la Sonata opera 101 di Beethoven.
  • mercoledì 16 sempre al Conservatorio ma per la Società dei concerti, la violinista Isabelle Faust e il pianista Alexander Melnikov, dopo la Sonata n. 2 di Busoni eseguiranno le due Sonate n. 4 e 5 (opere 23 e 24) di Beethoven.
  • il 17, 18 e 20 all’Auditorium di largo Mahler potremo ascoltare la Nona Sinfonia in re maggiore di Mahler eseguita dall’Orchestra Verdi diretta da John Axelrod; musicista texano di origini ebreo polacca, allievo di Bernstein, Axelrod – che ama il rock e prima di studiare direzione d’orchestra faceva il sommelier – da anni ha messo radici un Europa e ora sta consolidando la sua presenza anche in Italia..
  • come già annunciato, martedì 15 alla Scala si darà la prima rappresentazione della nuovissima Tosca, diretta dal ventinovenne israeliano Omer Meir Wellber, con Oksana Dyka, Jonas Kaufmann e Marco Berti, scene di Richard Peduzzi, costumi di Milena Canonero; repliche, anche con altro cast, il 17, 20, 22, 25, 27 febbraio e il 2, 4, 6, 23 e 25 marzo
  • al Teatro Dal Verme segnaliamo il concerto che l’orchestra dei Pomeriggi Musicali, diretta da Daniele Rustioni terrà giovedì 17 e domenica 19 eseguendo due concerti di Bach (violino e orchestra in mi maggiore e secondo Branderburghese) e due Kammermusiken di Hindemith (n. 7 per organo e orchestra e n. 4 per violino e orchestra), violinista Caroline Widman e all’organo Giulio Mercati. Un programma molto intrigante che ricorda l’indimenticabile esordio milanese di Claudio Abbado (sempre lui…) all’Angelicum, con tre concerti ognuno dei quali presentava proprio due Branderburghesi di Bach e due Kammermusiken di Hindemith!

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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